Garibaldi in Sardegna di questi tempi è uno scoop…
Qui mi vogliono bene, a La Maddalena mi riempiono di affetto, cerimonie, statue, non mi posso lamentare. A La Maddalena, dopo tante peripezie, conobbi una pausa di tranquillità in mezzo a gente nella quale poteva identificarsi: gente ardimentosa, fiera, ma semplice e schietta. Il primo soggiorno durò appena un mese. Al ritorno dalla seconda avventura americana, venivo spesso qui, presi un terreno.
Però ti sei messo dalle parti della vetrina con ragazza scosciata
Zitto, se Anita mi vede arriva alle mille e una notte, altro che i miei Mille
Tu hai sempre coltivato questi nobili ideali, anche se spesso fosti un po’ frenato nel tuo ardore da coloro che agivano con gli stessi propositi, ma bloccati dalle coinvolgenti situazioni politiche.
Comprendo che alludi al Cavour, da me ferocemente criticato per l’eccessiva prudenza, ma egli, a dire il vero, avendo sotto controllo la situazione generale con un panorama più vasto del mio, agiva con cautela, pur perseguendo i medesimi obiettivi.
Certo che Cavour te la combinò grossa quando nella primavera del 1860 cedette la tua amata Nizza e la Savoia alla Francia…
Non mi ricordare quei tristi giorni e quella decisione che ferì profondamente il mio animo e che mi procurò infinita amarezza; io protestai, mi opposi, ma non ottenni nulla, e potei solo rinfacciare al Cavour di avermi reso “straniero in patria”.
Ma la tua patria era il mondo, e tu corresti in soccorso di chiunque ne avesse bisogno e ovunque; perfino in Francia eri soprannominato “Il leone della libertà”.
Dici bene; infatti, mentre mi trovavo in esilio in Sud America, presi parte a molte battaglie in difesa di quelle popolazioni e fui a capo di volontari, tutti vestiti con camicie rosse. Ero orgogliosamente ateo e nemico acerrimo del clero e del capo della Chiesa, Pio IX, e feci del tutto per liberare Roma dal potere temporale e cacciare il papa. Dopo il tuo servizio militare, leggi le mie Memorie, e lì troverai scritto: “Se sorgesse una società del demonio, che combattesse despoti e preti, mi arruolerei nelle sue file”.
E dire che tuo padre ti voleva far studiare da avvocato, da medico e perfino da prete!
Mi avrebbe rovinato, ma c’è sempre un Dio che provvede a tutto, anche se per me non esiste, faccio l’ironico ogni tanto.
Condivido in pieno, caro Peppino , quanto hai espresso, e allora, prima di lasciarci, ti chiedo di completare le tue confidenze raccontandomi i tuoi ultimi momenti di vita.
Accadde tutto il mattino del 2 giugno 1882: ormai ero molto invecchiato, gravemente infermo e sofferente. A un certo momento due capinere si posarono sul davanzale della mia finestra; io mormorai: “Lasciatele, sono forse le anime delle mie due bambine che vengono a salutarmi prima di morire…”; poco dopo morii e fui sepolto sotto questo grande blocco di granito, all’ombra dei pini della mia amata Caprera. Mio figlio ebbe la spontanea e affettuosa idea di bloccare l’orologio e il calendario al momento del mio trapasso: ore 06,21.
Una giubba rossa e mille volontari al seguito, come in una fiaba, alla conquista – alla creazione – dell’Italia: una marcia trionfale da Marsala a Messina, fino ad arrivare a Napoli, la capitale del regno borbonico; e, infine, la consegna dei territori conquista a Vittorio Emanuele II, ultimo atto di una guerra di creazione e unificazione che di vera e propria conquista. Lo rifaresti?
No, conoscendo il resto, forse no. Non è venuta fuori l’Italia che volevo, troppe disparità, troppe divisioni malgrado l’unificazione. Ora se permetti vado a riposare.
Obbedisco
Non mi rubare le parole, non lo sopporto