Alfonso Maria de’ Liguori, uomo di ampia cultura, missionario, fondatore, vescovo, scrittore fecondo, pittore, poeta, musicista (ben noto è il “Tu scendi dalle stelle”), è senza dubbio un grande protagonista della storia della Chiesa e della storia tout court.
Nasce a Marianella (NA) il 27/09/1696 da una nobile famiglia. Il papà, Giuseppe, era comandante della nave Capitana della flotta del Regno di Napoli; la mamma, Anna Caterina Cavalieri, era della famiglia dei Principi di Presicce. A 12 anni sostiene con Giambattista Vico (noto filosofo, storico e giurista) l’esame di retorica e viene iscritto all’università. Il 21 gennaio 1713, a poco più di 16 anni, si laurea inutroque jure(ossia in diritto civile e diritto canonico).
Svolge l’attività forense, che pratica nel rispetto della verità, diventando presto uno dei più rinomati giureconsulti; è titolaredel Sedile diPortanova.Si dedica anche alle opere di misericordia assumendosi, nel 1715, il compito di visitare e di assistere i malati del più grande ospedale di Napoli, chiamato degli Incurabili. Nello stesso tempo studia filosofia, lettere e matematica: suona il clavicembalo e compone; dipinge e scrive poesie. Nel luglio del 1723, lasciato il foro dopo un processoperduto per intrallazzi politici,decide di farsi sacerdote e studia teologia.
Il 21 dicembre 1726, all’età di trent’anni, riceve l’ordinazione sacerdotale. Grande amico del popolo, al quale insegna che tutti sono chiamati alla santità, ognuno nel proprio stato, Alfonso si circonda, ovunque, di ecclesiastici e di laici di ogni ceto, organizzandoli in numerose associazioni. Si dedica in modo particolare ai ceti più umili, compiendo innumerevoli missioni nelle campagne e nei paesi rurali e prodigandosi in un intenso apostolato nei quartieri più poveri di Napoli, dove organizza, fin dal 1727, le “Cappelle Serotine”, frequentate da artigiani e da “lazzari”, cioè dal popolo minuto, che si radunavano la sera, dopo il lavoro, per due ore di preghiera e di catechismo. L’opera ha una rapida diffusione e diventa una scuola di rieducazione civile e morale.
Alfonso si rivolge al popolo con i mezzi pastorali più idonei e più efficaci, rinnovando la predicazione nei metodi e nei contenuti, collegandola con un’arte oratoria semplice e immediata. Il suo carattere positivo lo orienta verso i problemi più immediati della vita dei credenti, scossi nella fede e nelle certezze tradizionali da nuovi movimenti culturali e religiosi, soprattutto l’illuminismo e il giansenismo.
Nel 1732, Alfonso, volendo evangelizzare con più efficacia le popolazioni del Mezzogiorno, specialmente quelle più abbandonate e più sprovviste di aiuti spirituali, fonda a Scala, sulla Costiera amalfitana, la Congregazione del SS. Salvatore, poi denominata del Santissimo Redentore.
Nel 1762, a sessantasei anni, viene nominato vescovo della diocesi di Sant’Agata dei Goti, nel Beneventano. Nella grande carestia organizza soccorsi ai più poveri, e vende anche la sua carrozza. Nel nuovo compito sviluppa un’attività che ha dell’incredibile, nella duplice direzione del ministero diretto e dell’apostolato della penna.
Dopo 13 anni, consumato da un’artrosi cervicale e lombare, rinuncia all’episcopato. Gli ultimi dodici anni li trascorre a Pagani. Nonostante la malattia, è ancora attivissimo: scrive libri, prega, riceve persone e dirige la Congregazione. Muore a Pagani il 1 ° agosto 1787, a quasi 91 anni di età, in una casa del suo istituto religioso.
Il 20 febbraio 1807, a meno di vent’anni dalla morte, Pp Pio VII (Barnaba Chiaramonti, 1800-1823) ne proclama l’eroicità delle virtù e il 15 settembre 1815 lo beatifica.
Papa Gregorio XVI (Bartolomeo Mauro Alberto Cappellari, 1831-1846) lo canonizza nel 1839, il Beato Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti, 1846-1878) lo proclama Dottore della Chiesa nel 1871 col titolo di Doctor zelantissimus e il Venerabile Pio XII (Eugenio Pacelli, 1939-1958) lo assegna come patrono dei confessori e moralisti nel 1950.
S. Alfonso fu autore di oltre 100 opere scritte. Produsse sia opere “popolari”, quindi di spessore facilmente accessibile a tutti, sia opere esegetiche trattanti ad esempio la teologia (in particolare quella morale “Theologia Moralis” stampata già nel 1748), l’apologetica, la dogmatica. Queste opere, tradotte nelle principali lingue del mondo, hanno nutrito e continuano a nutrire intere generazioni di cristiani, rendendo più facile il loro cammino verso la santità.
Lo stemma della “Congregatio Sanctissimi Redemptoris” (Congregazione del SS. Redentore) compare, per la prima volta, nella forma e composizione odierna, sui documenti delle costituzioni capitolari del 1764 dove se ne fa una descrizione completa.
Tale stemma consiste in una croce latina, con ai lati una lancia e una canna con la spugna, sita sopra tre monti. Accanto alla croce compaiono, a sinistra l’acronimo di Gesù e a destra il monogramma di Maria. Al di sopra della croce troviamo l’occhio raggiante sovrastato da una corona. Tutt’intorno allo stemma poi c’è la legenda COPIOSA APUD EUM REDEMPTIO (cf. Salmo 129,7).
I redentoristi fanno della Croce il simbolo per eccellenza da tenere sempre presente nella loro vita spirituale e accanto ad essa tutto ciò che comprende e ne scaturisce, per cui troviamo la lancia con cui fu colpito Gesù quando era ormai morto sulla croce, la canna con all’estremità una spugna che servì a “dissetare” Gesù crocifisso, le lettere di Gesù e di Maria accanto alla croce a simboleggiare il dolore sofferto e inferto a entrambi.
Al di sopra di tutto ciò c’è l’occhio raggiante e vigile di Dio sempre presente nel raccoglimento, nella preghiera dei congregati intorno alla Passione di Gesù. Ed ecco che alle estremità dello stemma ci sono i due messaggi di speranza: la corona che presagisce a chi muore nella Congregazione un posto in Paradiso e la legenda che esplicita il senso della Redenzione copiosa in Cristo e che quindi estende a tutti anche oltre le capacità umane di redimere e di convertire la misericordia di Dio.