E, forse, anche per tutto l’inverno. Una ferita per chi soffre di malattie respiratorie. A Sarno, la montagna dovrebbe essere un santuario. Soprattutto dopo la frana del 1998. Eppure, la mano della devastazione non la risparmia. Un incendio, con altissime probabilità di natura dolosa ha ancora una volta sconvolto le colline. Dalle 11 del mattino di domenica, i roghi non si sono più contati e una cappa di fumo ha avvolto la città. Uno spettacolo triste che ha ferito una comunità e ha generato danni ancora in via quantificazione alla macchia mediterranea che sovrasta il centro dell’Agro. Dal primo pomeriggio, è cominciato il via vai di mezzi aerei che, però, col calare della sera, hanno dovuto desistere e il vento ha fatto propagare le fiamme estendendole. Ormai, sembra un appuntamento fisso. Ogni anno, di questi tempi, il patrimonio montuoso locale è sotto attacco. Non si è ancora cancellata la memoria del bruttissimo incendio che, nel 2019, costrinse ad evacuare intere famiglie dei quartieri pedemontani. I responsabili di quel rogo furono individuati. A fine agosto, un altro piromane è stato incastrato dai filmati. Ma, evidentemente, le lezioni non sono servite. Sono atti che gettano tutti in uno scoramento al punto da invocare la mano forte della giustizia che, sul tema, però, tarda ad arrivare. Il periodo degli incendi è sempre lo stesso e il fuoco gode anche del positivo fattore della brezza che, a metà settembre domina la città. Sembra tutto studiato a tavolino, ma non si comprende la logica di gesti simili. Mitomani, malati, interessi economici? Qualsiasi cosa sia mina profondamente la credibilità delle istituzioni, soprattutto di quelle che non riescono a fare della prevenzione l’arma migliore. Così, la gente è libera di pensare a tutto perché non trova una spiegazione logica ad un accanimento tale. Si parla di agricoltori, di pastori, di macchina dei soccorsi. Tutto va in discussione. Tutti ad accanirsi contro il nemico oscuro. C’è da dire che il patrimonio terriero collinare è frazionato e molti fondi sono stati abbandonati all’incuria. Anche in questo abbandono dell’agricoltura collinare si può cercare una oscura complicità della veloce propagazione delle fiamme. Il Saro e il Saretto sono un anello debole della cultura ambientale. In una città in cui si parla di recupero delle acque e della qualità della vita, non si riesce a far comprendere che è necessario un ritorno alla montagna anche come forma di sussistenza per evitare disastri. Il tracciamento dei sentieri e la pulizia del sottobosco sono elementi essenziali dai quali ripartire. In passato, negli anni ottanta e a metà anni novanta, l’incendio profondo della zona di via Bracigliano ha provocato mini alluvioni in alcuni quartieri. Il timore, ora, scatta di nuovo perché la devastazione è tanta al punto che gli stessi soccorritori fanno fatica a spegnere tutto. Il sistematico ripetersi degli incendi attira critiche sulla capacità di prevenzione del fenomeno, anche alla luce dei progressi fatti dalla tecnologia. E sicuramente la costante distruzione della vegetazione non aiuta una città che si sta ancora leccando le ferite di una tragedia. Ora, la retorica si rincorre, ma occorre che anche la tutela del patrimonio boschivo sarnese torni al centro di un grande dibattito sulla qualità della vita e dell’ambiente in ambito provinciale e regionale, con azioni di sensibilizzazione volte al ritorno anche in termini economici verso le colline. Altrimenti, ogni anno, i balordi trionferanno sempre offendendo una intera comunità.