Ci sono spettacoli per i quali non bastano dei buoni o accreditati attori, la cosa che conta è quanto sappiano coinvolgere lo spettatore. Perché è proprio lui che diventa protagonista e decide la riuscita dell’evento. Il prerequisito per assistere ad uno spettacolo di Enrique Vargas è la capacità dello spettatore di lasciarsi guidare in piani e orizzonti, ma questa fiducia funziona solo se gli attori riescono a creare la magia di una profonda, quasi ancestrale intesa. E allora ecco che il teatro si complica perché può essere un momento di grande trasformazione o di grande diniego. E tutto è legato alle variabili: spettatore, attore, serata, intesa. Al Napoli Teatro Festival 2019 ritorna Enrique Vargas e il suo teatro De los sentidos con Reinexer (che in catalano significa rinascita) e lascia la sua scia di rumori contrastanti.
REINEXER come rinascita?
Il teatro del sentire, del percepire, dei sensi è la cifra particolare di Vargas in un percorso di rinascita, di rilancio che parte dal valore eterno della terra e del vino. Due dimensioni che accompagnano l’uomo da sempre. Lo spazio non convenzionalmente teatrale, come palazzo Fondi di Napoli, accoglie come ‘pancia nera’, come dimensione altra, in momenti diversi. Attori-personaggi accompagnano in un viaggio che alla fine è sostanzialmente all’interno di sé e che ha come prima variabile se stessi. Il binario obbligato qui è tracciato da alcune stanze in cui si vivono delle tappe del percorso. L’accordo, la premessa, come sempre nel teatro di Vargas, è proprio permettere di lasciarsi guidare. Il buio delle stanze crea un ambiente intimo ma non per forza comodo. Una donna pulisce bicchieri, tutti diversi: ognuno ha in sé una storia e la sua trasparenza la lascia intravvedere. Del vino bevuto resta traccia solo nei ricordi a cui rimanda il suo contenitore.
Si arriva così una sorta di ‘frontiera’, di luogo di registrazione del sè in cui si lasciano i propri dati (forse falsi, forse veri) e vengono consegnate proprio delle scatole. Ognuna è ricca di oggetti, altri ricordi del passato, bottoni insieme ad anelli, insieme a forbici o a gioielli. Ognuno degli spett-attori è libero di immaginare, di creare la sua storia. E questa fantasia è la forza del ricordo, della memoria, dell’intuizione.
IL VIAGGIO DELL’IO, UNO SPETTACOLO TANTI SPETTACOLI
Le scatole si chiudono e si viene accompagnati, in gruppi casuali, in tende, diverse. Si creano gruppi separati che vivono la stessa storia o forse diversa. Una persona guida in questo nuovo viaggio condiviso, senza scarpe però. Il nero è terra terragna, una terra di cui si dimenticano le storie ma questa, essenziale, che viene comunicata nella magia di quel momento dev’essere ricordata. Già solo questo restituisce il senso dello spettacolo. Le voci narranti raccontano, e basta non dimenticare loro per continuare a tramandare l’essenza. L’azione condivisa e guidata si sostituisce al dialogo. L’uva schiacciata con mani libere diventa un succo, che, messo in una bottiglietta e poi in quella terra, coperta da un telo nero, riserva sorprese. Finalmente il riposo, tutti, stesi su questa terra che ha un cuore. Batte. Il viaggio dentro s’infittisce e il confine tra il senso di vita e morte è chiaro, a volte claustrofobico, per qualcuno. Lo spett-attore vive nel completo sonno o nell’assoluto terrore quel momento di assenza: il momento del cambiamento, della rinascita. Dalla terra l’uva premuta diventa altro, un abbozzo di vino, la magia è compiuta. Condivisa in una festa a suon di musica e di vino. Ognuno balla, ma al buio di una benda non si sa con chi, mentre profumi alimentano altri sensi oltre il tatto. Come può finire un percorso se non con un bicchiere di vino a suon di brindisi? ognuno lascia il suo pensiero, forse, o il suo dolore sparso, o la sua indifferenza scolpita dal rifiuto di un viaggio dentro. Possibile o impossibile a seconda dello stato vitale della singola persona.
SONO IO LA PROTAGONISTA DI QUESTO SPETTACOLO
Ognuno crea il suo spettacolo. Se tocca qualcosa dentro. Se no una sequenza di azioni senza senso. Devo ammettere che sono io la protagonista di questo spettacolo. E aver toccato quella corda di vita/morte mi ha risvegliato dolori antichi e speranze future. Liberatorio gesto il ballo mi ha raccordato al mondo. Ho lasciato la mia mente riflessiva fuori, all’ingresso, nonostante la resistenza razionale ho accettato la sfida e qualcosa in più di me, dai miei sensi apprendo. Forse sono fortunata e come un fiume in piena scrivo, su quella tavoletta che mi han dato tutte le sensazioni che posso regalare e dimenticare.
C’è chi ha amato e chi ha odiato questa ora di spettacolo. Per alcuni il percorso non era consistente, troppo spezzettato. Non toccava l’eterno, non riguardava tutti. Per altri la magia del gesto e le sensazioni del percorso sono stati tali da lasciare segni. E forse questo dipende dallo spettatore, dal riuscire a lasciarsi andare, da una parte, se ha accettato il gioco. Dall’altra conta anche dalla capacità dell’attore con il quale, in questo percorso, lo spettatore si trova a stretto contatto e che contribuisce a creare questo clima. E allora ogni combinazione può creare mondi diversi. Di fatto per quanto non sia un viaggio nuovo (anche il tema non è nuovo) è un viaggio diverso e viene da pensare che chi non ha trovato niente forse è perché ha cercato altrove e non dentro. Inutile dire, ragionare. Solo partendo da lì, dalla propria fantasia e memoria, ogni viaggio, ogni gesto, ogni sospiro può essere unico.
PAESAGGIO OLFATTIVO GIOVANNA PEZZULLO
SCENE E INSTALLAZIONI GABRIELLA SALVATERRA
ORGANIZZAZIONE CLAUDIO PONZANA
ABITANTI CHIARA BAFFI, PANCHO GARCIA, GABRIEL HERNANDEZ, ARIANNA MARANO, PATRIZIA MENICHELLI, GIOVANNA PEZZULLO, GABRIELLA SALVATERRA, DANIELA COSSU, JOAN GERARD TORREDEFLOT