Il PD sta proponendo, nel mentre ci si avvia ad una fase di “convivenza” con il Virus, una suggestiva parola d’ ordine: bisogna lavorare per un Nuovo Modello di Sviluppo. La questione, in verità, era già stata posta dalla Segreteria Zingaretti, sin dalle fasi congressuali. Ed era stata ancor più rilanciata con l’ iniziativa di Bologna coordinata da Gianni Cuperlo e dall’indicazione, costantemente ribadita, della necessità di un Green New Deal.
Ora la questione viene ripresa con maggiore insistenza anche con l’apertura di una specifica finestra di dibattito e confronto, con prime proposte rivolte al Governo ed alle parti sociali e, inoltre, sembra assumere la caratteristica della “vera discontinuità“ del PD post-renziano.
Come molti ricordano, il tema è stato spesso al centro di vivaci ed eruditi dibattiti dentro le organizzazioni democratiche e del movimento operaio sin dagli anni “60 ed ha rappresentato una linea di politica anche sindacale che, sebbene quasi sempre sconfitta, ha contribuito a formare coscienze, personalità e gruppi dirigenti che hanno spesso rappresentato le risorse tra le più avvedute ed impegnate nel conflitto politico e sociale. Pietro Ingrao, nel postumo “Memoria“ ricorda come alla ricerca di alcuni dirigenti politici e sindacali (B. Trentin) sull’argomento, altre illustri e autorevoli personalità della Sinistra (G. Amendola) contrapponessero l’ “urgenza“ dei “soldoni“. Sebbene molti anni siano trascorsi e passati come “secoli“, come spinta da una carsica memoria, la questione si ripresenta in una condizione “planetaria“ del tutto inedita e con una sua rinnovata carica e forza suggestiva, resa addirittura tendenzialmente oggettiva dalle concrete condizioni del Mondo. La stessa linea pastorale di Papa Francesco ne rappresenta una evidente testimonianza.
La caratteristica principale del dibattito, oggi, è rappresentata dalla circostanza, niente affatto banale, che esso riparte e si rilancia in epoca di Crisi Pandemica e, per certi aspetti, a causa della emergenza sanitaria. Con quest’ultima si intreccia, da essa assume spunti di riflessioni o conferme (si pensi al già citato Green New Deal), per essa si propone di avviare un ambiziosissimo percorso di mobilitazione e proposta. La convinzione dalla quale si diparte il ragionamento (già precedentemente presente, come dicevo, nella linea Zingaretti) sembra essere, in sintesi, che il Virus abbia di fatto ulteriormente disvelato le fragilità e le contraddizioni dell’attuale modello di sviluppo ed abbia prodotto una accelerazione nei conflitti già preesistenti sui destini dell’Unità Europea e sulla crisi delle Democrazie Liberali.
Nel contempo la Crisi ha, al contrario, fatto riemergere con prepotenza alcune fondamentali “verità valoriali” classiche del campo democratico e di sinistra (si pensi ai temi della Sanità Pubblica, della Scuola Pubblica, del rapporto tra Scienza e Politica e via dicendo) e riproposto la necessità di una solidarietà sociale ed istituzionale “planetaria“ che ha ed avrà molto a che vedere anche con lo scontro da tempo in atto tra spinte autoritarie e sovraniste da una parte, e la necessità di un Costituzionalismo Democratico e Sovranazionale, capace di rispondere alle promesse mancate delle democrazie liberali salvandone e rinnovandone i princìpi “di diritto“ fondamentali, dall’ altra.
Dunque, dentro questo impegnativo e inedito coacervo di crisi profonda di “sistema“ – non prodotta dal Virus ma sulla quale si innesta la forza distruttrice ma disvelante del Virus – trova ragion d’essere e autonoma forza la parola d’ordine “Per un Nuovo Modello di Sviluppo“.
