PREMESSA
Dalla stessa penna qualche anno fa nacque Cocci di Cuore, libro diviso in due racconti, amore e non solo. In uno dei due, la penna dell’autore, assieme alla sua fantasia, partorì la figura di Demetrio Sarli, che senza volerlo e tenendo per sè il tutto, riuscì a risolvere un giallo al confine tra le due Nofi, insomma le due Nocera per chi non conoscesse Rea. Non un investigatore, non un poliziotto, semplicemente uno abituata ad ascoltare, a meditare, a guardare nell’animo umano con una certa dimestichezza. In Maluria, torna la Nofi del mistero, e quindi torna Demetrio Sarli, svegliato nella sua pigrizia da nullafacente intellettuale da un suo vecchio amico, ora carabiniere, che gli chiede una mano per risolvere un mistero capitatogli all’improvviso tra le mani, senza carte e con un paio di testimonianze. Mettere ordine in quel che è sparso, d’altra parte, è la sua specialità, a volte basta un indizio e mezzo per convincerlo che vale la pena arrivare al finale, alla soluzione, qualunque essa sia.
L’ABATINO E IL MARESCIALLO
Nofi Bassa, ottobre dell’anno di disgrazia 2020. Di prima mattina Sarli fa un giro per un quadrilatero, incrocia a testa bassa l’Abatino, ancora con la mascherina. Brera chiamava così Rivera. Lui, invece, definiva così un finto intellettuale che lavorava al tribunale, bravo a dire solo cose scontate, a scrivere cose scontatissime, mostrandosi di sinistra benpensante ma essendo in realtà solo un ex democristiano raccomandato, amico degli amici e poco altro.
L’Abatino, solito nascondersi nei momenti di difficoltà e quando doveva tirare fuori gli attributi, procedeva a testa bassa. Sarli sorrise ma nello stesso tempo capì che l’incrocio con quell’essere presagiva qualcosa di strano, fortunato o sfortunato non lo sapeva ancora. Passarono ore, ecco arrivare la novità. – Sarli come stai, sono io. Quando una telefonata comincia in tal modo, c’è da temere tutto o niente. – Di solito non rispondo agli anonimi, questa voce non mi è nuova – Per forza, sono il maresciallo Fasolino, tuo compagno di scuola una vita fa, senti in giro si dicono cose particolari di te ma non è il caso di parlarne a telefono. Vediamoci nel pomeriggio a Nofi Alta, appena termino il servizio – Non guido e mi rompe usare mezzi di trasporto, se ci tieni, vienimi a prendere.
L’abatino e il maresciallo nella stessa giornata, figure passate, lontane, chissà se comunicanti. La mente di Sarli cominciò ad aggrovigliarsi. Verso le quattro del pomeriggio arrivò la citofonata di Fasolino. Stretta di mano, via a moderata velocità verso Nofi Alta. Sarli conosceva alla perfezione i posti principali del paese. Ma ignorava certe frazioni. –Ma dove siamo, ai confini della realtà, dove mi hai portato. Sorrise il maresciallo – Siamo solamente a Taverne, ti ho portato qui perchè quel poco che so di una certa faccenda parte da questo posto, Taverne. Senti, prima di buttare tutto nel cestino del mio cervello, oppure scegliere di aprire un’indagine, ho bisogno del tuo aiuto, ormai di te dicono che sei meglio di un poliziotto, che capisci alla perfezione la mente umana, che riesci a collegare fatti e persone, quel tizio, Mattiello, ti ha dipinto alla perfezione nel libro che custodisco gelosamente nella mia libreria di casa. – Non so se esagerava Mattiello o esageri tu, comunque, in nome della nostra antica e quasi dimenticata amicizia, dimmi tutto.
Fasolino si fece coraggio. – Un mese fa, quando il coronavirus era finito o quasi, venne a cercarmi un frate di Santa Maria degli Angeli, poi trasferito altrove. Disse che doveva togliersi un peso dalla coscienza. Non avrebbe mai tradito il segreto della confessione, ma fra Olimpo mi disse che un infermiere dell’Umberto I in pensione credeva di aver assistito, in una notte di luglio di tre anni prima, ad un omicidio in ospedale. Cioè, omicidio vero e proprio no. Aveva intravisto una donna manomettere il lavaggio di un’ammalata anziana, ricoverata a Neurologia. Il sospetto che fosse accaduto qualcosa di strano, l’infermiere l’ebbe il giorno dopo, quando ad inizio turno gli dissero che la paziente aveva lasciato questo mondo. Trattenne il sospetto per anni, poi si sciolse in una confessione con fra Olimpo, persona affidabilissima. Non sto a raccontarti frottole.
-Ho capito, ma da me che vuoi ? Mi serve qualcosa in più. Se penso a luglio di tre anni fa e all’ospedale, mi viene in mente solo quella storiaccia, l’infermiere accoltellato dal marito pregiudicato di una donna del Vallo di Diano che viveva a Nofi Bassa. Una storiaccia, persino con qualche implicazione politica, qualcuno disse che era stato un albanese per coprire una normale storia di corna. Fasolino colse al volo le parole di Sarli – Bravo, hai una memoria di ferro, lo sapevo. Il fatto della confessione accade più o meno negli stessi giorni, bravo. – Bravo un cazzo, intanto comincia a spiegarmi cosa c’entra sto posto Taverne, magari ti rido in faccia e dico subito di no. – Caro mio, a Taverne nascono tutti i miei sospetti, dal racconto del frate, ho capito chi era la morta e dove sono cresciute persone che in qualche modo posso legarla all’ultima notte della sua vita. – Fasolì, sai già tutto, non hai bisogno di me.
Procedi con queste tue intuizioni. – Ho le mani legate, non comando io e non ho tempo a sufficienza, qui siamo una stazione di carabinieri disperati, io ti fornisco qualche traccia ma il resto lo fai tu con discrezione, guardando nel profondo le persone, facendole parlare, partendo da lontano. Mi hai quasi convinto, intanto vado a leggere la storia di Orlando, voglio capire qualcosa in più di Taverne.
Una dormita e una lettura sopra. Così Sarli decise di far passare le ultime ore di quel giorno. Rispolverò la storia dei nofinesi scritta da Gerardo Orlando. Nel terzo volume, a proposito dei moti del 1799, finalmente comparve Taverne, vi fu piantato e poi sradicato l’Albero della Libertà. Quindi Taverne esisteva sul serio, Sarlì pensò subito al giorno seguente, a come pronunciare un sì sofferto a Fasolino, a farsi indicare dal maresciallo posti, famiglie, aneddoti. Soprattutto a cosa c’entrasse Taverne con una vecchia morta più di tre anni prima all’ospedale di Nofi. Chiuse il libro, passò al suo eterno Gino Paoli, stavolta aveva voglia d’evasione. Ascoltò Sapore di sale, anzi la cantò a squarciagola. Ci voleva l’evasione. La giornata era stata particolare. Non tanto per Fasolino e le conseguenze prossime, quanto per la visione dell’Abatino, che gli ricordava la Patente di Pirandello, le persona che portano sfortuna, insomma che buttano seccia per farla breve. L’Abatino aveva aiutato persino un sindaco a farsi eleggere ma da quel momento in poi al sindaco era andato tutto storto, epidemia compresa, al punto di non lasciar traccia alcuna nella storia di Nofi Bassa. Invece a Sarli faceva ribrezzo, non paura. Ogni volta che l’incrociava, toccava mazzi di chiavi e cercava di arrivare con la mano destra fino agli attributi per grattarseli.
Il giorno dopo, al termine del caffè consumato col suo amico Fasolì, Sarli pronunciò il sì sofferto all’indagine privata, nel senso di segreta ma anche di privata di ogni mezzo utile tranne che dell’aiuto discreto di Fasolino, che finalmente gli rivelò cosa c’entrasse Taverne con la vecchia morta.
-Amico mio, la notte della morte della vecchia era di turno, come parente accanto a lei, una donna nata e cresciuta a Taverne, era quella che con molta probabilità è intervenuta sul lavaggio, in ospedale è andata tutti i giorni per due settimane e ha fatto parecchie notti. La morta era la suocera, anziana e vedova, ma ancora attaccata al denaro, aveva sposato uno della famiglia Varriale, gente terra terra e piena di proprietà.
L’unico figlio maschio ha sposato Katia di Taverne, una ragioniera dieci anni più giovane di lui che l’aiutava a portare i conti della famosa Ferramenta Varriale, un piccolo impero. La suocera viveva con loro, figlio e nuora. E tre nipoti. Il primo Federico, sonnambulo e con qualche orientamento strano dal punto di vista sessuale. La seconda Antonietta, nessuna voglia di studiare e qualche denuncia per bullismo. Il terzo Raffaele, nato a parecchi anni di distanza dai primi due, poco rassomigliante agli altri, la gente dice addirittura che sia figlio di una relazione tra Katia e un certo Michele o’mariuolo, uno che bazzicava da giovane la ferramenta. Ma su questo non so dirti di più.
Sarli prese appunti, non voleva perdere alcun particolare, spesso le storie vivono di particolari, tutto poteva utile. Poi, parlò. – Fasolì, voglio partire da Taverne, però mi devi raccontare qualcosa in più su questa Katia. Voglio capire chi era da giovane, acchiappare le sorelle, le sue vecchie amicizie. Insomma ho il diritto di sapere tutto, ahaaaa, t’è piaciuto mettermi sulla bicicletta però mi devi dare una mano a pedalare.
Fasolino non si lasciò pregare. Il maresciallo accese il sigaro e cominciò a sbrogliare la matassa. Katia è la seconda figlia di Domenico il portalettere e di Rosalia. Ebbero un primo figlio maschio, poveretto, morì a due anni Ferdinando, un problema al cuore. Poi nacque Cocchina, sposata con un perditempo, due figli. La prima si chiama Rachele, malformazione dalla nascita, è rimasta col cervello di una bambina ma ha 25 anni. Il secondo si chiama Alfredo, fa il barista, è amante delle cose giapponesi. Dopo Cocchina, barista mancata e assorta solo ad accudire Rachele e ad andare ai concerti di Renato Zero insieme alla sua amica del cuore Rita, arrivò Ivana, sposata un paio di volte, con due figlie strane, lavora in un supermercato a Bellizzi, è ipocondriaca, il suo soprannome è Maluria, inutile che ti spieghi il motivo, la sua vita è fatta di lutti e malattie. Infine Katia, aveva un avvenire brillante, cervello fino, ma fin da piccola manifestava stranezze, si rifiutava di mangiare, inventava personaggi inesistenti, faceva suoi i fatti che capitavano alle sorelle.
Sarli lo interruppe. Fasolì, secondo me c’è qualche tara familiare, mi ha fatto un quadro della situazione che quasi quasi mi spinge a scapparmene tra cinque, massimo dieci minuti. Fasolino abbozzò – E non ti riesco a dare torto. La tara forse ci sta sul serio. Domenico è immobilizzato da anni, sembra un vegetale, ha avuto botte alla cabina a ripetizione, sì insomma ictus, uno più devastante dell’altro. Sarli appuntò ancora. Poi sottolineò il nome che tutti usano per lei è Maluria. Andò sul cellulare di non ultima generazione che aveva con sè e fece una ricerca brevissima sul significato di Maluria. Voleva solo una conferma. L’ebbe subito. s.f. sec. XVI; prob. tratto da malaurio, propr. var. ant. di malaugurio. L’abatino e Maluria, era il massimo delle probabilità di scalogna, occorreva subito l’esorcista o la fattucchiera. Manco finì di pensare all’accoppiamento ed ecco che il cellulare cadde e andò in mille pezzi. Sarli non s’adirò affatto, ormai la sfida all’ignoto era cominciata, i primi effetti di Maluria, a distanza.
