Ci sono passata anch’io. Non avevo compiuto nemmeno 24 anni quando mi laureai in Sociologia con indirizzo politico/istituzionale nel 2002, all’Università degli Studi di Salerno, con una tesi incentrata sulla QUESTIONE MERIDIONALE di Antonio Gramsci. Il mio prof. di sociologia politica, che era il mio relatore, rivolgendosi a me e ad altri compagni di corso, ci disse con fare serio e disincantato: Ragazzi, se volete lavorare, dovete andarvene via di qui, almeno da Roma in su
Tra quei ragazzi poco più che ventenni c’eravamo io, che vivo e lavoro vicino Milano, Manuela che fa la giornalista negli Stati Uniti, Luigi che insegna a Bologna.
Aveva ragione, insomma.
Ma prima di arrendermi ed emigrare io c’ho provato a restare al Sud, a casa mia.
Ho fatto un Master alla Federico II, in Economia per gli enti non profit, poi una valanga di lavori precari, a nero e spesso a gratis: contratti a progetti ( i famosi Co.Pro. ), con lettera d’incarico, con Parita IVA e ritenuta d’acconto, un Co.Co.Co., ripetizioni di greco e latino, incarichi part time in una scuola paritaria, una Work experience, il servizIo civile, in fabbrica.
Ma non starò qui a riassumervi noiosamente il mio curriculum vitae, anche perché mentre quest’ultimo s’allungava sempre più, il mio portafogli era sempre mezzo vuoto e tante persone mediocri e raccomandate prendevano il posto, come si suol dire. Non erano più colte di me, né più formate, più serie, più competenti. Erano solo raccomandate dalle persone che contano, politici, esponenti del clero, amici di amici. In parole povere il tempo passava, io ero sempre precaria e malpagata ed avevo quasi 40anni. Così, anche malvolentieri, sono stata costretta a lasciare la mia terra, casa mia, i miei affetti consolidati, l’orto con le sue delizie.
Nella valigia tanta paura e sogni da realizzare, due figli a cui far credere che anche senza raccomandazioni nella vita si possono raggiungere dei buoni risultati, con sacrifici abbastanza grandi.
Ecco, al Sud come al Nord, occorre spezzare questa mentalità della rendita, alimentata da rapaci e interessati mediatori. Un simile fenomeno non può che avvenire dal basso. Il riconoscimento del ruolo svolto da questi intermediari della corruzione nel perpetuarsi della Questione meridionale e di tanti altri mali del paese è il primo passo propedeutico a qualsiasi soluzione si intenda proporre. Il deficit colpevole di controllo della gente del Sud sui suoi amministratori di vario rango, si può superare solo con una maggiore partecipazione nella gestione della cosa pubblica. In parallelo, trasmettere alla gente del Nord Italia quanto possa convenire un simile processo, anche sotto il mero profilo economico, davvero innescherebbe la fine di tanti fenomeni che imperversano nel paese. Sarebbe il cortocircuito invocato da Gramsci tra le varie anime del paese.
Mutatis mutandis. Antonio Gramsci scriveva nel 1916: “Il Mezzogiorno non ha bisogno di leggi speciali e di trattamenti speciali. Ha bisogno di una politica generale, estera ed interna, che sia ispirata al rispetto dei bisogni generali del paese, e non di particolari tendenze politiche o regionali”.
Sarebbe opportuno anche prender parte attivamente della Cosa Pubblica, nel sociale, nel mondo della cultura, nel volontariato, ma prima di tutto, bisogna avere un lavoro stabile e dignitosamente retribuito, perché la propria autonomia economica è alla base di ogni valorizzazione personale e civile.
Quindi il mio è un invito a non arrendersi, né a 20 anni, né a 30, né a 40! Se necessario bisogna far fagotto e raggiungere lidi più sicuri, ove non occorra leccare il sedere a nessuno, ma dimostrare di valere e non dover ringraziare altri, se non se stessi. Ci vuole coraggio, certo, ma se ce l’ho fatta io, può riuscirci chiunque.
Annalisa Capaldo