Torna in carcere Maria Buttone, moglie di Domenico Belforte, capo dell’omonimo clan attivo a Marcianise (Caserta); la donna, esponente di spicco della cosca già finita in manette in passato, è stata arrestata dalla Polizia di Stato – Squadra Mobile di Caserta – che ha eseguito il provvedimento del Gip di Napoli emesso dopo che sono state rese note le motivazioni della sentenza del dicembre scorso che condannò la Buttine all’ergastolo per aver ordinato l’omicido dell’amante del marito, accettando in cambio di ammettere a casa sua la figlia che la vittima aveva avuto dal boss.
Si tratta di un tipico caso di “lupara bianca”, visto che il corpo della vittima, Angela Gentile, non è mai stato ritrovato. Per il delitto, avvenuto nel 1991, è stato condannato a 30 anni anche il boss Belforte, già detenuto da anni. La Buttone è stata riconosciuta colpevole anche del reato di associazione camorristica, in quanto avrebbe svolto il ruolo di reggente del clan almeno dall’aprile 2016 all’agosto 2017, gestendo in particolare le attività estorsive. Determinanti nelle indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale antimafia di Napoli, non solo le attività di intercettazione svolte dagli investigatori della Squadra Mobile, ma anche le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia del clan Belforte. La vittima, è emerso, era stata per lungo tempo amante del suo carnefice e da lui, nel 1978, aveva avuto anche una figlia. L’uomo, tuttavia, non aveva mai “ufficializzato” quella nascita, al punto da non riconoscere la neonata.
Nel 1991, però, quando ormai la ragazza aveva 13 anni, si era riavvicinato offrendo anche alcuni contributi economici ma scatenando, al contempo, le ire della moglie. Questa, perciò, pose l’uomo di fronte a un aut aut: o lo avrebbe lasciato, portando con sé i loro figli, oppure lui avrebbe dovuto assassinare quella donna e occultarne il cadavere; in cambio, avrebbe accettato di crescerne la figlia presso la loro casa. Il boss accettò, così la Gentile fu uccisa e il cadavere fatto sparire.