I PRIMI INCONTRI
Per tracciare il solco della particolare e riservatissima indagine. Sarli si fece regalare un corno rosso e partì di slancio. Il primo incontro fu con l’infermiere che aveva avuto lo scrupolo di coscienza. Si video al bar difronte all’ospedale. Gaetano Giorgio era pensionato da poco, ma di quella notte ricordava tutto. – Erano giorni particolari, dottò come ben sapete c’era stata la morte di quel nostro collega in circostanze molto particolari, come ben sapete…Erano le tre di notte, vicino al letto della signora Giovanna Vastola c’era sicuramente una donna, potrei dire quella che avevo visto anche in tante altre notti durante quelle due settimane, ma non posso giurarlo. Era buio, l’ho visto solo di spalle. La signora Giovanna fino a qualche ora sembrava migliorare, parziale segni di ripresa, gli occhi sembravano muoversi. L’ictus era stato pesante, chi la portò in ospedale diceva che era sbattuta per terra all’improvviso. Una signora molto attiva, a Porta Nolana la conoscono tutti, è la mamma di Gennaro o’ spuorco, vedova da molto, capace di mandare avanti l’attività della ferramenta come se fosse un maschio. – Signor Gaetano mi dovete spiegare qualcosa in più. Come ben sapete, esiste la miglioria prima della morte, quindi un epilogo naturale, con gli ictus non si scherza, specialmente sull’ottantina. – Dottò, è vero ma se uno vede manomettere la flebo, qualche domanda se la fa… Seconda osservazione, nessuno ne ha parlato tre anni fa…- Dottò, io ero ancora in servizio, eppoi chella famiglia è potente a Nofi Alta, è ammanicata con diverse autorità, pensate che si fanno pure le guerre tra cugini, buttano migliaia di euro in avvocati e processi per lo sfizio di una porta in più o in meno per le loro proprietà. A me lo scrupolo mi è venuto con la pensione, pensate quello che volete, ma non riuscivo più a dormire la notte pensando a quella scena. – E vi credo, figuriamoci signor Gaetano. Da quello che ho capito la persona che faceva quasi sempre la notte era la nuora Katia. Parlatemi di lei, del soprannome del marito così particolare, ditemi tutto quello che sapete. – Allora, una cosa alla volta. Il soprannome del marito, o’spuorco, viene dalla tradizione antica, in giro per Porta Nolana si diceva che in famiglia poco curassero l’igiene. Ma poi ha avuto pure un altro significato col passare delle generazioni. Gennaro va con ogni tipo di femmina, specialmente con quelle che facilmente si concedono, come debbo chiamarlo, insomma, un puttaniere. La moglie lo ha scoperto più volte ma non l’ha mai lasciato. Per una che significava poco a Taverne era stato uno scatto in avanti andare a comandare in una ricca famiglia di Porta Nolana, indietro non voleva tornare, non tanto per i tre figli ma proprio per lei, comandare gli piaceva. Eppoi ci sta un altro problema… -Signore mio bello, qui i problemi sono come gli esami, non finiscono mai, andate avanti, fuori il rospo. – La signora Katia, è cosa risaputa, non sta tanto bene con la testa, la chiamano la pazzarella di Porta Nolana. Ogni tanto gli vengono quelle cose, come si chiamano mannaggia, le crisi elettriche, no scusate qua elettriche, sto perdendo colpi, le crisi epilettiche. Ma c’è pure l’aggravante, un medico, in gran segreto, anni fa mi disse che aveva avuto una diagnosi di bipolarità, cioè quella è una persona in carne e ossa ma il cervello ne contiene un’altra, si scorda le cose, cambia idea sullo stesso argomento ogni dieci minuti, a volte gli vengono le crisi, a volte inventa cose della vita sua e degli altri che non sono mai accadute. O’ spuorco è nu puttaniere, d’accordo. Però vivere con una persona vicina come quella, non deve essere stato facile. Lei a brava nascondere il suo male, lo sanno in pochi, è molta furba e le poche volte che fa un guaio se ne va a nascondersi, in attesa di tempi migliori. Insomma la sua malattia tenta di non farla vedere agli altri ma in ogni tanto capita qualcosa che lei non può fermare, soprattutto quando aumentano le uscite, le amicizie, a lei piacciono le associazioni, in passato aveva anche sogni politici ma solo per far dispetto allo zio del marito, un vecchio e dimenticato assessore di Nofi Alta. Sarli restò interdetto, il quadro fatto in pochi minuti dal signor Gaetano gli pareva devastante, nelle forme e nei colori sembrava un Picasso riuscito male. Avere a che fare con gente come Katia poteva incidere negativamente sul suo umore, che da tempo tendeva alla normalità, pur avendo a che fare con la precarietà della sua non meglio definita professione, ora classificabile come giornalistica grazie ad un rapporto di collaborazione affidabile, e pur essendo combattuto ogni tanto da morsi e rimorsi, slanci di umanità e fughe da asocialità.
L’ultima domanda a Gaetano gli venne d’impeto. – Ma secondo voi, questa Katia è capace di uccidere o no. – Eee, quindi solo i pazzi commettono i delitti, mi meraviglio di voi, dottò. E’ attaccata ai soldi, ha le rotelle che non girano bene, tiene la doppia personalità, faceva quasi sempre le notti e avrebbe fatto volentieri del male al marito che la tradiva appena poteva. Il resto, se esiste, dovrete scoprilo voi, fatevi aiutare da Fasolino, lui di questa contrada conosce tutto e tutti. Sarli sorrise, come l’infame Franti del libro Cuore. Gli indizi c’erano, la storia poteva esserci, la voglia di scendere in campo un’altra volta gli era già tornata. Aveva soltanto qualche timore sulla doppia personalità della principale protagonista. Ci voleva un’esperta che le spiegasse meglio come muoversi. Fissò per il giorno dopo l’appuntamento con l’esperta, l’ultimo prima di cominciare a combattere.
Ufficio di Nofi Bassa, il giorno dopo, la dottoressa Melina Tagliaferro. Sarli non andò per le lunghe le chiese subito la sua diagnosi su Katia D’Angelo, sua cliente da qualche mese, dopo aver cambiato un’infinità di psichiatri, di cure e di pasticche. Cominciò con le cose standard della materia. – Le fasi maniacali nel bipolarismo, in alcuni casi, vengono generalmente descritte come l’esatto contrario di quelle depressive. Ovvero, caratterizzate da un umore alquanto elevato, dalla sensazione di onnipotenza e da un eccessivo ottimismo. In queste fasi, i pensieri si succedono molto rapidamente nella mente del paziente affetto da depressione bipolare o disturbo bipolare al punto da diventare così veloci che risulta difficile seguirli. Il comportamento può essere iperattivo, caotico, fino al punto di rendere il paziente inconcludente. L’energia del paziente bipolare in fase maniacale (o ipomaniacale) è talmente tanta che spesso il soggetto non sente la necessità di mangiare o di dormire. Ritiene di poter fare qualsiasi cosa, al punto da mettere in atto comportamenti impulsivi, come spese eccessive o azioni pericolose, perdendo la capacità di valutare correttamente le loro conseguenze. Ma non mi chieda del caso specifico, della persona in cura, di più non posso dire, siamo tenuti al segreto professionale, se lo ricordi sempre, ho fatto una mezza eccezione per lei solo per la delicatezza della questione che mi è stata esposta. -Dottoressa, ma una persona così, secondo lei può… La Tagliaferro lo fermò sul più bello – Può uccidere, se questo intende, come può farlo chiunque, solo che con una diagnosi del genere le conseguenze finali, lei capisce, sarebbero notevolmente diverse rispetto a quelle previste per i cosiddetti normali. – Già, i normali. Un giorno verrò da lei e faremo una bella discussione sulla normalità, ora non è il caso. – E io quel giorno spero sia estate per potermene andare al mare evitando il colloquio con lei, potrei sorprenderla, potrei farle una diagnosi in diretta… Sarli se la segnò senza offendersi, l’ironia lo colpiva come e più della bellezza e nel caso della Tagliaferro le due qualità si associavano. Il medico dei pazzi con cosce lunghe e lingua biforcuta. Poi pensò ad altro. La foto di Katia che Fasolino gli aveva procurato aveva delle somiglianze con certi aspetti dell’Abatino, la somiglianza gli venne in mente per caso, guardando alla tv un servizio di repertorio con l’Abatino in prima fila, col finto sorriso e l’aria di saperne più degli altri. Maluria doppia pensò, magari i due si sono pure conosciuti, in tal caso il corno unico non bastava, bisognava farsene regalare un altro.
Sarli andò a dormire dopo aver letto qualcosa di Brera per caricarsi. Il corpo della ragassa. Tirisìn, è la bella figlia di Pasquale, spalatore di rena sugli argini del Po, nella bassa provincia pavese degli anni trenta. Durante un viaggio in città, la ragazza viene notata dal facoltoso professore Ulderico Quario e subito assunta come cameriera. Il dottore s’improvvisa nell’istruire la rozza Tirisìn nelle arti di raffinata femminilità, al fine di poterla esibire come giocattolo sessuale ai propri amici. Una trentina di pagine, poi il sonno profondo.
Il mattino dopo, decise di dare un ordine alle persone da ascoltare in famiglia D’Angelo. E l’ordine non poteva che arrivare dalle date di nascita. Primo obiettivo, avvicinare e conoscere la primogenita, Concetta detta Cocca. Abitava a Crocetta, non molto distante dalla natìa Taverne. Ferrentino gli aveva fornito informazioni varie. E’ una tipa che tende alla psicopatia, il marito è un lavoratore fesso più che indefesso, in giro si diceva di una sua lunga e quasi platonica del passato, avuta con un tizio parecchio più grande d’età, relazione finita da tempo, che gli aveva lasciato qualche rimpianto ma anche il posto di lavoro che il tizio aveva di nascosto procurato all’indefesso. Almeno in famiglia c’era uno stipendio, oltre all’accompagnamento e all’assegno di cura per Rachele, poverina, che trascorreva le ore del mattino e del pomeriggio nella vicina Roccapiedemonte.
Sarli seguì Cocca di nascosto, a piedi, nel percorso che lei faceva verso l’ora di pranzo. Al bar, dal macellaio, dal tabaccaio. Per evitare problemi in più alla figlia, portava ancora la mascherina del Corona, una precauzione che era ancora di molti dopo i precedenti mesi che della primavera e dell’estate. Statura media, qualche chilo di troppo, qualche pelo di troppo, occhi vivaci, sculettamento voluto, troppi ciao amore tesoro detti a commercianti e commesse, auricolare fisso, cellulare sempre a portata di mano. Passarono tre giorni di sorveglianza da routine. Poi Sarli ruppe l’indugio. – Signora D’Angelo, sono Demetrio Sarli, giornalista di Nuovo Nofi, mi hanno chiesto per questo mese un articolo lunghissimo su Taverne e Crocette, non sono pratico della zona, mi hanno detto di fare riferimento ad un portalettere D’Angelo che da queste parti conosce tutto e tutti. Ma da quel che ho capito, le condizioni di salute non sono il massimo. Senza scomporsi, Cocca rispose e cominciò a cadere nel tranello- E’ mio padre, ma da anni non è in condizione di parlare. Se posso essere utile a qualcosa, magari ci prendiamo un caffè. Ma non si aspetti molto, la mia vita è tutta casa e spesa, sentiamoci tra un paio di giorni, un caffè e una chiacchierata non si nega a nessuno. Lei dice è un giornalista, lo sa meglio di me.
