“Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno”, diceva Enrico Berlinguer in una intervista nel 1981. Trentanove anni fa pronunciava queste parole probabilmente ignaro di consegnare alla storia un concetto immortale, sopravvissuto all’incedere dei decenni e delle generazioni senza mai perdere la sua forza anzi, pronto all’uso per ogni evenienza… non ultima la pandemia di Coronavirus.
Nel 1922 a Sassari, il 25 maggio, nasceva Berlinguer. Figlio di Mario, un avvocato, e di Mariuccia Loriga (cugina della madre di Francesco Cossiga) che muore prematuramente quando Enrico era ancora una adolescente.
Dopo la maturità classica al Liceo Azuni, si iscrive alla Facoltà di Giurisprundenza dell’Università di Sassari, sostenendo tutti gli esami e progettando di laurearsi con una tesi dal titolo “Filosofia del diritto: da Hegel a Croce e Gentile”.
Nell’ottobre del 1943 si iscrive al Partito Comunista Italiano, diventando Segretario della sezione giovanile di Sassari.
All’inizio del 1944 Berlinguer è ritenuto uno dei responsabili dei “moti per il pane” verificatosi in quei giorni a Sassari e viene arrestato. Prosciolto e scarcerato alla fine del mese di aprile. Poco dopo è nominato responsabile della Federazione Giovanile Comunista di Sassari. Si trasferisce poi a Roma ed entra a far parte della Segreteria Nazionale del Movimento Giovanile Comunista. Nel 1945, dopo la Liberazione è a Milano come responsabile della Commissione giovanile centrale del PCI.
Tre anni più tardi, al VI Congresso del PCI, viene eletto membro effettivo del Comitato Centrale e membro candidato della direzione del partito. In seguito, al Congresso nazionale della Federazione Giovanile Comunista Italiana, viene eletto Segretario Generale: manterrà la carica fino al 1956; assume inoltre la Presidenza della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica che ricoprirà fino al 1952. Nel 1957 sposa Letizia Laurenti, dal cui matrimonio nasceranno quattro figli (Bianca, Marco, Maria e Laura); in questo periodo torna in Sardegna come Vice Segretario Regionale del PCI.
Sarà Segretario Regionale del PCI del Lazio dal 1966 al 1969. Eletto deputato, entra in Parlamento per la prima volta nel 1968 divenendo membro della Commissione Esteri; ben presto all’interno del partito arriva alla carica di Vice Segretario Nazionale. Al XIII Congresso Nazionale del PCI, svoltosi a Milano nel marzo del 1972, Berlinguer viene eletto Segretario Nazionale. È il 7 giugno 1984 quando si trova a Padova: durante un comizio per le elezioni europee un ictus cerebrale lo colpisce e pochi giorni dopo, l’11 giugno, muore.
Raccontare l’uomo e il politico Berlinguer non è cosa semplice. Ogni anno, sia nel giorno della sua nascita che in quello che segnò decine e decine di migliaia di italiani con la sua dipartita, si susseguono incessantemente ricordi, aforismi, citazioni, fotografie di piazze piene, rosse… e quella rimasta scolpita nel cuore e nella mente di tutti che ritrae un affranto e addolorato Sandro Pertini con il capo chinato sulla bara dell’onorevole Enrico Berlinguer.
Ricordare la figura del segretario Enrico Berlinguer è affare assai complicato, un uomo timido e molto rigoroso, gentile, vero, verticale.
Il Pci di Berlinguer, la sinistra che manca oggi, aveva osato sfidare la sinistra extraparlamentare, gli autonomi, i loro cattivi maestri, i sostenitori del terrorismo diffuso, per difendere responsabilmente i valori della legalità.
Berlinguer, con le sue azioni e posizioni, parole e presenze – un uomo piccolo di statura che riempiva spazi enormi – sapeva di correre pesanti rischi elettorali, ma decise di rompere con la Russia “Compagni, non sarò né Togliatti né Longo”, disse durante il tredicesimo congresso del Partito nel 1972.
Il compagno dall’ideologia ortodossa decise, per esempio, di sostenere apertamente e senza sconti, chi cercava di sottrarre terreno fertile al terrorismo, pur sapendo di inimicarsi la borghesia radical-chic da una parte e il movimento operaio dall’altra. Ma le sue decisioni furono sempre prese da vero uomo di Stato.
La verità è che Enrico Berlinguer è stato l’ultimo leader in cui la pratica di vita e il progetto politico viaggiavano in una direzione unica sovrapponendosi. La stessa morte sul palco dell’ultimo comizio a Padova, esalta un impegno vissuto come dovere superiore. Quel rigore personale a cui non siamo più abituati, la sobrietà, l’austerità che si fa proposta politica; il confine di demarcazione netto tra famiglia e partito, la passione militante unita alla convinzione profonda che il partito debba diventare architrave di un’Italia migliore, il richiamo alla questione morale “La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico“.
Uno straordinario insieme di valori fondanti e quotidianamente vissuti che restituiva, e restituisce ancora, l’immagine vera del leader, non di plastica. Una figura rassicurante, sincera. Capace di dispensare fiducia e indicare nella politica una cosa che, praticata, serve soltanto a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini.
“I partiti non fanno più politica. […] Hanno degenerato e questa è l’origine dei malanni d’Italia”. […] sono soprattutto macchine di potere e di clientela”. …il suono di una profezia.