Una donna di Roma di 50 anni è la prima dei 90 volontari che da stamattina riceveranno il vaccino tutto italiano contro il coronavirus, messo a punto dall’azienda ReiThera. La sperimentazione è guidata dall’Istituto Spallanzani di Roma. “Ho voluto fare questa scelta perché devo andare all’estero per lavoro, nel Golfo Persico”, è stata la sua spiegazione. “Credo nella scienza italiana. Spero che questo mio gesto serva, e spero che le persone siano più responsabili”, ha detto la 50enne, che preferisce non rendere pubblici nome e cognome e deve restare in osservazione per 4 ore dopo l’iniezione.
Il vaccino di ReiThera è nella prima fase di sperimentazione, quella che controlla la sicurezza ed è limitata a 90 volontari. Se i test verranno superati, le prime immunizzazioni avverranno in primavera. L’azienda ha una capacità produttiva di milioni di dosi e ha annunciato che darà la priorità all’Italia per la distribuzione. “Se tutto andrà per il meglio e termineremo questa sperimentazione entro l’anno, potremmo avere il vaccino in primavera su base commerciale” ha detto Francesco Vaia, direttore sanitario dello Spallanzani.
I candidati alle sperimentazioni erano stati 5mila. Sono stati scelti solo quelli in perfetta salute: dopo la somministrazione, verranno sottoposti a 8 visite nell’arco di 7 mesi per controllare che non si presentino effetti collaterali. Metà dei 90 volontari hanno tra i 18 e i 55 anni, l’altra metà ne ha più di 65. Testare un vaccino in questa fascia di età è poco comune, in una fase uno. Parte dei test avverranno al Policlinico Rossi di Verona. Il vaccino usa la tecnica del vettore virale, o del “cavallo di Troia”.
I ricercatori di Castel Romano hanno isolato negli anni passati un adenovirus di gorilla: virus che negli animali provoca un raffreddore, ma che viene comunque inattivato prima dell’inoculazione nell’uomo. E’ stato scelto il primate perché il nostro sistema immunitario non riconosce i suoi microbi e non li distrugge, lasciandoli circolare nel corpo per un tempo sufficiente a rendere efficace il vaccino. Nel Dna del virus del gorilla i ricercatori hanno aggiunto una sequenza artificiale, che corrisponde alla proteina spike del coronaviru. Quando l’adenovirus del gorilla infetta le nostre cellule, la sequenza artificiale ordina loro di produrre anche la proteina spike: la caratteristica punta della corona del microrganismo. Sarà la spike a stimolare il sistema immunitario e a creare una memoria che consentirà alle nostre difese, in caso di contagio con il Sars-Cov-2 vero e proprio, di scattare in modo rapido e robusto.
Lo stesso metodo del vettore virale è adottato dall’altro vaccino che vede una partecipazione italiana: quello di Oxford. Il brevetto è inglese, la produzione su larga scala è affidata alla multinazionale britannica AstraZeneca, ma la biotech Irbm di Pomezia si è occupata della fabbricazione per la fase sperimentale. Il vaccino di Oxford è uno dei più avanzati al mondo: è già nella fase tre delle sperimentazioni, che sono in corso oltre che in Gran Bretagna, anche in Brasile e Sudafrica, paesi scelti perché i contagi sono molto sostenuti. La produzione – nonostante la fine dei test sia prevista per la fine dell’anno – è già partita in Gran Bretagna, India e Stati Uniti. Il presidente americano Donald Trump crede molto nel vaccino di Oxford (anche per ragioni elettorali), tanto da volerlo inserire in una procedura di fast track, cioè di autorizzazione rapida, in modo da ricevere le prime dosi prima delle elezioni per la Casa Bianca di novembre. Dopo la Russia, che ha annunciato l’autorizzazione di un vaccino prodotto in casa, ma i cui dati non sono stati mai pubblicati e della cui efficacia non si sa nulla, oggi anche la Cina ha annunciato l’inizio delle somministrazioni del proprio vaccino su categorie di lavoratori a rischio, come gli operatori sanitari e le guardie di frontiera.