I virologi dicevano che il mostriciattolo poteva tornare ad autunno inoltrato. Sarli voleva finire la strana opera prima. Dopo due giorni, con puntualità, s’incontrò con Cocca al tavolino di un bar per l’annunciato caffè. Si fece spiegare Taverne, Crocetta e tutto il circondario alla perfezione. Ma notò che Cocca aveva voglia d’altro. Aveva voglia di parlare di sè, della sua infanzia, delle sue disgrazie e soprattutto di Renato Zero, il cantante ossessionante oltre che preferito. Sarli con perizia ne approfittò. Il discorso lo fece lentamente scivolare su Katia. E lei cominciò a parlarne al terzo sorso e alla prima sigaretta d’accompagnamento. – Katia è sempre stata l’intelligente della famiglia, gran fisico fino alla faccia, però i sentimenti non sono roba sua. Mio padre glielo disse che sposava un puttaniere. Ma lei voleva fare la crocerossina, voleva salvare il puttaniere, figuriamoci. Poi, praticando i Varriale, è cambiata. E’ diventata fredda, acida, pensa solo ai soldi. Io di soldi ne avrei molto bisogno per il mutuo che mi assilla ma a lei non chiede niente, sono orgogliosa. O’ spuorco la chiama la signora lavaportoni, non è giusto. Le voglio bene, ma io sono molto diversa da lei. Diceva al primo arrivato o conosciuto tutto con naturalezza. Probabilmente aspettava da anni il momento e la persona giusta. Sarli, piacevolmente sorpreso sempre di più, non si fermò e le chiese se era a conoscenza della malattia di Katia. – Ma quale malattia, a noi non ha detto mai niente, o finge alla grande oppure vuole passare per malata per non ammettere che ha fallito in parecchie scelte, il sentimento è un’altra. Da ragazzina gli andava dietro Enzuccio, un bravissimo ragazzo. Lei si scocciò subito, non gradiva il fidanzamento ufficiale e l’oppressione diceva. Lo lasciò all’improvviso. Enzuccio si tagliò le vene. Lei fece finta di niente, manco una visita di cortesia in ospedale. E questa è Katia, ho detto tutto. Poi passò a parlare della seconda nata, Ivana che viveva a Bellizzi – Non so se è sfortunata o porta sfortuna, gliene sono capitate di tutti i colori. Incinta, sorprese il marito con un’altra. Trova poi un compagno buono e fedele, il destino glielo toglie, una nuotata fatale e buonanotte al secchio. Ha attacchi di panico e una delle figlie soffre dello stesso problema. La vita non è stata tenera per me, anche se quella che dovrebbe lamentarsi più di tutte sono io. Ma ormai il tempo della rabbia col Signore per avermi fatto nascere Rachele in quel modo mi è passata. Quando arriva l’attimo dolore, canto Renato e penso ad altro, vado a fumarmi una cicca da Rita, la mia sciapita vicina di casa. A proposito, lei soffre di agorafobia, l’accompagno pure quando va a trovare l’amichetto a Baronissi per ogni evenienza. A quel punto Sarli tirò fuori un convintissimo Stamm a’ post,
ASPETTANDO KATIA
Non aveva voglia, Sarli, di andare fino a Bellizzi, cioè di far quattro chiacchiere con Ivana D’Angelo, la secondogenita. La sua pigrizia stanziale lo fece desistere, almeno per il momento. Invertì l’ordine, ora toccava a Katia, la più sospettabile se sospetto c’era. Non contento delle informazioni incamerate nei giorni precedenti, s’aggiornò con il maresciallo Fasolino, che la conosceva abbastanza bene. – Ambiziosa, leggermente civetta, non so se malata come alcuni dicono, matrimonio fallito da tempo ma senza separazione, in ballo troppi soldi, lei è intestataria di parecchie cose e se farle andare avanti, il marito si è fermato alle medie e a qualche condanna da bulletto giovane in sospeso. Lei si sente confinata a Nofi Alta, vorrebbe Nofi Bassa come vetrina, parla un buon italiano ma la cadenza dialettale emerge quando si incazza e quando va con quella scsc tipicamente meridionale. Si è candidata una volta a Nofi Alta prendendo una settantina di voti. Ha tentato qualcosa anche a Nofi Bassa ma gli è andata male, era in combutta con un certo Abatino, il cognome preciso non lo so ma tutti lo chiamano Abatino. Più di questo non so che dirti, chiamami se ti viene da chiedermi altro. Sarli sbiancò, c’era qualche connessione tra Katia e l’Abatino, una connessione tutta da definire e scoprire. I corni, pensò, passano a tre. Decise di saperne di più sotto il profilo medico. Non potendo più rompere le scatole alla di lei curante Tagliaferro, cerco altre tracce di Katia attraverso la sociologa Paola Panella, persona di rara intelligenza, aveva conosciuto la D’Angelo in una breve esperienza in comune nell’associazione di Pecorari, anche lì Katia era riuscita a mettere l’un contro l’altro, senza rompere però l’equilibrio del gruppo, come invece aveva fatto con successo nel gruppo che voleva unificare Nofi, che secondo Fasolino, era saltato in aria per colpa della signora, per una serie di motivi, diceva Fasolino in giro, che è meglio non spiattellare…La descrizione della Panella fu secca e precisa -Bipolare, certo. Ma anche, secondo me, con il Disturbo Narcisistico di Personalità. Ha un senso grandioso d’importanza. Esagera, si aspetta di essere considerata superiore senza un’adeguata motivazione. E’ assorbita da fantasie di successo, potere, fascino e bellezza illimitati, o di amore ideale. Crede di essere speciale e unica e di poter essere capita solo da, o di dover frequentare, altre persone speciali o di classe sociale elevata. Richiede eccessiva ammirazione. Ha l’irragionevole aspettativa di speciali trattamenti di favore o di soddisfazione immediata delle proprie aspettative. Sfrutta i rapporti interpersonali, cioè approfitta delle altre persone per i propri scopi. Manca di empatia, è incapace di riconoscere o di identificarsi con i sentimenti e le necessità degli altri. È invidiosa degli altri, crede che gli altri la invidino. Mostra comportamenti o atteggiamenti arroganti e presuntosi. Personalmente, la signora in questione mi ha fatto una brutta impressione. Pianto e risate nel giro di pochi minuti, tremore delle gambe e delle mani quando va in tilt. L’unica cura, scusa se sono drastica, è una bella porzione di cromo a giorni alternati, solo col cromo il cervello di quella signora può nascondere quel che è fin troppo evidente.
Incamerate altre informazioni di una certa pesantezza, Sarli decise di prepararsi all’incontro rifornendosi di musica e letture. Per la musica, restando sul pezzo, scelse Parole di Burro della Consoli. Narciso parole di burro. Si sciolgono sotto l’alito della passione. Narciso trasparenza e mistero. Cospargimi di olio alle mandorle e vanità, modellami. Raccontami
Le storie che ami inventare, spaventami. Raccontami. Le nuove esaltanti vittorie. Per la lettura, trovò interessante riaprire La Carne di Malaparte. L’atto di denuncia, il compiacimento, il disgusto dell’autore è evidente nella rovente bellezza della sua prosa: «Null’ altro rimane allora se non la lotta per salvare la pelle: non l’anima, come un tempo, o l’onore, la libertà, la giustizia, ma la “schifosa pelle”».
Poi arrivò finalmente il giorno dell’incontro. Sarli credeva di essersi preparato a dovere, un’inchiesta sul commercio e sulla produttività a Nofi Alta per il solito Nuovo Nofi. Appuntamento però a Nofi Bassa, dove la signora spessa si spostava per movimenti bancari. Portò con sè il figlio piccolo, na specie di pettulella e’ mammà che a tratti sembrava un robottino, specialmente quando parlava di Renzi e del vecchio governo, decisamente troppo per un ragazzino di dieci anni, chiaramente influenzato da quel che ascoltava da Katia, non certo da Gennaro, uno che al massimo in casa parlava di abbagliamento e creme al maschile per prepararsi ai futuri appuntamenti – Fasolino sosteneva che le ultimissime cummare in ordine di tempo le aveva tenute a San Tremante e Casa Cagnale. Sarli per l’occasione rispolverò il sigaro dei giorni particolari, quello metaforicamente ereditato da Peppino De Florio, comprato alla tabaccheria Ricci. La signora era incredibilmente pittata coi capelli in nero dopo averli portati per anni castani – anche qui c’entrava il bipolare magari – dopo una decina di minuti trascorsi tra economia e politica, arrovellò la scsc e cominciò a manifestare segni di inquietudine, alzava la voce col figlio indisciplinato – a suo dire – e tremava con le gambe. Sarli pensò ad un attacco di panico o alla crisi elettrica – per dirla alla Fasolino – ma pochi minuto dopo la signora si riprese, passò a ridere e scherzare, a parlare della famiglia, delle sorelle. Pettulella intervenne con un intercalare che appariva memorizzato da tempo. Mamma è tale e quale a zia Ivana, a volte alla zia la chiamano Katia tanto che si assomigliano. Per farvi capire, tipo Vincenzo m’è padr a me. Katia si fermò di botto e disse – Giornalista, io il vero sbaglio l’ho fatto vent’anni fa, lo sbaglio che ha ucciso la mia vita.
Conversazione per il momento troncata in modo netto, tra sorriso misto a lacrima contenuta. Un arrivederci incerto. Sarli, dopo l’ennesima chiamata a Fasolino, incominciò a inquadrare il soggetto. Fin dove poteva arrivare la malattia, se avesse superato il confine del far del male a qualcuno, se insomma poteva uccidere o indurre qualcuno ad uccidere. Troppo presto per una valutazione vera. Fasolino gli fece capire però che la signora accettava tradimento su tradimento e sottomissione su sottomissione – salvo dichiararsi libera e femminista sui social – per scalare ulteriormente le vette del piccolo potere di paese, di famiglia, di soldi in banca. Sarli a quel punto, con una serie di supposizioni e basta, spiegò a Fasolino che era necessario riesumare la salma di Giovanna Vastola per dare un senso minimo al tutto. Fasolino prontamente gli rispose che bisognava aprire un’inchiesta e che doveva avere un motivo plausibile per farlo. Sarli quasi s’inalberò- Guarda che a me piace fare il giornalista-psicologo per diletto ma qui potrebbe esserci in ballo un omicidio, quindi dammi una mano vera e non farmi perdere tempo. Il maresciallo non vacillò – Un motivo, mi serve un motivo…Bastò tale affermazione a scatenare il Demetrio versione furente. – Fasolì, te lo canto io il motivo. Siete un paese da distruggere dalla faccia della terra. Vi dividete per frazioni, rioni, condomini, piani di palazzi. Famiglie intere tenute unite solo per facciata, famiglie dove cova il male, famiglie con gente che non sta bene con la testa, famiglie che condizionano da anni il vostro paese. Altro che unificazione, la prossima volta che incontro il professore Decorato gli dico che è molto meglio riunire Nofi Bassa con Taurania. Che la smettesse di disegnare un futuro impossibile assieme al trio Piddì-Puppù-Pipì, al maestro n’zalanuto, al geologo intronato, all’Abatino che porta pure male, finalmente ho inquadrato il collegamento con la D’Angelo, faceva parte pure lui della combriccola del Comitato, aspè c’era pure il calabrese malandrino, un momento e ti dico il nome. Peppe Paposcia, un tizio strano di Cornigliano. A proposito da oggi considerami un collezionista di corni rossi, faccio l’ordine su Amazon. Fasolino rise di gusto e poi lo riportò a ragionare – Ecco, finalmente hai buttato fuori quello che hai dentro, ti fa bene questo caso, fa emergere anche la tua vena incazzosa. Bene così. Una settimana di tempo per trovare un motivo e apro l’inchiesta, faccio riesumare il corpo della vecchia, la cara signora Giovanna, che tanto ha sofferto pure in vita, il marito era peggio di Gennaro o’spuorco.
