Il monopolio della droga come fonte di finanziamento del clan D’Alessandro. Chiunque vendesse stupefacenti doveva comprarla da Scanzano. Un affare che ha permesso alla cosca di non smettere mai di incassare denaro, da quando nel 2017 fu stretto il “Patto di Scanzano”. Di cui i protagonisti, nella giornata di ieri, non hanno voluto parlare. Tutti zitti agli interrogatori i capi dell’organizzazione, i narcos e i soldati della cosca. Non hanno risposto alle domande Sergio Mosca e Antonio Rossetti al vertice dell’organizzazione. Una postazione di comando affidata dai figli, del boss Michele D’Alessandro morto in carcere, dopo il loro arresto agli uomini più fidati e d’esperienza. Zitti davanti al giudice delle udienze preliminari, Fabrizio Finamore, anche Nino Spagnuolo e Francesco Delle Donne. Molte delle pagine dell’ordinanza, firmata dal pm della Dda, Cimmarotta, sono dedicate ai dialoghi tra i due uomini della cosca. Spagnuolo e Delle Donne avevano il compito di procurare la droga necessaria a rifornire tutte le piazze di spaccio. Chili di marijuana, il cui acquisto era finanziato da Mosca e Giovannone D’Alessandro. L’altro boss, al vertice dell’organizzazione, ricercato da tre giorni. I due narcos prendevano ordini dai capi anche sui prezzi e guadagnavano nei passaggi di consegne tra fornitori e venditori. Marijuana arrivata dai Monti Lattari, grazie al clan Afeltra-Di Martino, ma anche dalla Calabria quando la domanda era superiore all’offerta locale. Si chiude col silenzio, quindi, il primo giro di interrogatori ma in questa inchiesta tutti i pezzi sono già in mano agli inquirenti. Il “Patto di Scanzano” non ha più segreti.
fonte il corrierino