Pezzi di cervello rimasti intatti, o meglio, vetrificati dal calore dell’eruzione vulcanica. Viene dall’antica Ercolano una nuova e straordinaria scoperta, grazie al lavoro, che va avanti da anni, di un team di antropologi, ricercatori e archeologi guidati dal professore Pier Paolo Petrone dell’Università Federico II.
Il cervello della vittima trovata, negli scavi degli anni ’60, sul letto della stanzetta di servizio accanto al Sacello degli Augustales, e ancora rimasto in loco, probabilmente il custode di questo luogo, da decenni è stato oggetto di indagini. Pubblicate sul Il New England Journal of Medicine, prestigiosa rivista medica leader a livello mondiale, ha pubblicato la scoperta sensazionale: il calore dell’eruzione bruciando grassi e tessuti corporei, avrebbe causato la vetrificazione del cervello.
Il materiale vetroso, trovato nel cranio della vittima, è stato infatti identificato in diverse proteine ed acidi grassi presenti nei tessuti cerebrali e nei capelli umani, mentre il grasso e i tessuti corporei sarebbero stati bruciati dall’elevato calore. La conservazione di tessuto cerebrale è un evento estremamente raro in archeologia, ma è la prima volta in assoluto che vengono scoperti resti umani di cervello vetrificati durante un’eruzione, per effetto del calore.
E non finisce qui. Da questi resti è possibile arrivare a conoscere elementi significativi del DNA, anche se degenerato, della vittima e metterlo in relazione con le altre vittime trovate sulla spiaggia. Ricavare altre informazioni confrontando questi con altri elementi organici, per esempio emersi dalle fognature della città, e con documenti scritti ritrovati nell’antica Ercolano. Come ben spiega il direttore del Parco Archeologico di Ercolano Francesco Siano:
“Sin dalle eccezionali scoperte avvenute all’inizio degli anni 80 del 900 presso l’antica spiaggia, il campione antropologico offerto dal sito di Ercolano si è rivelato di estremo interesse.Gli studi di antropologia fisica sono ora supportati da analisi di laboratorio sempre più sofisticate. Stiamo inoltre associando ad esse innovative ricerche sul DNA degenerato che, come sembrano dimostrare lavori di prossima edizione da parte del dr. Petrone, ha ancora racchiuse in sé alcune parti della sequenza del codice in grado di chiarire origine e grado di parentela delle vittime ritrovate nelle rimesse delle barche presso l’antica spiaggia. Questi straordinari dati – dichiara il Direttore Sirano- possono peraltro confrontarsi con quelli derivanti dalle analisi sui materiali organici e sui coproliti rinvenuti nel corso degli scavi nelle fogne sotto il cardo V (scavi condotti in collaborazione con la Fondazione Packard) che hanno chiarito tanti aspetti del regime alimentare e contribuito ad arricchire il quadro delle più frequenti patologie che affliggevano gli abitanti di Herculaneum. Se pensiamo a tutto quanto conosciamo attraverso la variegata documentazione scrittoria antica formata da documenti pubblici e privati (epigrafi su marmo, tavolette cerate, papiri, graffiti)- conclude il Direttore– davvero si comprendono l’inestimabile valore e le potenzialità ancora inespresse da questo prezioso sito UNESCO che il Parco Archeologico conserva e valorizza in un’ottica di ricerca aperta e multidisciplinare.”
Allo studio hanno preso parte il Direttore del Parco Francesco Sirano, insieme al Prof. Piero Pucci del CEINGE – Biotecnologie Avanzate e il Prof. Massimo Niola dell’Università di Napoli Federico II, insieme a ricercatori dell’Università di Cambridge. Pier Paolo Petrone, che ha coordinato il gruppo, è antropologo forense e dirige il Laboratorio di Osteobiologia Umana e Antropologia Forense, Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate presso l’Università di Napoli Federico II