IL SOGNO RIVELATORE
Sarli era scoraggiato per certi versi e motivato ancora di più per altri. Aveva poco tempo, doveva escogitare qualcosa di serio nei giorni che aveva dinanzi per convincere Fasolì ad aprire l’inchiesta. Quella sera non lesse e non ascoltò niente. Preferì concentrarsi sul sonno, sperando magari in qualche aiuto eduardiano dall’esito meno catastrofico rispetto all’originale, fatto di sogni scambiati per realtà. E accadde. Nel sogno Sarli vide le tre sorelle, un ospedale, una mano che modificava il lavaggio, la vecchia Giovanna che prima sbarrò gli occhi e poi li chiuse per sempre, le tre sorelle darsela a gambe soddisfatte. Si risvegliò turbato. Il sogno poteva essere fortemente condizionato dalle sue prime deduzioni sulla vicenda e quel che più lo colpiva era la contemporanea e inspiegabile presenza di tutte e tre le sorelle D’Angelo. L’interessata era una sola, le altre due cosa potevano centrare con il sogno e l’eventuale morte procurata con la manomissione del lavaggio. E se fossero state in qualche modo complici, come era accaduto che la diretta interessata avesse avuto il coraggio e l’impunità di trovare dalle sorelle un aiuto del genere. Domande fondamentali, che non trovavano ancora risposte fondamentali o almeno definibili. Ma quel che più atterriva Sarli, era il finale comico del sogno. Le tre sorelle scappano e fuori dall’ospedale incrociano l’Abatino e gli esibiscono la maglietta con la scritta Maluria tra il sorrisino del signorino. Alla scena assiste un venditore ambulante di corni, che prima li tocca tutti e poi se ne scappa con l’intero contenuto della bancarella, contenente pure immaginette sacre da vendere nei pressi dell’Umberto. Un incubo, da rimuovere in fretta dalla mente e dall’anima. Sarli cominciò a capire gli effetti della Maluria, anche quelli indotti. Dalla mattina seguente, cominciò a scansare i gatti neri, i carri funebri vuoti, le scale, i vetri che si possono rompere, le persone che parlano di esorcismi, i predicatori di sventura, quelli che guardano fisso, quelli che trovi davanti nei momenti meno opportuni, i dentisti, i nostalgici, quelli coi tic nervosi, quelli coi tic tac, i venditori ambulanti di calzini, gli aggiustatori di computer, i portantini, le commercialiste mancate, i biciclisti alla moda, i trappari, i trippari, gli autori di libri inutili, i presentatori di libri inutili, gli scartiloffisti, gli arrocchiapampana, il latte e suoi derivati, i cancellieri, le suore di clausura che si aprono su facebook, i napoletani sulle spiagge, i fontanieri costosi, gli autisti ubriachi, i mediani che non spingono, i portieri di riserva raccomandati, quelli che citofonano per la pubblicità sempre a te, i presuntuosi senza motivo, gli assetati di visibilità, i logopedisti, i testimoni di Geova, i catecumenali, quelle che usano i filtri per la foto profilo sui social, i pensatori inconcreti, i geni incomprensibili, quelli con la bandana, i politicanti da bar, quelli che ti fanno due palle tante dopo trenta secondi di una conversazione che tu nemmeno volevi iniziare, le mamme che salvano i figli dalla denuncia circuendo le forze dell’ordine, i papà che nascondono nel cassetto gli spinelli e le creme per il viso, i manipolatori, quelli che mettono l’hastag pure per andare in bagno, gli amanti degli slogan e delle frasi fatte, i replicanti, i figli d’arte, i padri d’arte, quelli che fanno filone solo per non andare a scuola, i contrari a tutto, i favorevoli a tutto. Ma dovendo pur uscire di casa, Sarli preferì il sospiro di sollievo e una scorta ormai impressionante di corni rossi. La realtà bisognava affrontarla, meglio se muniti di amuleti vari- pensò anche al pacco di sale – per arrivare a far quadrare conti difficili, con cifre non stimabili di delitto e allo stesso tempo con una serie di addizioni complesse. Narrò del sogno a Fasolì, che per sua sfortuna non la mise sul ridicolo, anzi gli suggerì di sfruttare i pochi giorni a disposizione per sentire di nuovo le sorelle, per sondare altra gente, per raccogliere ogni tipo di materiale, comprese le dichiarazioni di reddito e i fogli del catasto, pur di arrivare al minimo indispensabile per un’inchiesta da aprire.
LA RICOSTRUZIONE DELLA NOTTE
Sarlì voleva ogni particolare. Soprattutto sulla notte della morte di Giovanna in ospedale. Non gli bastavano più le parole dell’infermiere-pensionato-pentito. C’erano da approfondire diverse cose. La data, innanzitutto. 25 luglio 2017, un martedì. Poi l’ora, le 4 del mattino. Informazioni avute cercando la persona giusta. La caposala di Neurologia Maria Esposito – Vede signor Sarli, per puro caso quella notte ero lì, non ero ancora caposala, sostituivo un collega per il notturno. Io ho un’abitudine tutta strana quando lavoro di notte. Passo per ogni camera, controllo quando gente esce ed entra tra i familiari o chi fa la notte per guadagno, metto a matita il numero delle persone accanto a nome e cognome del paziente. Il 25 luglio, ho tre segni a matita accanto al cognome Vastola. Quindi sono passate sicuramente tre persone da lei nel turno notturno. Anzi le dirò di più, siccome questa folla mi pareva cosa strana, segnai anche gli orari. Le tre persone passarono tra le 2 e 4, erano tre donne. Sarli ascoltò la caposala con rinnovato stupore. Se assassinio c’era stato, poteva essere addirittura assassinio di gruppo. Una bomba, roba da Cronaca Vera di una volta, con ricami e contro-ricami. – No, non so dirle chi fossero, tranne una delle tre, le altre mai viste nei giorni precedenti. Una credo sia la nuora della signora, da quel che ricordo. A quel punto Sarlì cercò di sfruttare memoria ed esperienza di Maria, andando molte, chiedendole cosa poter avere ucciso Giovanna. – Lei mi fa una domanda precisa, non voglio entrare in casini. Quella notte il medico di turno, che purtroppo non è più su questa terra, sulla cartella scrisse morte causata da un improvviso regresso nella cura dell’ictus di natura ischemica, improvviso regresso dopo giorni di andamento piatto o di lento progresso. Anticipo la prossima domanda che mi farà, l’ultimo lavaggio della signora è iniziato alle 2,30. Ricordo che il mio collega di quella notte, mi disse di trombolitici che dovevano scendere con lentezza, che se si addormentava magari andavo io a controllare dopo un’ora, al massimo un’ora e un quarto. Quadro abbastanza principio, occorreva l’ultima domanda, magari accompagnata da una corroborante ultima risposta. Cosa poteva determinare la morte improvvisa, nel senso che farmaco poteva aver provocato l’eventuale morte voluta, cioè procurata. Maria rimase un silenzio per almeno trenta lunghissimi secondi. Poi scelse di rispondere. Le dico quel penso per un unico motivo, quella morte così strana e improvvisa mi ha lasciato per mesi interdetta, dubbiosa, perplessa, persino insonne. Eppure di morti ne ho viste in vita mia, pure troppe. Ma quella… Ammetto, può essere successo qualcosa d imprevedibile. La confessione dell’infermiere che era con me quella notte, mi libera da un peso anche se mi occupa la mente su come, chi e perchè. Il come posso ipotizzarlo, al resto deve pensare lei, anzi lasci fare ai carabinieri, ne esca da questa storia, mi sta simpatico, non vorrei che passasse un guaio. Il corpo della signora emanava un odore di mandorla amara. Ma a nessuno venne la voglia di dirlo, di interrogarsi, di mettere per iscritto qualcosa di diverso da un normalissimo e scontato foglio di cara. Cianuro, fu la risposta immediata e arrabbiata di Sarli, che subito a ripassò a memoria gli ultimi eventi della seconda guerra mondiale, alla fine di Hitler, Goring ed Eva Braun. Col cellulare, andò a cercarne gli effetti standard. A una dose di 2,6 mg, il veleno è mortale». Il veleno blocca il trasporto di ossigeno alle cellule, dato che il cianuro si lega molto facilmente con il ferro e quindi lo “cattura” e la cellula muore “soffocata”. Provoca una perdita di coscienza brutale e la morte può sopravvenire rapidamente per arresto cardiaco. Un bel passo in avanti. Però non bastava. Mettere da parte il come, ipotizzato, e chiedersi il perchè. Focalizzandosi su Katia, le altre due potevano essere complici o esecutrici materiali di un piano che solo lei aveva interesse a ideare. Muore Giovanna, c’è da dividere l’eredità tra soldi e proprietà, al figlio maschio prediletto va la parte maggiore, Katia diventa più forte, in grado di sopportare altre corna pur di sentirsi ancora più potente, padrona della ferramenta, padrona della casa e della famiglia, insostituibile, in grado di muovere come burattini tutti quelli che le giravano intorno, magari svelare un giorno lontano l’amore per l’Abatino, qui però le cose già si facevano complicate, l’Abatino era troppo furbo per rinunciare al suo mondo. Muore Giovanna, aveva scoperto prendendo tra le mani il cellulare della nuova la tresca tra lei e l’abatino, si preparava a dirlo a Gennaro. Per Katia sarebbe stato un colpo da ko, non per le corna, in minima parte ricambiate, ma per l’impossibilità da quel momento in poi di far pesare le colpe da una sola parte della bilancia. Muore Giovanna, il figlio si pente, decide di non fare più o’spuorco e di intestare parecchi averi, ferramenta compresa, a Katia e ai figli, come da richiesta più volte avanzata dalla D’Angelo ma espressamente non gradita proprio da Giovanna, che non voleva proprietari o padroni di quel mondo aventi un cognome diverso da Varriale e magari pure da qualche Vastola che poteva comunque entrare in ballo.
ENTRA IN AZIONE MAZZOLA
Restava da conoscere la terza sorella D’Angelo e sperare che fosse loquace come le altre due. Ma Sarli non aveva voglia alcuna di spostarsi a Bellizzi e allora gli venne in mente Mazzola, l’anti Abatino, calcisticamente parlando. Alessandro D’Alessio, detto Mazzola per l’abilità giovanile nel calciare il pallone all’incrocio di ogni palo e di metterci l’anima in ogni partita, insomma tutto il contrario dell’Abatino, coccolato ma flanella di carattere. Mestiere guardia giurata, proprio dalle parti di Bellizzi. Nato e cresciuto a Nofi Alta, più o meno dalle parti di Taverne. Agli occhi di Sarli, aveva un solo grande difetto. Fascistone, uno di quelli che ci crede ancora, uno di quelli che puntualmente ti dice che l’unico errore della Buonanima fu la guerra con Hitler. Inutile discutere con uno così. Però era sveglio e corretto. – Mazzò, sempre con sti baffi, ma a pallone mi dicono che giochi ancora bene. Mazzola sorrise con parsimonia – E tu sempre a sfottermi, mo gioco con l’Amatori Nofi, mi diverto ogni sabato, sono sempre il migliore, pure a 55 anni. Pochi fronzoli e poche carinerie. Sarli venne al dunque, gli raccontò tutto e cosa voleva da lui. – Una famiglia particolare i D’Angelo, secondo me l’unico buono era quello che non c’è più. Li ho conosciuti da bambino, svitati tutti, genitori e figlie. Questa Ivana la ricordo appena, ma Bellizzi è roba mia, non ti preoccupare, la trovo e col mio fascino mi faccio dire quel che vuoi, anzi quel che voglio, ricordati che questo piacere te lo faccio solo per ringraziarti di quando mi aiutavi a scuola, però sul fascismo ho ragione io e a calcio eri scarso, non correvi, pretendevi di giocare da fermo e che gli altri si sforzassero di correre anche per te. Nella vita non è così. Devi correre da solo, per te stesso, chi si ferma è perduto.