Una parola d’ ordine che si porta dietro e si nutre anche di un paradosso che fornisce, forse, una risposta anche al richiamato dibattito degli anni “60 e che è, più o meno, il seguente: senza un Nuovo Modello di Sviluppo che superi le contraddizioni di un “Mondo Malato”, neanche sarà più possibile sperare in una realtà diffusa di crescita e sviluppo, di produzione e di accesso alla ricchezza (“i soldoni”), di superamento o, quantomeno, di mitigazione progressiva di disuguaglianze sociali e territoriali, di governo civile dei flussi migratori, di risanamento del rapporto tra produzione ed ambiente. Ma è altrettanto vero che – dentro il formidabile spessore dei risvolti sociali ed economici della Emergenza Pandemica ed in attesa che muova i primi passi il processo di cambiamento – senza la capacità delle forze democratiche di garantire livelli dignitosi di “sopravvivenza“ agli “ultimi“, ai “proletari“, ai nuovi proletarizzati dei ceti medi delle società occidentali, ai precari ed ai precarizzati, ai migranti di ogni colore e latitudine, alle forze dell’ “intrapresa“ e comunque opponibili ai meccanismi perversi ed escludenti della Rendita – nessuna capacità di penetrazione potrà avere una parola d’ordine così ambiziosa che ha bisogno di “eserciti combattenti“ con inesplorate solidarietà e non solo di avanguardie pensanti a rischio di evanescenza e di isolamento ininfluente.
Insomma: l’attuale modello di sviluppo mostra crepe spaventose e dolorose, non più sostenibili e ancor più svelate e aggravate. Ma senza un adeguato sistema di protezione e sostegno civile e sociale risulterà molto complicato mobilitare le forze necessarie ad affermare altre compatibilità economiche e finanziarie, altre gerarchie di valori, altri assetti di potere.
Dunque, se veramente si vuole intraprendere l’arduo percorso – come penso necessario – conviene come sempre chiedersi non solo Che Fare? ma anche Come Fare e Chi fa?
Innanzitutto bisogna, immediatamente, scacciare la sensazione (sicuramente infondata, ma è bene chiarire) che possa trattarsi di una delle tante discussioni un po’ elitarie e salottiere alle quali periodicamente si assiste nei mondi progressisti. Capiamo tutti che non avrebbe senso alcuno, non produrrebbe alcun effetto lasciare questa discussione in un ambito volontaristico, telematico, disorganico, disconnesso dal fluire degli accadimenti e dai “grumi nevralgici“ del conflitto. Se non per impegnare fior di dirigenti, intellettuali, esperti in fiumi di parole senza sbocchi organici e “fruibili“ ad una ripartenza di un ciclo adeguato di cambiamenti e lotte sociali e civili.
E allora occorre, preliminarmente, che la discussione, che pure è bene avviare, trovi tempestivo riscontro formale e preciso in una scelta politica chiara, netta, oserei dire di rilievo “congressuale“ . E che l’ inizio del confronto sia profondamente segnato ed indissolubilmente legato ad alcune questioni strategiche senza le quali non si va da nessuna parte. Dovrebbe essere, infatti, del tutto evidente che la profondità del tema richieda una molto più ampia riflessione su almeno due questioni.
Porre il tema di un Nuovo Modello di Sviluppo, oggi, significa necessariamente ed immediatamente la necessità di mettere il pensiero ad esplorare complicati sentieri sovranazionali, planetari. Se il tutto dovesse ridursi ad una indicazione Nazionale – un po’ di lotta alla Burocrazia, un po’ di nuovi investimenti, un po’ di lotta alle povertà, un po’ di Europeismo critico – potrebbe essere una scelta neanche disdicevole di questi tempi. Ma non varrebbe l’ enfasi e la portata dirimente ed innovativa della Parola d’ Ordine. Dunque la differenza sta nella consapevolezza dichiarata ed esplicitamente proposta della dimensione radicalmente sovranazionale del confronto e dello scontro. E allora, una iniziativa di tale portata è possibile avviarla efficacemente senza una contestuale e intrecciata riflessione sul tema delle Alleanze Politiche strategiche in Italia ed in Europa, sul tema di cosa esattamente debba essere l’Europa, sul tema della natura e della organizzazione del PSE, sul tema del rapporto tra forze democratiche, popolari e progressiste Europee e forze democratiche e riformatrici nel resto del Mondo?
