Le due pagine dell’informativa furono consegnate nelle settimane scorse alla Procura di Palermo dal generale in pensione dei carabinieri Nicolò Gebbia, che fu tra l’altro comandante della compagnia dei carabinieri di Marsala (che indagava anche su Matteo Messina Denaro) e poi comandante provinciale dei carabinieri di Palermo. Interrogato dal pubblico ministero Nino Di Matteo, il generale svelò di avere avuto quell’informativa poco prima di lasciare il comando provinciale di Palermo per assumere quello di Venezia e di averla consegnata al generale Gennaro Niglio allora comandante della Regione Carabinieri Sicilia, morto in un incidente stradale assieme al suo autista, il 9 maggio del 2004 mentre tornava a Palermo da Caltanissetta.
Uno dei misteri che circonda la morte di Niglio, detto il pistolero. Quell’incidente ancora oggi rimane poco chiaro, le parole di qualche casalese di spicco furono ad esempio precise. Nel corso della sua battaglia per la Terra dei Fuochi, l’oncologo Marfella fu in certo senso avvertito. « Un messaggio preciso che ho ricevuto in occasione dell’incontro con il pentito Schiavone insieme a padre Maurizio…sono stato “avvisato” da Carmine Schiavone ad essere particolarmente attento ad “incidenti stradali” come gia’ capitato ad un altro mio referente ed amico: il generale Gennaro Niglio».
Niglio, ercolanese di nascita, si trovò al comando dei carabinieri di Nocera in un momento tremendo, quello della massima espansione della camorra, cutoliana in particolare. Nocera da qualche anno lo ricorda con il piazzale del cimitero a lui intitolato.
Nell’ottobre ‘ 82 ingaggiò un duro scontro a fuoco con un commando camorristico in un ristorante di Corbara, tra i commensali c’erano gli assassini di Simonetta Lamberti. Era andato per eseguire alcuni arresti, trovò che gli era stata tesa un’ imboscata. “Nocera era una capitale della delinquenza”, affermò il capitano Niglio. “Si raggiungono punte di efferata spietatezza. Prima dominavano, in questo vasto territorio, i clan aggregati alla Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo. Avevano molti affiliati e controllavano tutto il ventaglio delle attività illegali. Poi ci fu il fenomeno dei pentiti”, spiegava il capitano Niglio. “Le loro rivelazioni contribuirono a disgregare dall’ interno l’ organizzazione. E’ stata eseguita una lunga serie di arresti, oltre seicento. furono presi più di quaranta latitanti che seminavano il terrore in numerosi Comuni. Ma, sbaragliati i clan cutoliani, cominciarono ad organizzarsi quelli collegati con la Nuova famiglia.” Perfetta descrizione di un’epoca, che coinvolse in correità diversi politici e parecchi imprenditoria. Un’epoca che metteva a rischio la vita di chi scendeva in strada, altro che coronavirus, era vero e proprio camorravirus.