Mazzola aggiunse qualche volto in più al quadro già notevole. Ma si trattava di personaggetti. Conosceva Ferrentino, un tipo strambo che faceva il doposcuola e che assecondava Katia nei deliri sulla riunificazione nofinese, diventato noto in città per la partecipazione ad una chat erotica che aveva suscitato ilarità generale. Conosceva Contento, il marito di Rita, l’amica del cuore di Cocchina, la mezza tacca che di nascosto Rita tradiva nelle trasferte a Baronissi. Erano per Sarli, appunto, personaggetti, un aggettivo del Governatore. A proposito della sua rielezione a furor di virus, Mazzola tentò di iniziare il solito sermone. – Ha usato il virus per vincere a mani basse, voi in queste siete bravi, approfittate di tutte le occasioni e le girate a modo vostro. Sarli l’arrestò immediatamente- Mazzò, non ho voglia, Polpot era già forte, ha vinto per il semplice fatto che non aveva rivali. Mo tra poco mi dirai che farà tornare il virus per comiziare ogni settimana sui social. Non ti preoccupare, il virus tornerà comunque, lo dice la scienza ma io manco alla scienza credo più figuriamoci al Governatore. – E in che cosa credi, dimmi. – Credo che domani sarà una bella giornata di sole.
LA NUOVA PSICHIATRA
Aspettando notizie da Mazzola, Sarli venne a sapere che Katia aveva cambiato l’ennesima psichiatra, alla ricerca com’era di una guarigione impossibile o almeno di una stabilizzazione del male. La prescelta stavolta era Emiliana Vallone, signora dai capelli corti e grigi di Roccapiedimonte. Le sue teorie andavano oltre la psichiatria, ad esempio fare a meno degli uomini, metterli da parte, considerati il male assoluto. Consigliava alla pazzerella di Porta Nolana di continuare a vivere con Gennaro pur non calcolandolo più sotto l’aspetto affettivo di coppia e nello stesso la metteva in guardia da possibili uomini nuovi, persino dagli eventuali nuovi approcci con l’Abatino, tanto gli uomini sono tutti uguali, dovranno essere le donne a comandare. Tutte teorie che sulla carta piacevano da sempre a Katia, che però da sempre si contraddiceva nella pratica, la parte femminista di lei, seppur fosse esistita per davvero e non solamente sulla tastiera ad uso social, era auto-repressa, l’aveva scelto lei, meglio la sicurezza di soldi e potere piuttosto che patire, ricominciare daccapo, rendersi finalmente autonoma. Le sedute con Emiliana erano andate avanti anche nel periodo più oscuro del virus, in forma on line, tra alti e bassi, tra pillole in più o in meno. Sarli naturalmente s’era fatta un’idea precisa. La D’Angelo mai avrebbe confessato a Emiliana un eventuale omicidio, lei era un tipo che dice solamente quel che vuol dire per raggirare e manovrare il prossimo, mai niente di vero su quel che le battaglia dentro, nella testa più che nel cuore, per il semplice fatto che il secondo muscolo in lei batteva solo per tenerla vita non certo per suscitarle emozioni e sentimenti particolari. Sarli, dunque, annotò solamente il numero di cellulare della psichiatra, in quel momento non c’era ragione di approfondire eppoi le psichiatre sono peggio dei testimoni di Geova, basta incontrarle per lasciarti suggestionare sulla fine del mondo o almeno sulla fine del tuo mondo, non era proprio il caso, incombeva l’incontro con Fasolì e dietro l’angolo ci sarebbe stata un’altra ondata di virus, vaccino ancora non trovato, sperimentazione a rilento. Eppoi questa Vallone cosa mai poteva aggiungere a un quadro clinico così preciso…Meglio conoscere, a sto punto, le paturnie delle altre D’Angelo e cercar di capire se la tesi dell’omicidio di famiglia potesse stare in piedi o solo cadere nella fantasia senza far rumore. Due giorni dopo, Mazzola era già pronto a precipitarsi all’appuntamento davanti al solito caffè, aveva già avuto modo di interrogare, si fa per dire, la sosia di Katia, la mezzana Ivana. – Mazzò, forza, l’hai già conquistata, hai fatto prestissimo… – Non c’è male ma non è il mio tipo, avevi ragione assomiglia moltissima a Katia. Ora è libera, la testa è ancora al compagno perso per una nuotata. Mi ha detto che era un giorno particolare, lei se lo sentiva scorrere, aveva chiesto al suo amore di non andare a mare. Insomma qui finisco per darti ragione sulla Maluria, è cosa di famiglia, regalami pure tu un corno rosso appena puoi. Viso dolce, ma parecchio veleno dentro, un’altra caratteristica di famiglia. Ha detto che a Nofi Alta non tornerebbe mai ad abitare, dalle sorelle vuole rimanere distante, secondo lei hanno tutte e due problemi seri, forse più di lei che li manifesta apertamente con attacchi di panico e periodi di prolungata ipocondria. Di Cocchina, sorridendo sorridendo, ha detto che non è buona a nulla, tranne che nei consigli medici, e che la disgrazia della figlia l’ha aiutata a quello che preferisce di più, non fare nulla dalla mattina alla sera, pazziare col telefonino e con la vicina di casa, vivere alle spalle di qualcuno, insomma un quadro senza firma d’autore, una copia sbiadita, anzi una crosta. Quando gli ho chiesto di Katia, apriti cielo, mi ha fatto impressione la ferocia usata con le parole. Secondo lei, basta parlarle per dieci minuti di fila per capire che è una bipolare, una persona pericolosa, capace di farti fare cose che mai avresti da fare, che la somiglianza fisica con lei quasi l’imbarazza e che per colpa di Katia subivano tutte e tre da bambine punizioni, venivano chiuse nel garage, lei e Cocca andavano per solidarietà con Katia che faceva continui capricci e non voleva mangiare. Sarli, che ti devo dire di più, stai alla larga da loro, ma tu già lo sai e ti sei premunito con i corni rossi, quanti ne hai adesso forse bastano ma fa attenzione lo stesso. Sono tutte e tre malate dentro, non solo in testa. Sono tutte e tre capaci di colpire e nascondersi. Di uccidere non lo so, però a questo punto, può darsi che uccidere per loro sia soltanto un intralcio, incapaci di intendere e volere come sono, almeno a tratti, la differenza tra sole e buio, amore e pietismo, vita e morte.
Sarli si complimentò con Mazzola, altro che guardia giurata, era diventato un investigatore vero e uno psicologo in fase di crescenza. – Mazzò, grande giocata, da oggi in poi considerami semplicemente il tuo Bedin, non di più. L’Abatino aveva Lodetti, tu hai Bedin. Mazzola si urtò per finta – Gli abatini li schifo, non ha senso correre per loro, sono codardi e falsi, sapessi quanti ne ho conosciuti sul campo e nella vita, vanno bene per i tipi come le D’Angelo, abituate a fingere in ogni situazione, ecco gli abitini s’accoppierebbero bene con loro, le persone vere no, scoprirebbero subito il loro gioco e le lascerebbero al destino di chi ha già perso. In amore, nella stima degli altri, nelle amicizie. Sono pericolose più del virus ma perdenti, ricordatelo, per il semplice fatto che il vaccino si trova, sono furbe ma non intelligenti e io sarò pure un fascista ma ho sempre stimato l’intelligenza, non la furbizia. Tu sei intelligente, vai avanti, se sono arrivate a uccidere non fargliela passare liscia, fa il pressing su Fasolino. in fondo è un buon uomo, non si tirerà indietro.
Si abbracciarono più del solito. Poi Sarli andò ad ascoltarsi Jovanotti sul Tubo. Dicono che è vero che quando si nasce sta già tutto scritto dentro ad uno schema. Dicono che è vero che c’è solo un modo per risolvere un problema. Dicono che è vero che ad ogni entusiasmo corrisponde stessa quantità di frustrazione. Dicono che è vero, sì ma anche fosse vero, non sarebbe giustificazione. Per non farlo più, per non farlo più. Ora.
I COLPI DI SCENA
Mattina dopo, Sarli nel mettersi la giacca da autunno ancora tiepido nota che in tasca c’è una lettera con la scritta DA MAZZOLA, infilatagli evidentemente all’atto di alzarsi per pagare il caffè delle rivelazioni. La legge in un attimo CARO SARLI, AVEVI VISTO GIUSTO SU PARECCHIE COSE MA NON SULL’ABATINO. CONTINUANO A NON PIACERMI GLI ABATINI MA QUI IL VERO LEGAME DELLA SIGNORA KATIA, ANZI UNO DEI LEGAMI, FORSE L’ULTIMO CAUSATO DALLA SITUAZIONE MENTALE STRANA, E’ STATO COL CALABRESE PEPPE PAPOSCIA, ME L’HA RIVELATO LA SORELLA DI BELLIZZI. SE NE ACCORSE ANCHE GENNARO VARRIALE, CHE PER AVERE LE PROVE MISE DELLE CIMICI NELLA MACCHINA DI KATIA E RISCONTRO’ UN PAIO DI STRANE TELEFONATE TRA I DUE…
Azz, mormorò Sarli, sta Pazzarella non è certo una santarella. Mazzola allegò con perizia degna da vero investigatore una serie di notizie sul curriculum vitae di Peppe Paposcia, possidente terriero calabrese di Cornigliano, sposato e accasato però a Raito sul Mare, dove tornava ogni fine settimana. Famiglia legata alla ‘n drangheta, lui traffichino nel periodo della fusione tra Cornigliano e Rossanda, poco abile pirata informatico nel tempo libero. Secondo Ivana, aveva adescato Katia promettendogli la riunificazione delle due Nofi, grazie all’operato politico di potenti amici, in particolare del già condannato Sergino Gigi, un pugliese che godeva di una fama ingiustificata. Katia, per brama di potere e per arrivare fino ad un risultato nella vita più che per l’amore, sentimento a lei sconosciuto, gli si buttò tra le braccia, dimenticando persino il platonico rapporto con l’Abatino. Il finto amore scoppiò ad agosto 2018, quando la furba Katia e l’imbroglione Paposcia fecero in modo di diventare vicini di vacanza in Calabria con le rispettive famiglie. Il punto più basso della faccenda arrivò nel giorno del crollo del Ponte Morandi a Genova, quando Gennaro capì quel che stava per avvenire e con primordiale gelosia da possesso cominciò a pensare alla sorveglianza speciale per la moglie…Paposcia, furbastro, scomparì un pezzo alla volta, nel giro di qualche settimana la riunificazione delle due Nofi, un affare per lui e un vanto dispettoso per lei, sparì dall’orizzonte grazie all’intervento di qualche onesto uomo che aveva visto o intravisto in anticipo lo scenario. Paposcia ci provava anche con altre, ma ormai era sgamato in tutto e per tutto, se ne tornò ai suoi loschissimi affari.