E ancora. Un progetto così ambizioso richiede inevitabili ed anche aspri conflitti sociali, istituzionali, politici. Potenti forze in giro per il mondo si muovevano e si muovono per ben altri territori. Altrettanto semplice è immaginare resistenze, contrasti, spinte opposte e restauratrici del precedente Modello e delle sue forze dominanti. E, dunque, è possibile immaginare un discussione così impegnativa senza affrontare contestualmente anche il tema del Chi fa?, di quali siano i riconoscibili Soggetti Sociali che si chiama ad essere protagonisti della lotta per il Nuovo Ordine, di quali siano le gambe, le teste ed i cuori sui quali debba poggiarsi lo sforzo inedito, di quale sia il perimetro del Campo Sociale dove provare a stringere le alleanze necessarie per qualunque ipotesi di cambiamento? Spesso la comunicazione del Pd, anche comprensibilmente, cita ripetutamente la frase, divenuta uno stilema , “lavoratrici, lavoratori, famiglie, imprese, persone“. Si capisce l’esigenza della comunicazione contemporanea. Ma non penso che questo basti a fondare una strategia così profondamente riformatrice. E’ possibile provare a ritrasferire nel campo della ricerca politica e culturale la necessità di una insostituibile esigenza di conoscenza scientifica, non sentimentale né approssimativa, di chi siano gli interlocutori fondamentali di tale proposta e, di conseguenza, contro cosa essa si rivolga e chi siano i suoi potenziali “nemici“? E se giustamente, come è facile prefigurare, una (non l’ unica, ovviamente) delle risposte dovesse essere (come anche deve essere) il Mondo del Lavoro, non sarà, per esempio, necessario e ineludibile tornare – dopo anni di ipocrita rifugiarsi dietro il comodo alibi dell’Autonomia – ad occuparsi, mentre si discute, di Sindacato, del suo ruolo e della sua funzione, dei suoi modelli organizzativi ed operativi , della sua dimensione Europea e transnazionale ? E non vale lo stesso anche per quel generico concetto di “ Imprese “ al quale sempre ci riferiamo ? A quale “ Capitale “ pensiamo quando immaginiamo soggetti capaci di rendersi disponibili a condurre, insieme ad altri, un battaglia sociale, politica e culturale che introduca modificazioni profonde nelle scelte che riguardano la Democrazia in Europa e nel Mondo, nelle scelte che riguardano gerarchie di “valori“ e , al tempo stesso, allocazioni di risorse strategiche, assetti di potere nella società e nelle istituzioni, diritti e relazioni sindacali, divisione internazionale del lavoro e flussi migratori, rapporto tra produzione, salute e ambiente?
Le persone e le famiglie sono concetti semplici, importanti e fondamentali per ciascuno, quanto astratti e generici sul piano della teoria politica necessaria a sostenere la scelta radicale di una parola d’ordine così impegnativa.
Tornando ora al Paradosso citato, l’argomento dei “Soldoni“, sagacemente utilizzato da Giorgio Amendola negli anni “60, ritorna ora con tutta la sua prosaica verità in questa fase di Emergenza Sanitaria, immediatamente trasformatasi in crisi economica e finanziaria di portata gigantesca, e diventa, ancor più paradossalmente, un argomento necessariamente complementare – non più contrario – al dibattito intorno al Nuovo Modello. E’ chiaro che di ciò vi sia una diffusa consapevolezza e che gli stessi sforzi del Governo sul fronte interno e nel dibattito europeo siano esattamente il segno di questa consapevolezza. Ma il punto è che per noi, per il PD, per la Sinistra non basta la consapevolezza della profondità della Crisi e dei suoi devastanti effetti. E’ necessario praticare e testimoniare nell’agire politico, nel confronto, nell’opera di Governo un di più che derivi, già ora, dalla capacità di condivisione e di “un farsi carico” delle fratture e delle fragilità che la Crisi propone o rinnova in forma ancor più afflittiva. E’ il tempo non solo di dichiararsi consapevoli ma di tornare a riconoscere e affiancare, dentro una tensione fortemente collettiva, quelle che Pietro Ingrao, in un celebre Comitato Centrale, definì “le Fratellanze Nostre“, i nostri potenziali amici e compagni di strada, i nostri valori dentro la carne viva e bruciante della società e della vita quotidiana.
