Il 17 giugno è il giorno che le Nazioni Unite hanno scelto per celebrare la Giornata Mondiale per la Lotta alla desertificazione e alla siccità.
La giornata è stata proclamata il 30 gennaio del 1995 e ogni anno ha un tema diverso allo scopo di far conoscere e divulgare modi nuovi per prevenire la desertificazione e riprendersi dalla siccità. Il 2020 vede protagonista il motto “Food. Feed. Fibre.”, quindi “Cibo. Mangimi. Fibre tessili.”
Oltre a celebrare la Convenzione – uno strumento internazionale di valore giuridico teso a contrastare il fenomeno della desertificazione e dell’impoverimento delle terre fertili -, la Giornata Mondiale contro la Desertificazione è anche l’occasione per fare il punto sulla gestione del suolo da parte dei vari stati e vedere quanto fattori come lo sviluppo socio-economico, la protezione ambientale e i consumi sostenibili impattino con il territorio e con i cambiamenti climatici, dato che la desertificazione e la siccità sono diretta conseguenza delle attività umane e della produzione industriale per rispondere al fabbisogno sempre più crescente di cibo, alimenti per animali e fibre per l’abbigliamento che cresce con l’aumentare della popolazione e il migliorare delle condizioni di vita.
Come spiega Ibrahim Thiaw, segretario esecutivo della Convenzione: “Se continuiamo a produrre e a consumare come al solito, manterremo la capacità del Pianeta di sostenere la vita fino a quando non rimarranno nient’altro che scarti. Tutti noi dobbiamo fare scelte migliori su ciò che mangiamo e su ciò che indossiamo per aiutare a proteggere la Terra“.
Le ultime stime non sono rassicuranti sul tema. Per l’ONU, entro il 2050, il 90% degli ecosistemi potrebbe essere modificato, con la produzione alimentare che richiederà ulteriori 300 milioni di ettari di terra entro il 2030 e l’industria dell’abbigliamento e delle calzature che prevede di utilizzare il 35% in più di terra, per un totale di oltre 115 milioni di ettari, provocando inoltre il 12% delle emissioni globali di gas serra sempre entro quella data.
In Italia invece, secondo le stime Cnr-Anbi, ci sono aree in cui, a causa dei cambiamenti climatici e di pratiche agronomiche forzate, la percentuale di sostanza organica, contenuta nel terreno, è scesa al 2%, soglia per la quale si può iniziare a parlare di deserto.
Le aree maggiormente a rischio sono la Sicilia (70%), il Molise (58%), la Puglia (57%) e la Basilicata (55%), mentre in Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50%: nel complesso il 20% del territorio italiano rischia di diventare incoltivabile.
ROSSANA RAVERA