“Sulla terra non c’è dono più grande di un figlio. Quando un figlio muore, facciamo l’esperienza dell’inganno più grande. E se avevamo vissuto quel dono come dono di Dio, la sua morte manda in crisi la fede, viviamo l’inganno come inganno di Dio. Con i figli moriamo anche noi, muore la fede, muore Dio. Qualche volta riusciamo a risorgere, e insieme a noi risorge la fede, risorge Dio. Noi amiamo molto l’immagine del Crocifisso, perché il Golgota è pane quotidiano, mentre i monti Tabor sono troppo pochi” (L. Bruni).
Carissimi,
celebriamo con il Vescovo, per la prima volta dopo questo tempo difficile, la memoria di un apostolo singolare, compagno di Paolo, uomo generoso e figlio della consolazione: Barnaba, uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e fede.
Insieme a Paolo, ad Antiochia, per un anno intero istruiscono la gente e fanno nascere la comunità cristiana, dove per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani.
Barnaba, immerso nel mistero pasquale, senza chiedere titoli e rivendicazioni, per un tempo breve ma intenso e proficuo, vive e sperimenta il gratuitamente avete ricevuto e gratuitamente date, dono del Signore e Maestro.
In questa Messa, segnata dal colore liturgico rosso, qui a Sant’Antonio, voglio nella fede della Chiesa fare memoria di don Aniello Nappo e dei tanti fratelli e sorelle che, in questo tempo pandemico, sono passati da questo mondo al Padre. Essi se ne sono andati in un grande silenzio, il silenzio del Sabato Santo:
Sabato santo, il tuo chiaror ci abbaglia, e il nostro cuore fa una lenta maglia col cielo che ne abbraccia le speranze (Carlo Betocchi).
Torino, 2 maggio: Benedetto XVI all’Ostensione della Sindone (Siciliani-Gennari/SIR)
Ha commentato Benedetto XVI in preghiera dinanzi alla Sindone il 2 maggio 2010: Tutti abbiamo sentito qualche volta una sensazione spaventosa di abbandono, e ciò che della morte ci fa più paura è proprio questo, come da bambini abbiamo paura di stare da soli nel buio e solo la presenza di una persona che ci ama ci può rassicurare. Ecco, proprio questo è accaduto nel Sabato Santo: nel regno della morte è risuonata la voce di Dio. E’ successo l’impensabile: che cioè l’Amore è penetrato “negli inferi”: anche nel buio estremo della solitudine umana più assoluta noi possiamo ascoltare una voce che ci chiama e trovare una mano che ci prende e ci conduce fuori. L’essere umano vive per il fatto che è amato e può amare; e se anche nello spazio della morte è penetrato l’amore, allora anche là è arrivata la vita. Nell’ora dell’estrema solitudine non saremo mai soli: “Passio Christi. Passio hominis”. Questo è il mistero del Sabato Santo! Proprio di là, dal buio della morte del Figlio di Dio, è spuntata la luce di una speranza nuova: la luce della Risurrezione.
Introibo ad altare Dei. Ad Deum qui laetificat juventutem meam.
Mi accosterò all’altare di Dio. Al Dio che allieta la mia giovinezza. (cfr Sal 43,4)
Chiesa pellegrina in Nocera Inferiore-Sarno,
sostenuti dall’antica antifona dell’inizio della santa Messa, ci accostiamo all’altare, con il cuore gonfio ma sereno per riconsegnare al Signore, Amante della vita, ancora una volta don Aniello Nappo, dopo che lo abbiamo fatto nel silenzio del cimitero di Nocera Inferiore. Ci inoltriamo sui sentieri della fede che, se non ci proibisce di piangere, mai permette di disperarci. Il 7 maggio 2017, nello splendore della Basilica Vaticana, egli consegnava, per le mani del Santo Padre Francesco, la sua giovane vita al Signore che sempre chiama.
E il Papa, tra l’altro, ebbe a dire nell’omelia: un presbitero che non ha imparato a portare la Croce di Cristo, non serve.
Ora, per le mani del Vescovo Giuseppe, della sua famiglia e della Chiesa diocesana, egli restituisce definitivamente la vita al suo Signore perché il suo lungo venerdì santo, passato per il silenzio del sabato, è approdato alla Pasqua che non tramonta. E siamo nella stessa luce, ieri ed oggi, la stessa luce del Risorto; e dobbiamo trarre forza e sostegno dalla stessa sorgente, il Cuore del Trafitto che sempre ripete: Io sono la risurrezione e la vita!
Possono scendere su di noi, come balsamo, le parole del libro della Sapienza:
Vecchiaia veneranda non è quella longeva,
né si misura con il numero degli anni…
Divenuto caro a Dio, fu amato da lui
e, poiché viveva fra peccatori, fu portato altrove…
Giunto in breve alla perfezione,
ha conseguito la pienezza di tutta una vita…
La gente vide ma non capì…
(Sap 4,7-15)
A volte, siamo gente anche noi, che vediamo e non sempre capiamo. Con i Padri della Chiesa ripetiamo: Signore, noi ti abbiamo pregato di prolungare i suoi giorni. Tu gli hai dato il riposo eterno, il tuo santo nome sia benedetto. Abbiamo anche chiesto al beato Tommaso un duplice miracolo; non ci siamo illusi ma abbiamo sperato e, come Chiesa, oggi continuiamo a sperare perché noi crediamo nella risurrezione finale. Sì, per noi la morte non è l’ultima parola, è passaggio verso la vita che non finisce.
