Volendo semplificare si può affermare che la “città vecchia” presenta alcune parti nate male e povere; sorte in assenza di un qualsiasi disegno urbanistico; quelle parti, cioè, più degradate.
E’ qui, però, che vi è un valore di memoria considerato di preminenza assoluta, costituito da un tessuto edilizio povero; costruito con grandi economie, abitato – se lo è – da classi disagiate legate al luogo per tradizione, quotidianità di rapporto con un microcosmo di sia pur minima sussistenza e, nella maggior parte dei casi, senza alternative.
E’ qui, però, che vi è un valore di memoria considerato di preminenza assoluta, costituito da un tessuto edilizio povero; costruito con grandi economie, abitato – se lo è – da classi disagiate legate al luogo per tradizione, quotidianità di rapporto con un microcosmo di sia pur minima sussistenza e, nella maggior parte dei casi, senza alternative.
Di contro ci sono altre parti che per omogeneità delle architetture hanno valore di documento storico-artistico: evidentemente la presenza o meno di tali caratteristiche distintive, non può essere verificata se non in base al giudizio di esperti.
Nella dialettica tra passato e presente, tra conservazione e rinnovamento, si pone la necessità di restituire ai luoghi il loro senso urbano; l’ipotesi di un intervento nel “corpo storico della città” che vuole ritrovare in esso quella parte di storia che contiene i germi del futuro, la perduta qualità urbana degli spazi e delle forme, la conferma del suo vincolo con il destino della città possibile.