Siamo nella casa del Giardino, nella Regio V dell’antica Pompei, casa che ha regalato la famosa iscrizione-prova che l’eruzione sarebbe avvenuta nell’ ottobre del 79. Qui, dentro una cassa, erano rimaste intatte gioie ora riportate alla luce e restaurate (visto lo stato di conservazione semplicemente puliti e consolidati) dal Laboratorio di Restauro del Parco Archeologico di Pompei.
Si tratta di amuleti, gemme ed elementi decorativi in faïence, bronzo, osso e ambra, monili e piccoli oggetti legati al mondo femminile, utilizzati per ornamento personale o per proteggersi dalla cattiva sorte.
Questi resti sono stati trovati in un ambiente di servizio, forse usato come deposito: l’impronta della cassa di legno in erano questi oggetti (il legno si è decomposto) conserva le cerniere bronzee e si trova accanto ad un’altra cassa o mobile nell’angolo.
Sul fondo dell’impronta – è scritto nel comunicato stampa del Parco Archeologico – sono stati rinvenuti i numerosi oggetti preziosi, tra cui due specchi, diversi vaghi di collana, elementi decorativi in faïence, bronzo, osso e ambra, un unguentario vitreo, amuleti fallici, due frammenti di una spiga di circa 8 cm e una figura umana, entrambi in ambra, probabilmente dal valore apotropaico, e varie gemme (tra le quali una ametista con figura femminile e una corniola con figura di artigiano). Diversi pezzi si contraddistinguono per la qualità pregiata dei materiali, oltre che per la fattura. Tra le paste vitree, straordinarie sono quelle con incise, su una la testa di Dioniso, sull’altra un satiro danzante.
Si avanza l’ipotesi che siano oggetti appartenuti a una fattucchiera del tempo, magari una schiava della casa, ma forse è solo un’idea che rende più immediata al grande pubblico la lettura della scoperta. Certo è che comprova l’importanza della ritualità del proteggersi attraverso amuleti.
Alcuni oggetti preziosi sono stati rinvenuti anche in una altra stanza della casa, presso l’atrio, dove sono stati trovati i resti scheletrici di donne e bambini, sconvolti da scavi clandestini di età moderna (XVII – XVIII secolo), un saccheggio che, probabilmente, per recuperare i preziosi che le vittime portavano con sé. Solo un anello in ferro, ancora al dito della vittima, e un amuleto di faïence sono casualmente sfuggiti a questo saccheggio.
“Si tratta di oggetti della vita quotidiana del mondo femminile e sono straordinari perché raccontano microstorie, biografie degli abitanti della città che tentarono di sfuggire all’eruzione. – dichiara il Direttore Generale Massimo Osanna – Nella stessa casa, abbiamo scoperto una stanza con dieci vittime, tra cui donne e bambini, di cui stiamo cercando di stabilire le relazioni di parentela e ricomporre la biografia del gruppo familiare, attraverso le analisi sul DNA. E chissà che la cassetta di preziosi non appartenesse a una di queste vittime. Particolarmente interessante è l’iconografia ricorrente degli oggetti e amuleti, che invocano la fortuna, la fertilità e la protezione contro la mala sorte. E dunque i numerosi pendenti a forma di piccoli falli, o la spiga, il pugno chiuso, il teschio, la figura di Arpocrate, gli scarabei. Simboli e iconografie che sono ora in corso di studio per comprenderne significato e funzione”
Nella nota del Parco Archeologico si anticipa che presto questi oggetti faranno parte di una esposizione di bijoux antichi pompeiani.