Sarli, terminata la lettura di Mazzola, arrivò alla decisione del tutto personale di lasciare il resto delle indagini alla baffuta guardia giurata e di mettersi di lato, dedicandosi alla relazione finale da sottoporre all’attenzione del maresciallo Fasolino. Ma il destino degli altri, che finiva per diventare destino della vicenda, era in agguato. Arrivò con la telefonata di Fasolì – Amico mio, sulla Maluria e sui corni rossi hai pienamente ragione, tragedie su tragedie, è morte Domenico D’Angelo, il padre delle tre, e nel giro di mezz’ora è morta pure Rachele, la figlia handicappata di Cocchina. E c’è di più, ascoltando le notizie che arrivavano alla madre per telefono, la figlia di Ivana ha tentato un suicidio da panico, per fortuna non è grave, ha ingerito solamente qualche pasticca in più. Non so che pensare, Domenico e Rachele, con l’ictus e con la cardiopatia, avevano resistito al virus e se ne vanno ora che il virus non c’è, anche se dicono ci sarà ancora. La vita, la vita…I funerali di Domenico e Rachele hanno deciso di farli assieme domani mattina alla chiesa dell’Arcangelo. Magari ci vai a fare una passeggiata… – Fasolì, non scherzare, a me gli assembramenti non mi piacciono da sempre, non c’era bisogno del governo nobiliare per farmi cambiare le abitudini. E non mi piace il clima di Nofi Alta, la credevo diversa ma è un groviglio di gente che nasconde e si nasconde. E non mi piacciono le sorelle Maluria, una peggio dell’altra. Al massimo mando il nostro amico Mazzola, sta facendo un buon lavoro, avevi ragione, quando s’impegna è un fascista passabile, non per le armi si intende, non vorrei offendere anche te, ahaaa. Gli passo le foto della gente che non conosce di persona, magari si riuniscono tutti assieme al doppio funerale e ci danno qualche spunto, a proposito fammi sapere qualcosa in più su un certo Peppe Paposcia, chiama in Calabria, potrebbe avere qualche precedente, attenzione però, questo è uno che ti mette sotto controllo il telefonino, potrebbe scoprire la tua riservatissima vita privata, ahaaaaa. Sarli reagiva alle notizie tristi con l’aumento dell’ironia, è il suo modo di fare. Soprattutto la morte di Rachele l’aveva colpito. 26 anni, altezza un metro e 20 centimetri, cervello con l’evoluzione fermata ai 3 anni. Cocchina all’inizio pensava fosse una bestemmia di un Dio crudele, il marito nulla facente invece si lasciò convincere che fosse un dono speciale e diventò credente praticante, un pò alla volontà Cocchina si calmò con il resto del mondo, con Dio no. Fu l’unico momento in cui Sarli si commosse, poi riprese a studiare la relazione da scrivere per Fasolì e comunicò le ultime novità a Mazzola, che accettò di partecipare al doppio funerale. Mazzola accettò con un sms che conteneva ulteriore rivelazione, Katia D’Angelo iscritta al gruppo Fb del Poliamore, insieme di persone che giustifica più rapporti sessuali e sentimentali contemporaneamente. Sarli rispose con un laconico IL SONNO DELLA RAGIONE GENERA MOSTRI E MOSTRE.
IL DOPPIO FUNERALE
Suonavano a morte le campane dell’Arcangelo, la chiesa di Crocetta e zone limitrofe. Cocchina accompagnò la bara di Rachele fino alla porta, scelse di non entrare, un ultimo gesto di rabbia verso quel Creatore che con la figlia mai aveva mostrato pietà. L’affidò al marito, che credeva nel Creatore, dedicandogli il tempo libro tra lavoro e palestra. Non c’era Ivana, impedita nel salutare padre e nipote dal gesto inconsulto della famiglia, già fuori dall’ospedale ma bisognevole di conforto e non certo di un doppio funerale per star male. C’era Katia con Gennaro, c’erano i tre figli, le sorelle di Gennaro con relativi mariti, c’era l’antica fiamma di Cocchina, quindi con Rita col marito cornuto. In un angolo l’Abatino con tutto il gruppo degli ex riunificatori. In extremis arrivò Peppe Paposcia, guardato a distanza dagli uomini in borghese, inviati dal maresciallo Fasolino a conferme avute della pericolosità del tizio, appartenente a una precisa cosca del malaffare. Pacienza c’ vo, disse a bassa voce Mazzola con un vecchio amico ritrovato in chiesa. Mazzola era lì per Sarli, annotò movimenti e facce di tutti i presenti, ogni dettaglio poteva servire. Uscì dalla chiesa per una decina di minuti solo quando Don Lurio attaccò con la predica, pur essendo fascista e cattolico di Santa Romana Chiesa, non gradiva le parole sprecate, il cercare di giustificare una morte, in questo caso una morte doppia. Nei dieci minuti fuori dalla chiesa, con la mente andò ai tempi dell’infanzia, a Taverne e Crocetta di una volta, ai giochi sotto i portoni, alle corse in giardini improvvisati, alle sorelle D’Angelo che aveva considerato strane fin dalla tenera età, a come fosse pura utopia riunificare con la diversissima Nofi Bassa quel mondo fatto di trame, di tresche, di infamie sotterrate ma mai dimenticate, alla destra pacchiana e magna magna che cercava di ostacolare l’avventura del Giovin Signore. Si ridestò notando che Paposcia era uscito dalla chiesa mentre lui si accingeva a rientrarvi, uscito e già intento a smanettare sul cellulare. Mazzola osò – Signor Paposcia, che piacere rivederla, che sorpresa. Lei non si ricorda di me, ci siamo visti a Cornigliano un paio d’anni fa, un comizio di riunificatori calabresi, c’ero per prendere appunti e girarli agli amici della riunificazione nocerina. Una bugia che avrebbe insospettito tutti, Paposcia però era talmente vanaglorioso da cadere nel tranello. – A Cornigliano abbiamo fatto una cosa grandiosa. Qui non ci siamo riusciti, sono venuto a salutare la signora Katia, con lei ho lavorato molto, magari arriveranno tempi migliori. Nofi riunita porterebbe un sacco di quattrini a tutti. Un parco giochi Nofiland, un supermercatissimo, la linea ferroviaria a velocità siderale, gli sponsor tra le rovine archeologiche, il concorso di bellezza Miss Nofa, una serie di costruzioni impensabili fino ad oggi,la funivia che collega Nofi alla Costiera, un grande centro estetico con professionisti di valore internazionale, l’arrivo della felicità. Mi creda, un affare per tutti. Mazzola desistette dal tirargli un cazzotto in grado di metterlo ko per sempre. Pensò a come erano stati fessi certi nofinesi a credere in Paposcia, che voleva solo visibilità personale, scoparsi Katia e qualche altra che poteva arrivare a tiro. Mazzola sembrò Sarli quando congedò con freddezza Paposcia – Le vite rovinate in partenza galleggiano nel grigio per l’eternità. Poi tutti uscirono per la fine del doppio funerale. Mazzola scattò qualche foto per Sarli, salutò giusto un paio di persone e filò via.
LA RELAZIONE PER FASOLINO E IL PIANO PER ANDARE FINO IN FONDO
Foto e altre annotazione sul doppio funerale arrivarono puntualmente sul telefonino piuttosto moderno di Sarli, che invece s’era soffermato su un pensiero, nessuna citazione per il dolore di Pupatella, la moglie del povero Domenico, costretta per anni ad assistere al marito in pessime condizioni e nello stesso tempo a preoccuparsi a distanza delle faccende di tre figlie, una più pazza dell’altra. Pupatella ora sarebbe stata libera di frequentare una palestra per anziani, di raddrizzare le articolazioni, di fare un giro per le campagne, di regalare ai nipoti qualche carezza in più, prima di scervellarsi nel vano tentativo di dove erano fuori, se non in parte da lei, le tre signore che portano solo problemi, anzi solo maluria, meglio evitarle che conoscerle, meglio scansarle se le circostanze consentono. Assieme a foto e annotazioni, Mazzola gli mandò una mail riservatissima, con la seguente dicitura NON FARTI INFLUENZARE, LEGGILA SOLO LE DECISIONI SARANNO PRESE. Insomma Mazzola s’era fatto un’idea precisa sulla morte di Giovanna, solo che preferiva lasciare tranquillo e senza dubbi Sarli, che tranquillo rimase, anche se con qualche dubbio. Relazione dettagliata, con ipotesi e descrizioni di profili. Il giorno dopo la portò da Fasolì- Interessante, molto interessante, ma sai benissimo che questo materiale non possiamo aprire inchieste e disporre riesumazioni. Però è un gran bel lavoro. Direi di non sprecarlo. Tu ti chiederai come… Bisogna agire sotto copertura ma senza procedura ufficiale. So già che mi dirai di sì. Se ci scoprono, passo qualche guaio ma niente di memorabile, ormai manca poco all’addio alle armi. Se non ci beccano e andiamo a segno, magari prendo una promozione in extremis. Resta un’altra ipotesi, non ci scoprono ma non facciamo gol, piccola delusione nostra ma nessun danno. Tu naturalmente potresti scriverci un libro, alimentare la fama di persona in grado di risolvere, senza gradi ma con tanto acume, casi difficili, magari un giorno di fanno per tua disperazione carabiniere ad honorem. Fasolì, che cazzo hai per la mente, spiegami. – Riesumazione in incognito, ho le coperture giuste al cimitero, c’è gente che mi deve un sacco di favori, è ora di ricambiare. Tu però devi scegliere un medico legale, o almeno uno che ci sappia fare, qualcuno lo trovi, ovviamente in maniera del tutto riservata opererà. Seconda parte, convochiamo qui, in orario particolare e solitario le tre sorelle, tu sarai presente, ti farò passare per quello che le ha interrogate in borghese. Prima le mettiamo tutte e tre assieme, poi le interrogo una volta, qualcosa esce fuori, fidati del mio istinto, quella gente è marcia, cercare di scaricare le responsabilità, fidati. – Fasolì, il vero pazzo sei tu, anzi sono io che ascolto queste cose, il tuo piano fa acqua da tutte le parti, basta un niente per affondarlo e immagino le conseguenze, i cuppetielli e le cazziate. Però voglio andare fino in fondo, trovo il medico legale, lo convinco a forza di ricatti, tu prepara il resto.
