Con il termine 5G si indicano tecnologie e standard di nuova generazione per la comunicazione mobile. Questa “quinta generazione”, che segue le precedenti 2G, 3G e 4G, è quindi la tecnologia di connessione che utilizzeranno i nostri smartphone, ma anche e soprattutto i tanti di oggetti connessi (IoT, Internet of things) intorno a noi, destinati a essere sempre più numerosi (elettrodomestici, auto, semafori, lampioni, orologi…). Una delle caratteristiche principali di questa rete è, infatti, proprio quella di permettere molte più connessioni in contemporanea, con alta velocità e tempi di risposta molto rapidi.
Non si tratta, inoltre, della semplice evoluzione dell’attuale rete 4G, perché ha caratteristiche tecniche completamente diverse, non solo per la quantità di banda più ampia e per la velocità; si tratta proprio di un modo diverso di gestire le comunicazioni e la copertura, con frequenze, antenne e tecniche di trasmissione dei dati differenti rispetto al passato.
L’implementazione della rete 5G sta attraversando una fase sperimentale in alcune aree del territorio italiano e il 2020 – secondo quanto annunciato – dovrebbe essere l’anno in cui si raggiungono copertura e servizi maggiori. Per le sperimentazioni, gli operatori sono attivi in modo differenti in varie città: ad esempio Vodafone sta coprendo Roma, Milano, Torino, Bologna e Napoli. Tim è presente in città come Torino, Genova, San Remo, San Marino, Bari e Matera. Wind Tre ha puntato ad esempio su Prato e L’Aquila. Iliad sembra da tempo sui blocchi di partenza. Tim e Fastweb già mesi fa promettevano diffusione a tutti entro il 2020, così come Vodafone sul sito annunciava una copertura del territorio italiano, progressivamente nelle principali città, nel corso dei prossimi anni.
Nonostante il panico scatenatosi intorno al 5G (si teme sarà causa di varie malattie, ad esempio tumori), al momento non ci sono dati che permettono di escludere o confermare che questa nuova tecnologia abbia effetti dannosi per la salute o meno (non ci sono risposte chiare e definitive neanche sulle tecnologie precedenti, figuriamoci sul 5G che è ancora agli albori). Per poter valutare i potenziali effetti negativi sulla salute del 5G possiamo però rifarci alle prove disponibili sugli effetti delle emissioni legate a 2G e 3G, cercando di ipotizzare cosa possa verificarsi in conseguenza di esposizioni differenti. Ma anche in questo caso, serviranno anni di studi dalla sua diffusione per avere risposte chiare. Quello che sappiamo fino ad ora, però, rassicura più che allarmare: il 5G viaggerà sì su frequenze più elevate rispetto a 2G, 3G e 4G (e questo è uno degli elementi che spaventa), ma la rete di antenne, in realtà, utilizzerà segnali dotati di potenza inferiore (spieghiamo in seguito perché). Inoltre resta fermo il fatto che, anche se a frequenze maggiori, la capacità di penetrazione di queste onde nei tessuti umani rimane sempre molto bassa e limitata agli strati superficiali della pelle, mancando anche l’energia necessaria per causare un danno al Dna. Con una rete di questo genere, per la capillarità delle antenne del 5G, l’intensità dei segnali necessari e le frequenze utilizzate, viene da pensare a un’esposizione limitata e dagli effetti negativi paragonabili o addirittura inferiori a quelli derivanti dall’uso di tecnologie precedenti.
Sulle onde elettromagnetiche emesse con il 5G, non ci sono ancora dati che permettono di capire se ha effetti dannosi. Ci sono dati validi, riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale, sull’esposizione alle frequenze di 2G e 3G, dati che non danno ancora risposte definitive e che, comunque, non possono essere trasferite in automatico sul 5G (antenne e frequenze sono molto diverse).
Si tratta, comunque, di analisi da cui emerge un quadro contraddittorio, ma tendenzialmente non preoccupante. Alcuni studi di tipo caso-controllo (basati sul confronto tra malati e sani rispetto al tipo di esposizione che hanno avuto in passato) hanno rilevato un lieve aumento del rischio di tumori cerebrali e del nervo acustico nelle persone con un uso elevato e prolungato del cellulare (non si parla di antenne), mentre altri studi epidemiologici (considerati più chiari nelle conclusioni perché verificano nel tempo l’emergere dei casi), ci dicono che da prima dell’arrivo del cellulare ad oggi non c’è stato un aumento significativo dei tumori ascrivibile all’uso del cellulare. Lo Iarc (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) sulla base di queste analisi, ha classificato i campi elettromagnetici a radiofrequenza come cancerogeni di gruppo 2B, ovvero come “possibilmente cancerogeni”: è il livello più basso di rischio, usato quando ci sono prove limitate. Sulla base di quello che vediamo, quindi, non dobbiamo preoccuparci particolarmente; ma per evitare qualsiasi tipo rischio anche solo potenziale, è sempre meglio adottare alcuni semplici accorgimenti in modo da ridurre l’esposizione di testa e corpo alle emissioni dei cellulari.