Saremo persone migliori quando termineranno le fasi 2 e 3, quando saranno scoperti una cura e un vaccino contro il coronavirus? Probabilmente non saremo né peggiori né migliori.
È più probabile, anzi, che non saremo migliori: la vicenda di Silvia Romano lo insegna. Attraverso i social, i programmi tv, la lettura dei quotidiani, le telefonate con amici e parenti, le chiacchierate col vicino di casa da balcone a balcone, ci si rende conto che la popolazione italiana in larga parte conviene sulle misure di contenimento sociale legate alla pandemia per paura (della malattia e delle sanzioni) e non per senso di responsabilità, che aumenta – al netto delle legittime preoccupazioni di tanti imprenditori e partite iva – l’irritazione per misure che addirittura alcuni, improvvisatisi novelli giuristi, considerano illegittime e che ovviamente resta in piedi uno zoccolo duro di persone affascinate dalle teorie cospirazioniste, convinte che il Covid-19, magari creato ad arte in un laboratorio cinese, sia per i governi uno strumento per togliere le libertà, speculare su cure e vaccini, arricchire ancora una volta i presunti poteri forti.
Proprio sui complottisti vorrei soffermarmi: il sonno della ragione, infatti, genera mostri e certamente il combinato disposto tra analfabetismo funzionale e complottismo non genera cittadini migliori. Sarebbe facile, da un punto di vista psicologico, parlare di gente squilibrata. In realtà le analisi e i sondaggi, a partire da uno studio condotto dall’Università di Cambridge nel 2018, ci dicono che una fetta sempre più importante di popolazione anche in Italia crede almeno a una teoria complottista.
E numerosi studi americani, che in materia sono significativi, affermano che chi crede a qualche ipotesi cospirazionista è più portato a ritenerne vere pure altre. Penso, per esempio, a chi oggi sui social contesta senza sconti il vaccino anti Covid19, ancora purtroppo là da venire, o l’App che dovrà aiutarci in questa emergenza sanitaria, vista come il male assoluto in un’epoca in cui molti non si rendono conto che la privacy è già una chimera.
Un’analisi dei profili Facebook di questi soggetti palesa che si tratta di persone che condividono spesso post, tra l’altro da fonti dubbie, relativi a tantissime altre teorie fantasiose. Ripeto, non si può ridurre tutto a un problema psicologico. Ci sono però degli elementi comuni che debbono farci riflettere: un basso livello di istruzione (con una buona dose di analfabetismo di ritorno anche da parte di tanti diplomati e laureati), il desiderio di sentirsi speciali o più intelligenti degli altri unito alla convinzione di essere in grado di comprendere cose che la maggior parte della gente – e degli esperti, sic! – non capisce, il senso di impotenza di fronte a tragedie prive di logica per le quali si deve per forza trovare una spiegazione o un colpevole, il bisogno di certezze perché spesso le teorie del complotto, come le favole per i bambini, nascono per inquadrare ciò che non può essere inquadrato in quanto parte della fragilità e della incommensurabilità della vita umana.
Queste caratteristiche si uniscono con lo scarso utilizzo del pensiero logico e analitico che caratterizza una discreta parte di popolazione, al punto che spesso smentire con argomenti scientifici queste teorie porta i complottisti a pensare che anche la scienza o gli scienziati facciano parte del complotto.
Se a tutto ciò si unisce la sempre più diffusa incapacità di leggere e comprendere testi e contenuti, tipica dell’analfabetismo funzionale della nostra epoca, si comprende bene come una soluzione al problema sia difficile. Anche perché i complottisti votano, si mobilitano, creano facile consenso e influenzano pure la politica che di consenso vive.
Le teorie cospirazioniste, in ultimo, attirano persone che vorrebbero sentirsi più sicure e capaci di controllare la situazione, ma finiscono per farle sentire ancora più incerte, impotenti e disilluse, diminuendo la fiducia nelle autorità e creando terreno fertile per la diffusione di teorie del complotto ancora più stravaganti in futuro, come sostenuto anche dal Cicap.
Tullio De Mauro aveva inquadrato perfettamente il problema, sottolineando i rischi per la nostra democrazia. Secondo il noto accademico e linguista, infatti, oltre la metà degli italiani si informa, esprime opinioni e vota seguendo una capacita di analisi elementare che non solo sfugge la complessità, ma che davanti a eventi complessi (guerre, politica internazionale, spread tanto per fare degli esempi) è capace di trarre una comprensione basilare, traducendo il mondo paragonandolo esclusivamente alle proprie esperienze dirette.
Da tempo insomma la nostra società è vittima di una pandemia forse ben più grave del coronavirus, per la quale non si intravedono all’orizzonte cure o vaccini efficaci.