L’AUTUNNO DI TUTTO
Era ormai dietro l’angolo l’autunno. Sarli lo considerava metafora di parecchie cose. L’autunno del giallo, delle persone che si ritrovano e si perdono, delle convinzioni errate o giuste, persino del virus. Accendendo il computer, la poesia gli passò. Il premier interruppe per l’ennesima volta le trasmissioni dicendo alla popolazione che a breve ci sarebbe stata la seconda ondata del virus, di nuovo mascherina obbligatoria. Un incubo infinito il maledetto 2020, altro che autunno poetico.Prima che il virus 2 avanzasse, bisognava chiudere i conti almeno col caso delle sorelle pazze, con le D’Angelo, con la maluria che incombeva minacciosa e che sfidava l’ormai ampia collezione di corni rossi del buon Demetrio. L’autunno di Nofi Alta era fatto di soliti pettegolezzi e chiacchiericci. Mare c’era stato poco o niente, la spiaggia era diventata la terrazza di casa per chi poteva permetterselo. Abbronzate strane, da lampada o da altri artefizi. C’erano tante feste da recuperare. San Cipro, i Maronnari, le comunioni e i battesimi. Soldi però ne giravano pochissimi, altro che feste. Anche la ferramenta Varriale aveva dovuto incassare il colpo. Meno pecunia, anche se Gennaro o’ spuorco vestiva sempre all’ultima moda e non si faceva mancare scarpe e indumenti firmati, oltre a qualche spinello e alle cremine anti-rughe. Appena finita la quarantena, aveva ripreso a gironzolare per frazioni e rioni alla ricerca di nuove femmine del suo livello, non proprio alto. Katia alternava momenti di euforia, con pillole, a momenti cupi, senza pillole. Non aveva perso i contatti con la psichiatra Vallone, on line in quarantena e ora di nuovo del vivo una volta a settimana. La vera novità era l’uso costante degli occhiali, per anni nascosti come se non si sapesse nel giro di familiari e conoscenti stretti delle lentine usate venti ore ventiquattro, strani giochi della mente chiamati complessi. La figlia minore dava una mano nella ferramenta, cercando di rimanere al riparo dalla gang. Il primogenito, ingrassatissimo, continuava la storia gay senza ammettere che fosse gay. Il piccolino appena apriva bocca parlava come al solito di Renzi, incrementando la bassa percentuale di gradimento che il suddetto godeva nel resto del Paese. Cocchina s’era messa in cerca di un lavoro da colf, la crisi aveva quasi spazzato via lo stipendio del marito, costretto ad una lunga cassa integrazione, si tirava avanti solo con l’aiuto di Pupatella ogni mese, il figlio aveva persino perso il lavoro sottopagato da barista. Ivana invece sembrava rifiorita. Ipocondriaca sempre ma in cerca di un nuovo amore, anzi con un nuovo amore quasi trovato, nella speranza che non morisse sul colpo o non la lasciasse la prossima in arrivo. L’Abatino non fiatava più pubblicamente, era stato richiamato all’ordine dal Presidente. Paposcia risultava di nuove alle prese con gli imbrogli calabresi, nel frattempo la moglie di Raito sul Mare stata anonimamente informata delle sue cazzatine nofinesi… Cambio di stagione, si dice. Come se il meteo potesse realmente incidere su vite, pensieri, drammi, gioie, cuori e corpi. L’urgenza di Sarli, dopo le ampie meditazioni, era quella di trovare un amico medico legale che si prestasse, senza troppe storie e senza moralismo da strapazzo, a un gioco anomalo e rischioso. Trovò, dopo una serie di approcci e telefonate a vuote, un conoscente di lunga data, detto Vecchio Macello, visto che non andava per il sottile quando si trattava di affondare coltello e bisturi, tra l’hobby della carne animale che cucinava deliziosamente e quella umana che gli toccava affrontare per un mestiere lasciato anni prima causa infarto. Con Vecchio Macello si recò al cimitero di Nofi Alta, da circa un anno i resti di Giovanni Vastola erano stati trasportati lì da Toria, pare per beghe di famiglia. C’era con loro due solo un energumeno amico del dottore, col compito di muovere, aprire e chiudere. Tutto il resto, era stato organizzato alla perfezione da Fasolino. Sei di sera, cancelli formalmente chiusi, un tavolo operatorio improvvisato sul posto, la necessità di compiere il sacrilegio nel giro di due ore al massimo. Vecchio Macello eseguì il lavoro alla perfezione, la mano gli funzionava ancora alla grande, era persino entusiasta dell’esser tornato, in via straordinaria, a riaprire e chiudere corpi umani. Prese quel che doveva prendere, richiuse in meno di un’ora col segno della croce- Sarli, metti in conto, un piacere così va ricambiato con qualcosa di importante, non so ancora cosa ma pagherai. Però mi sono divertito, carne umana seppur vecchia e già insultata dai vermi, quanti ricordi e quanti tagli. Ti farò sapere cosa ho trovato, non mettermi fretta, tanto i morti son morti e i vivi tempo ne hanno ancora .
LA RESA DEI CONTI
Ormai restava poco da attendere. Un incontro scosse Sarli, non sembrò casuale. Nel corso di un convegno – uno dei primi dopo il virus – si avvicinò a lui Emiliana Vallone, la psichiatra che aveva in cura Katia. Sarlì la riconobbe a stento, solo dopo le presentazioni da lei volute. Taglio di capello cortissimo, colore volutamente imbiancato, una sessantina d’anni o giù di lì. Vallone fu tagliente – In giro si di che lei stia indagando su una mia paziente, sarò poco professionale ma ho il dovere di chiederle di lasciarla stare, sta superando il peggio della malattia, un lavoro di tantissimi mesi, l’ho rimessa in piedi ma adesso rischiamo di perdere tutto. Per cosa poi, un mucchio di ipotesi e di fandonie, non si scherza con la vita delle persone. La risposta fu secca ma studiata – Signora, non faccio l’assistente sociale, la verità rende liberi, una frase che va bene per tutti gli usi e va benissimo per questa vicenda poco chiara. Non sono il tipo da nascondere le verità, sono il tipo che le cerca. Eppoi non si preoccupi più di tanto, lei sa meglio di me che il cervello umano si adatta a tutto, anzi a volte fa di meglio, riesci a inventarsi quel che mai è accaduto, dica alla sua paziente che abbiamo avuto dei riscontri dalla famiglia Muccioli, volontariato a San Patrignano non l’ha mai fatto. Non vorrei che per scrupolo professionale, oppure per amicizia extra-professionale, lei finisse per reggere il gioco ad una persona pericolosa, abituata a mentire. Arrivò la videochiamata di Fasolì a spegnere la conservazione. Il maresciallo aveva preparato tutto. Convocazione in caserma per le tre sorelle D’Angelo, alla sola presenza sua oltre che di Sarli, in attesa del parere clinico e cinico di Vecchio Macello, promesso alla svelta, in contemporanea o quasi con la convocazione. Il parere sarebbe arrivato scritto ma sul cellulare, da stampare solo se ne valeva la pena, solo se l’avesse deciso Fasolino. Ore 17,00 di un pomeriggio ancora a mite. Sarli, come Sarri, fa finta di fumare per non ricadere nel vizio. Fasolino mangiucchia, beve il caffè col dietor e impugna il sigaro di ordinanza. Le tre sorelle arrivano alla spicciola. La prima è Ivana da Bellizzi, ansiosa e quindi puntualmente in anticipo su ogni appuntamento. Nervosa nei movimenti, perfettamente identica a Katia nel corpo ma con voce diversissima. Poi tocca a Cocchina da Croce, sculettante, truccata come se dovesse andare a una festa, faccia truce e volto da camionista. Sigaretta anche per lui, più auricolari a base di Zero. Ecco infine Katia, modi da civetta, elegante ma non troppo, sorrisetto di ordinanza, tremolante negli arti inferiori, voce bassa con cadenza dialettale pur espressa in italiano. Mezzo solenne il tono di voce di Fasolino – Signore, lui è Sarli, l’avete conosciuto, almeno due voi l’hanno conosciuto. E’ l’investigatore-perito dei carabinieri. Siete qui per l’indagine riguardante la morte di Giovanna Vastola, avvenuta all’ospedale di Nofi a luglio dell’anno 2017. La conoscete tutte e tre, una di vuoi l’aveva per suocera. Ci sono dettagli per nulla chiari, insomma abbiamo bisogno di risposte, non si tratta di un interrogatorio, ma solo di un accertamento dei fatti. Venite nel mio ufficio uno alla volta. Le altre due, a turno, restano col dottor Sarli.
La prima a parlare con Fasolì fu Ivana, l’incalzare voluto del maresciallo in certe domande cominciò a provocarle lacrimette furtive. Alla domanda fatale, se una delle tre potesse aver compiuto o partecipato al misfatto – Ivana ritornò di ghiaccio. Non mi fido di Cocchina, era ed è in grosse difficoltà economiche, disposta a tutto in cambio di soldi, anche a provocare una morte, lei non è in pace con sè stessa, con dio e col mondo, conoscete credo la storia di Rachele. Non so se c’entri anche Katia ma di sicuro se dovessi indicare tra le due la colpevole, non esiterei a dire Cocchina. Sarli era intento a scribacchiare sul taccuino ma notava lo sguardo cattivissimo delle due signore che aveva difronte, disturbate non poco dell’aver confessato a un investigatore non meglio definito, presentatosi come giornalista, particolari della loro vita che mai ad altri avevano rivelato. L’imbarazzo fu interrotto da Fasolì, che avendo esaurito il compito con Ivana, chiamò dentro Cocchina. Non ci fu bisogno di scandagliare. La riccioluta partì sparata – Katia non sta bene, lo sappiamo da poco ma lo sappiamo alla perfezione. Basta una scintilla per provocare un incendio. Una volta il marito la chiamò lavaportoni e lei inveì come una pazza, prima uccido tua madre, poi mi prendo i soldi e vado dall’avvocato per il divorzio. E’ tutto quel che ho da dire, maresciallo, di me si può dire qualsiasi cosa, persino che sono psicopatica, assassina no.
Quando toccò a Katia, s’erano fatte quasi le sette. – Marescià, facciamo presto, è l’ora di cena, mi aspettano, se non metto io a cucinare non lo fa nessuno a casa mia, mio marito no e nemmeno i porcelluzzi che ho cresciuto. Ho ascoltato quel che avete descritto, non avevo ragioni valide per uccidere mia suocera, anzi non mi era nemmeno antipatica come le figlie. E non lasciatevi ingannare dalle descrizioni, un paio di volte in ospedale mi ha accompagnato Ivana senza una spiegazione precisa. Lei è tale e quale a me, ora che ci penso comincia ad averne paure. Per le disgrazie che ha avuto, non sopporta chi riesce a sopravvivere a un incidente, a una malattia. Vorrebbe che altra gente soffrisse come ha sofferto lei per la morte del nuotatore…Non vorrei che…
La banalità del male, altro che vecchia filosofia, qui forse si ripresentava come ipotesi. Fasolino ne parlò con Sarli per 5 minuti, narrandogli le parole delle 3 sorelle, prima di procedere oltre. Le sorelle intanto facevano salotto in attesa di tornarsene a casa. Sms, chiacchiere a vuoto, finti convenevoli, insomma il vuoto spinto. Sarli capì che sul cellulare era arrivata la posta che aspettava. L’aprì, per poi leggere in un baleno la relazioncina di Vecchio Macello. Subito dopo, tenne fede alla promessa fatta a Mazzola, aprì la mail con le sue ipotesi su tutta la faccenda. Le conclusioni di Vecchio Macello, pur partendo da diversi punti di vista, coincidevano. Sarlì fece di tutto per nascondere quel che gli passava per la testa, evitando che il viso tradisse sentimento o turbamento alcuno. Poi si alzò di scatto, da attore poco consumato, e si preparò al lungo monologo con toni d’arringa. Dè a qualche giorno aveva chiuso una collaborazione editoriale con un tizio che voleva imporre la linea ma a lui manca il dietologo riusciva ad imporre una linea, figuriamoci l’editore. – Signore care, abbiamo fatto finalmente luce sulla morte di Giovanna Vastola. Sapete benissimo come è andata, noi ci siamo limitati a mettere insieme il puzzle. La colpevole è una delle tre, le carte le ho qui con me, le leggeremo dopo assieme. Ma con Fasolino siete state perfide, una contro l’altra, ognuna di voi ha accusato una delle sorelle. E’ incredibile il senso di marcio che vi accompagna. Fatemi il piacere, quando uscite per strada, anche se la situazione è Fase 3 o 4, rimettete la mascherina, così non corriamo il rischio di infettare chi vi circonda seppur casualmente. Ma non è Corona. E’ merda allo stato puro, circonda le vostre vite, è entrata nelle vostre teste, ha otturato i vostri cuori. Lei Cocchina, comincio da lei. Una vita a maledire Dio, ad evitare ogni fatica, a campare con lo stipendio di quel deficiente di marito, che manco si è accorto a chi e a cosa deve il posto di lavoro da schiavo moderno. Tra il rosicare e il guadagnare, potrebbe essere stata tranquillamente lei a uccidere Giovanna. La pazzia e la disperazione sono le armi vere del nostro mondo, che manco il virus ha rinsavito o migliorato. Lei potrebbe aver ucciso su mandato. Di chi è facile comprenderlo. Su mandato della signora Katia, che dispone, attraverso Gennaro o’spuorco, di parecchi quattrini. Per Katia ci sarebbe un doppio ragionamento da fare. O ha incaricato l’esecuzione materiale a una sorella. Oppure ha provveduto lei in prima persona, la più stretta dall’interesse, la più presente in ospedale. Lei è malata, lo sanno tutti, me l’ha confermato col suo atteggiamento anche quella lesbica della Vallone. Non guarirà mai, il disturbo della mente è grave, magari potrebbe servire per evitare il carcere, con la semi-infermità mentale, ma non potrà evitare la continuazione di una vita da inferno in terra. Nessun Paposcia e nessun Abatino risolverà le sue pene, tutti hanno capito. Lei ha sempre creduto di giocare con gli altri ma alla fine altri hanno condotto il gioco finale, la furbizia appartiene a un sacco di gente, non lo dimentichi mai. Il denaro non si porta appresso, si portano appresso gli affetti e lei in affetti ha un Isee pari a zero, potrebbe chiedere tranquillamente il reddito di abbandono. Veniamo a lei signora Ivana. Come dice pettulella e mammà, lei fisicamente risulta tale e quale a sua sorella Katia. Potrebbe averla sostituito nell’atto decisivo in ospedale con la suocera, tanto basta poco per condizionarla, lei è fragilissima, le parole di una sorella manipolatrice potrebbero bastare e avanzare. Oppure potrebbe aver agito di spontanea volontà, per far ricadere la colpa su Katia, da lei sempre invidiata, l’unica di voi che pur col marcio dentro è arrivata almeno al diploma, riuscendo persino a diventare la manager di fatto della famosa ferramenta Varriale. Vado via, lascio a chi di dovere, cioè al maresciallo Fasolino la lettura di queste carte, statelo a sentire. Comunque andrà, per me siete colpevoli tutte e tre, colpevoli di vivere come bestie, colpevoli di non amare e non voler bene, colpevoli di essere madri e mogli sbagliate di figli sbandati e mariti o compagni sottomessi, colpevoli di una mentalità da paesello, anzi da Taverne e Crocetta. Si può uccidere in tante maniere ma credo che alla fine chi uccide è già morto dentro in partenza. Voi tre fate eccezione, siete morte da sempre, appena venute al mondo. Dopo che Fasolino vi avrà detto tutto, fate una cosa, andate a nascondervi nel garage dove da piccole vi chiudevate per far compagnia a Katia che non mangiava e che regolarmente veniva punita. Già vi manipolava, vi ha sempre manipolato, anche se alla fine il suo male di vivere, il suo cervello bacato, è stato soggiogato dall’intelligenza altrui, che ha portato alla luce, passo dopo passo, la sua pericolosità sociale. Fasolì, il mio compito è finito, divertiti. Ci vediamo sabato, senza mascherina, al nostro bar di una volta, quello dove ci siamo conosciuti e dove osservavamo la vita per quel che era già in gioventù nostra, una merda che facciamo fatica a espellere.
