INTERDIPENDENZA
L’assenza ci fa capire il valore della presenza. Il fatto che l’assenza sia stata fisica, perché dovevamo mantenere la distanza dal prossimo, ci ha fatto comprendere la decisività del nostro rapporto con l’altro. L’uomo, come disse Thomas Merton, non è un’isola. Non può essere un’isola. La solitudine può essere, nel nostro tempo, una malattia. Individuale e sociale.
RESPONSABILITA’ ED UNITA’
Sul virus, un po’ di responsabilità ce la dobbiamo prendere. Dobbiamo chiederci “dove è finito l’uomo”. Abbiamo sfruttato tutte le risorse, ambientali e umane, per edificare una società fragile e vorace. E non sappiamo unirci neanche di fronte alla più grande tragedia del nostro tempo. Soltanto insieme si può pensare di affrontare una sfida come questa. Ma anche in questi mesi, ovunque, hanno prevalso i protagonismi, le furbizie, le polemiche astiose, il piccolo cabotaggio. Costruiamo i muri, ma ovviamente i muri non ci difendono e il virus invisibile dilaga. Ci convince a costruire muri e poi li irride. Questa crisi ci ha messo di nuovo, come succede in tempi di guerra, a confronto con la morte. È un confronto alto e necessario, per la vita. È la coscienza di un limite naturale, chi non lo affronta vive male, vive in maniera sconsiderata. Questo ci aiuta a stringerci di più, a ritrovare parole più vere, ad essere più essenziali.
SPIRITUALITÀ
E credo anche a dare una prospettiva spirituale. La nostra fede ci parla di un Dio che si è preso il virus della vita, perché, nascendo, ha accettato la vulnerabilità. È un Dio, non dimentichiamolo, crocefisso, che ci aiuta a vedere e sopportare le sofferenze