La vicenda risale al 1993, quando Giuseppe aveva 19 anni. L’indagine fu archiviata dal pm, ma senza risolvere dubbi e punti oscuri. «Sono 27 anni che cammino con la bara di mio figlio sulle spalle», ha dichiarato l’anno scorso la signora Lucia Galluzzo ai microfoni di “Chi l’ha visto”. Lei in cuor suo non ha mai creduto che suo figlio si fosse ucciso, per questo vuole dargli giustizia. Giuseppe Crispo era stato trasferito nella caserma “Ilardi” di Genova da poco meno di 40 giorni. La sera della sua morte lo chiamarono i suoi al telefono della caserma, ma parlò al telefono anche con la fidanzata. I due si salutarono dicendosi “ti amo”. Quando lei provò a richiamarlo, rispose un collega, dicendo che Giuseppe aveva mal di pancia. Ma poco più tardi la famiglia del giovane poliziotto seppe che si era suicidato con un colpo di pistola dritto in fronte mentre i colleghi lo credevano in camera ad ascoltare la radio.
Chi dà notizia del suicidio, imprevisto e imprevedibile, lo attribuisce ad un litigio con la fidanzata. «È colpa tua, mi disse un dirigente di polizia, lo ha fatto per colpa tua», ha raccontato Anna a “Chi l’ha visto”. Neppure lei crede alla tesi del suicidio, anche perché i due non avevano litigato. Inoltre, non aveva dato segni di “fragilità e depressione”. Ma le stranezze sono tante: il portafogli viene trovato vuoto, senza stipendio e tredicesima. La pistola risulta trattata con un acido altamente corrosivo che ossidò ogni traccia organica. Poco chiara è anche l’ora della scoperta del cadavere. Nonostante tutti questi dubbi, l’indagine sulla morte di Giuseppe Crispo viene archiviata, mentre nessuna indagine interna venne disposta nella caserma “Ilardi” di Genova, la sua mostra viene registrata con cause di servizio, come da sentenza del consiglio di Stato. In attesa della verità e di tutti i dubbi da dissipare, domenica San Valentino gli intitolerà una strada.