Ricordo un confronto abbastanza vivace con un nostro deputato lombardo al quale facevo presente, non senza foga dialettale, l’ errore di lasciare nelle mani del Movimento il tema del Reddito di Cittadinanza. E le sue risposte sulle compatibilità ed i sani principi dell’economia liberale. I fatti, di lì a qualche mese, avrebbero purtroppo confermato le mie preoccupazioni e travolto la sua sicumera. Ora quella ferale distanza dalle “Fratellanze Nostre“ sembra ridotta sul piano teorico, ma non basta. E’ evidente, per esempio, che se dici “Decreto Aprile”, Decreto Aprile ha da essere. In mezzo a mille difficoltà e di ogni tipo, di fronte agli ostacoli più complicati. Ma se non fai in modo che per milioni di “ persone “ la tua indicazione politica ( questa e quelle che verranno ) divenga fedele compagna nelle bufere del presente, non reggerai il confronto nemmeno quando a quelle persone dovrai chiedere addirittura di lottare per un Mondo Nuovo. E, come già fanno, saranno altri, non il compagno Amendola, a dirti: “E i Soldoni?“
Infine vorrei concludere con un’ultima annotazione che contiene anche un preciso riferimento storico. C’è in giro, in diversi settori della pubblica opinione, la sensazione ingenua e infondata che, la drammatica prova della Pandemia, comporterà, quasi in automatico, il prevalere di tensioni riformatrici, di scelte illuminate e progressive, di solidarietà inedite tese ad affermare nuovi princìpi di Democrazia, Crescita solidale e sostenibile, Lavoro, Giustizia sociale. Niente di più falso, ovviamente. Le Crisi sono, è vero, momenti in cui nuove visioni si può tentare di affermare. Ma, come è noto, è vero anche il contrario e che forme di tenace restaurazione possano addirittura precedere e/o sconfiggere ogni anelito “rivoluzionario“. A tal proposito è utile ricordare la vicenda politica che scaturì dalle riflessioni politiche dentro il PCI dopo il terribile Terremoto dell’ Irpinia del 1980. E’ noto che dopo poche settimane da quel drammatico evento il PCI di Berlinguer – partendo dall’ analisi delle gravissime inefficienze della macchina statale nell’ emergenza e nei soccorsi e intrecciando quei fatti e le condizioni di vita delle popolazioni meridionali con l’ analisi del ruolo del sistema politico in quegli anni – lanciò la cosiddetta “ seconda svolta di Salerno “ e la linea dell’ Alternativa Democratica. Al centro della scelta vi era, anche allora, la consapevolezza che il Terremoto avesse disvelato annose e persistenti fragilità dalle quali sarebbe stato possibile uscire solo con un generale rinnovamento della politica italiana capace di superare il sistema di potere DC e di indicare per il Mezzogiorno e l’ Italia altre priorità e soluzioni. Non è questa la sede per analizzare i percorsi e i vari risvolti di quella vicenda, quanto quella scelta fosse basata su una attenta analisi dei rapporti di forza, quanto venne perseguita con coerenza e determinazione. So che da molti di noi fu accolta come una liberazione, dopo la crisi violenta e anche per mano assassina della straordinaria strategia del compromesso storico.
Ma la mia sensazione è che noi siamo oggi – mutatis mutandis – esattamente lì, in un tornante molto simile della nostra Storia. I fatti ci dicono che da quell’ esperienza nacquero alcune cose positive ma anche uno dei più potenti ed arroganti sistemi di potere e si posero le basi per una pervasiva e inquinante commistione tra affari, politica e camorra della quale ancora si pagano cari prezzi in molte realtà su tutto il territorio nazionale. Guai, dunque, a dare per scontate “magnifiche sorti e progressive“ quando ci si pone, a qualunque dimensione, dinanzi al decisivo tema di come affermare un Nuovo Modello di Sviluppo. Guai a cedere a qualunque forma di ingenuità, a qualunque forma di compiacenza estetica e letteraria. Per dirla in parole povere, se il problema è semplicemente come rendere il Paese efficiente e un po’ più moderno e meno diseguale (ripeto, obiettivi niente affatto disdicevoli) bastano, con qualche aggiustamento, il PD che c’è, il Sindacato che c’è, l’Europa che c’è e così via elencando. Ma se il problema è quello al quale ho cercato di fare riferimento occorrerà, da subito e con ragionato e metodico pessimismo della ragione, orientare il Pensiero verso audaci visioni e predisporsi, riorganizzando completamente le forze, ad un Combattimento intelligente, aspro e duraturo.