LA FINE E’ DIETRO L’ANGOLO
Sarli era già lontano quando Fasolino aprì l’incartamento. Con solennità, dopo un’occhiata furtiva, lesse ad alta voce la conclusione – La signora Vastola Giovanna è pertanto deceduta per cause naturali, non si riscontrano tracce di cianuro o di altro veleno. Proprio così, i sospetti dell’infermiere, la presunta manomissione della flebo, la confessione, le supposizioni della capo-sala, i motivi d’azione omicida delle sorelle era tutta ruba svanita all’atto pratico e clandestino dell’autopsia di Vecchio Macello, peraltro conclusioni coincidenti con quelle contenute nella mail di Mazzola, che pur non avendo riscontri precisi aveva cominciato con un Demetrio mio, secondo me ci stiamo sbagliando tutti, anche se tutti avevamo creduto di aver ragione. Naturalmente Fasolino, prima di liquidare le signore, qualcosa doveva dire – Signore, vi conosco da tempo ma credetemi la vostra esibizione di oggi è stata rivoltante. Accusarvi l’un l’altra è stato uno spettacolo incredibile anche per chi come me nel corso degli anni ne ha viste e sentite di tutti i colori. Per il futuro, cercate di guarire dai vostri mali, sono preoccupanti, io ci starei molto attento al posto vostro, la prossima volta potreste ritrovarvi qui da colpevoli vere. Buona Sera, potete andare.
Uscirono in fila indiana, Katia si agitò col corpo e poi sbraitò con la voce – A questi gliela faccio pagare, come si sono permessi. Metto i migliori avvocati, li faccio nuovi, gli spillo tutti i soldi che hanno e anche quelli che non hanno. Eccola lì. come nulla fosse accaduto, subito il pensiero era andato alla possibilità di un guadagno. Le sorelle la guardano con spiritata compassione, stavolta non volevano partecipare i suoi piani e ai suoi deliri. Cocchina e Ivana manco risposero, facendole capire che ormai i tempi erano cambiati e che per nulla al mondo l’avrebbero assecondata come al tempo della punizione collettiva della chiusura nel garage. Stavolta Katia avrebbe meglio a mangiare senza capricci, cioè a tenersi l’affronto da chi aveva indagato e scandagliato nella sua vita e in quelle della gente a lei vicina. Tutto ha una conclusione. Anche le indagini senza frutto, pensò Sarli nell’allontanarsi da un finale che l’aveva sorpreso ma non scosso. Pensò che per uccidere deliberatamente ci vuole coraggio e sangue freddo, cose che non potevano appartenere a persone che con la testa non c’erano. In realtà Sarli, conoscendole direttamente o indirettamente, s’era fatto l’idea che le tre non c’erano manco col cuore e con l’anima. Salvava, in parte minima, solo Cocchina. A lei il destino più aveva tirato un tragico scherzo, un’amarezza che mai avrebbe inghiottita, una figlia nata male, che aveva tenuto in ostaggio gran parte della gioventù e della maturità della primogenita delle D’Angelo. La considerazione era di pura pietas, intendiamoci, Sarli disapprovava tutto il resto di lei, dai baffi che facevano capolino, alle canzoni di Zero, dalla mancanza di coraggio vero all’aver sposato un fallito che doveva ringraziare l’amante della moglie per il posto di lavoro. Su Katia non aveva più parole da spendere. Chi aveva la sfortuna di incrociarla sul cammino, doveva fare di tutto per scansarla rapidamente, altrimenti si sarebbe messo in guaio grossissimo, il dover tenere a bada la follia, la bugia, la doppia o tripla personalità, l’avidità, la manipolazione, l’egoismo, la frigidità sentimentale. Ivana, invece, era la mezzana indecifrabile, la Maluria singola che contagia le sorelle e trasforma le tre in una generale Maluria, infettando però anche le generazioni future, tanto per tenere alte le tradizioni di famiglia. Ma per scrivere la parola fine, c’era da onorare l’appuntamento al bar coi compagni di ventura. Caffè Orientale di Nofi Bassa. Arrivò per la prima volta in ritardo in vita sua, segno che la voglia era minima. Trovò ad attenderlo come da copione da invito Fasolino, Mazzola e Vecchio Macello. Si sorprese solo nel vedere al tavolo coi tre una donna, capelli corti andanti sul bianco, sì era proprio lei, la psichiatra Emiliana Vallone, quella che aveva in cura la pazzarella di Porta Nolana. Si scusò per una parentesi dall’Ebreo per comperare i sigari di ordinanza. Poi si accomodò al tavolino esterno, con distanziamento, ormai la legge del virus aveva lasciato effetti ineliminabili eppoi tutti erano concordi nell’affermare che era imminente la seconda ondata, lo dicevano l’appello rieletto Pol Pot ma anche il nuovo capo della Civile Protezione. La Vallone tentò di stuzzicarlo – Dottor Sarli, ci rivediamo, l’ultima volta fummo entrambi bruschi, speriamo che oggi vada meglio. Ovviamente se sto al tavolo con voi, grazie all’invito del maresciallo, è perchè non curo più Katia D’Angelo, sarebbe stato imbarazzante sotto l’aspetto professionale. Sarli, sorrise come Franti in Cuore, da infame. – Dottore non lo sono, i titoli li lascio ad altri. Lei ovviamente ha lasciato Katia al suo destino non per sorbirsi il caffè con noi. Non la cura più semplicemente per non averla convinto a lungo delle sue teorie, che sono ben precise, la donna deve liberarsi dell’uomo, di ogni tipo di uomo. Lesbica pur essendo stata moglie e madre, lesbica che vuol far proselitismo. Magari nei primi mesi di cura, l’aveva convinta. Poi gli è sfuggita di mano, si sarà rimessa in contatto con l’Abatino o con Paposcia – non fa troppa differenza – e a lei questo non è andato giù. Tutti lo guardavano come di solito si guarda un guastafeste. Lui smorzò il tono – Non preoccupatevi sono qui solo per il caffè e per qualche inciucio, sorridiamo, prima che ritorni il virus, non ho voglia di rimettere la mascherina, facciamo le corna. Il primo a sorridere fu Fasolino. – A proposito dell’Abatino, in giro si dice che lo vogliono candidare a sindaco di Nofi Bassa. L’idea l’ha avuta la coalizione Civica Cristiana Comunista. Sarlì sorrise, sempre alla Franti – Non lo farà mai, non ha le palle, gli piace manovrare da dietro le quinte, poi si rende conto che dietro le quinte ci sono le seste e si eclissa. Fasolino non s’arrese, passò allo scuoppo successivo. – Uagliò, in testa ho un archivio. L’altro giorno, grazie alla testa, ho ritrovato nell’archivio vero un rapporto di anni fa. Arrestai un giovanotto per furto di gomme d’auto, lui e un certo o’Mariuolo le fregavano di notte da sotto le macchine per poi rivendersele. Si chiama Varriale Gennaro, guarda un pò. Poi toccò a Mazzola l’inciucio – I miei amici calabresi mi hanno detto che Paposcia è stato arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa, reggeva il gioco al gruppo vincente di Cornigliano. Nemmeno tale notizia riuscì a sorprenderlo, anzi ne amplificò l’ironia. – Se lavorasse in un circo, sarebbe un gran bel pagliaccio. Fallito in tutto quel che ha fatto, il millantato credito è il suo biglietto da visita. Più che una di fusione, a lui occorrerebbe una trasfusione di legalità, ma lui è calabrotto, che ne sa di legalità. Vecchio Macello – Sei in andropausa Sarli, non ti va bene nulla. Rilassati, è tutto finito, senza omicidio per giunta. E tutti vissero felici e scontenti. Vedi, c’è pure la dottoressa Vallone che nonostante tutto t’ha preso in simpatia, anche se gli hai dato della lesbica in pubblico. Chissà che tra voi non possa nascere una bella amicizia, come diceva coso, Bogart, alla fine di Casablanca. Il telefono di Sarli squillò al momento giusto- Tutto è possibile quando è possibile. Signori vi lascio ai film, agli inciuci e al caffè. E’ stato un piacere. Mi raccomando, siate fino in fondo tirchi e misogeni, fate pagare la dottoressa Vallone. Dimenticavo, ho un regalo per tutti voi. Quattro corni rossi, quelli che ho collezionato in questi mesi. Me ne resta uno solo, che tengo per me. Allontanano la Pandemia, soprattutto sconfiggono qualsiasi Maluria, solo grazie ai corni rossi ho retto all’urto con le tre sorelle, tre singole figura che assieme diventano la vera e grande Maluria di questa disgraziata terra. Si allontanò lanciando un sms che faceva il punto dell’attimo e della sua vita- Sfaccimma, sto arrivando.
FINE
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