42 anni fa, veniva eletto presidente della Repubblica, dopo giorni e scrutini travagliati, Pertini Alessandro, detto Sandro, avvocato e soprattutto partigiano, socialista e già presente nelle istituzioni pur rimanendo attaccato alla semplicità. Fu eletto malgrado tutti, persino i socialisti, che avevano pensato prima a Vassalli e poi a Giolitti.
Tanto è anziano, ha già 82 anni, durerà poco…Invece Pertini durò tutto il settennato, fu una scossa, cambiò il modo di fare il presidente, populista ante litteram, legato alla gente e non al Quirinale (rimane l’unico presidente a tornare a casa di sera, senza abitare il Palazzo). Va ad accarezzare Berlinguer morto e lo riporta a Roma, va al pozzo sperando che a Vermicino si salvi Alfredino, diventa un divo con la partecipazione entusiasta alla vittoria dei mondiali di calcio del 1982, è durissimo nell’immediato post terremoto in Irpinia quando parla in diretta tv di inefficienze e ritardi.
Nel discorso d’insediamento in Parlamento c’era già tutto Pertini, la sua vita e le sue battaglie, l’odore di pulito che accompagnava ogni parola, ogni gesto e ogni azione.
«Certo noi abbiamo sempre considerato la libertà un bene prezioso, inalienabile. Tutta la nostra giovinezza abbiamo gettato nella lotta, senza badare a rinunce per riconquistare la libertà perduta. Ma se a me, socialista da sempre, offrissero la più radicale delle riforme sociali a prezzo della libertà, io la rifiuterei, perché la libertà non può mai essere barattata. Tuttavia essa diviene una fragile conquista e sarà pienamente goduta solo da una minoranza, se non riceverà il suo contenuto naturale che è la giustizia sociale. Ripeto quello che ho già detto in altre sedi: libertà e giustizia sociale costituiscono un binomio inscindibile, l’un termine presuppone l’altro: non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà, come non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale.»