Abbiamo vissuto giorni altalenanti, immersi anche nella paura del virus, tesi tra angoscia e speranza, senza mai venir meno alla fiducia sconfinata nella misericordia, mentre una cordata orante percorreva la nostra Chiesa, ed oltre. Quando poi si sono addensate le nubi della Passione, come Chiesa ci siamo rimessi alla preghiera del Getsemani: Padre, se è possibile passi da me questo calice. Però non come voglio io, ma come vuoi Tu (Cfr Mt 26,39 ss.). Ed è qui, nella sua volontà la nostra pace, che ci restituisce ad una fede robusta, virile, crocifissa, aperta alla risurrezione, e mai solo magica o emotiva.
Come Vescovo e padre, voglio dire Grazie a tutti coloro che, nei giorni della sofferenza, si sono accostati come buoni samaritani all’altare del sacrificio di Don Nello, dove ha celebrato la sua ultima messa. Altare, che è anche mensa conviviale e di incontro. E, sono tanti, a cominciare dai medici, personale e suore del nosocomio “Umberto I” di Nocera Inferiore, “Andrea Tortora” di Pagani, l’infermeria dei Francescani di S. Maria degli Angeli e la Clinica Maugeri di Telese (BN), fino all’ultimo fedele che ha avuto per lui un pensiero, un sorriso e una preghiera. E quanti, in questo tempo e nell’attesa che ci ha preparati al distacco, pensando a Don Nello si sono forse interrogati sul senso e sulla custodia della vita. Tanti che magari non conosceremo mai, ma ben conosciuti da Dio, e amati da Lui.
E adesso?
Ci sovviene la parola di Sant’Agostino, nella Lettera a Proba:
Perciò, se accade proprio il contrario di quanto abbiamo chiesto nella preghiera, noi, sopportando pazientemente e rendendo grazie per ogni evenienza, non dobbiamo affatto dubitare che era più conveniente per noi quello che Dio ha voluto, che non quello che volevamo noi.
Don Aniello Nappo
La tua morte, carissimo Don Nello, è un monito per ognuno di noi. Interpella il Vescovo, il nostro presbiterio, le comunità parrocchiali e religiose, le famiglie. È un invito ad essere più attenti, più presenti, a vedere le piaghe che si nascondono; ad essere Chiesa-Famiglia, a non chiudere la porta, magari per non creare un precedente, quando Gesù bussa e chiede ospitalità. Ad essere attenti alla qualità delle nostre relazioni umane e spirituali.
È un monito, un grido silenzioso, durante questo tempo difficile e la Visita Pastorale, a non essere superficiali ed accogliere, con prontezza e generosità, le tante visite feconde che ci fa il Signore.
Con Sant’Ambrogio, insieme a don Nello e a tutti i defunti, è consolante ripetere:
Signore Dio, ti supplico: non separarmi, dopo la morte, da coloro che ho così teneramente amato sulla terra. Fa’, o Signore, ti supplico, che là dove sono io, gli altri si trovino con me, affinché lassù possa rallegrarmi della loro presenza, dato che ne fui privato sulla terra.
Ti imploro, o Dio, affrettati ad accogliere i tuoi figli amati nel seno della vita.
Al posto della loro vita così breve, concedi loro di possedere la felicità eterna.
E il cuore quando di un ultimo battito, avrà fatto cadere il muro d’ombra per condurmi, Madre, sino al Signore… (Ungaretti), oltre il velo della vita, che succederà?
Accompagnato dalla sua Chiesa, che è Madre ed è Madre sempre, ora Don Nello – sacerdos in aeternum – ha ritrovato la sua mamma e la Madre del cielo.
Ad accoglierlo – come ho avuto modo di dire – si incontrano tre mamme o, se volete, tre espressioni dell’unica maternità: la mamma del cuore, la mamma del cielo e la mamma mistica. E poi?
Ha scritto il Cardinale Giovanni Colombo:
Ci verrà incontro il Signore Gesù per giudicarci con amore. Come è bello sapere che nessun uomo sarà il nostro giudice, perché nessuno potrebbe essere buono e misericordioso come Gesù. Per quanto siamo stati insufficienti, incompleti e colpevoli, non potremmo esserlo stati tanto quanto Lui è buono. Sarà il primo che incontreremo e lo abbracceremo con le mani consacrate per Lui.
Ciao, don Nello, e arrivederci in Paradiso!
E se avremo la gioia un giorno di essere accolti anche noi, siamo sicuri dove venirti a cercare: seduto alla tavola del cielo!
Là dove il Signore passerà a servirci nella convivialità serena del Regno di Dio, e non più alla mensa consumata in fretta nel tempo: qui nella speranza, là nella certezza; qui nell’ombra della sera, là nella viva luce del mattino; qui come riflesso in uno specchio antico, là faccia a faccia nel sempre e per sempre con il Signore. Qui, cantando l’alleluia della speranza e dell’amore affamato, là nel canto nuovo che sazia e che non muore in gola.
Con Sant’Agostino ripetiamo:
O felice quell’alleluia cantato lassù!
O alleluia di sicurezza e di pace!
Là nessuno ci sarà nemico, là non perderemo mai nessuno amico.
Ivi risuoneranno le lodi di Dio.
(Cfr S. Agostino, Discorso 256)
Amen!
+ Giuseppe Giudice, Vescovo