In un’epoca in cui la paternità reclama il posto d’onore accanto alla maternità, Erri De Luca con “Il giro dell’oca”, Feltrinelli Editore, compone un monologo che diventa dialogo con il figlio mai nato. Una presenza taciturna, come il burattino di legno creato nella favola di “Pinocchio“, cui raccontarsi attraverso l’efficacia delle parole, quelle che nutrono l’esistenza di De Luca e che diventano la strada maestra per raccontare la realtà.
Il figlio da custode taciturno dei pensieri dell’autore si trasforma in una figura reattiva, capace di contrapporsi in un confronto dialettico, e in uno spazio in cui il silenzio dell’ascolto diventa il luogo delle domande per un padre mai insediatosi nel ruolo.
I ricordi di un passato trascorso affiorano e condivisi animano riflessioni protette da una riservatezza innata, e brevi diapositive della mente scorrono e ripercorrono con levità mancanze e momenti di vita accumulati.
Un padre-narratore che si scopre una persona d’aria, ricorrendo alla parola “Luftmensch”, associazione di due vocaboli tedeschi LUFT che si traduce con aria, e MENSCH con essere umano e che solo nel dizionario yiddish trovano un significato accettabile.
Nello scorrere delle pagine, non ci si imbatte mai nel patetico tentativo di giustificare le scelte fatte per l’impianto di una tesi difensiva atta a giustificare la libertà ricercata. Si assiste, invece, alla ricerca interiore in un viaggio intimo con la volontà di renderne partecipe il lettore.
La vita pare concretizzarsi in una sorta di Gioco dell’Oca; un dado, lanciato in aria, stabilisce la casella da occupare per il tempo necessario in un alternarsi di situazioni.
A ciascuno il suo tempo e la sua esplorazione.
Claudia Squitieri