Questo il messaggio inviato ai genitori dal bimbo di 11 anni che a Napoli si è lanciato dal balcone della casa di famiglia in piena notte, morendo sul selciato. Era un bimbo seguito, amato, curato. Figlio di una coppia di avvocati della cosiddetta ‘Napoli bene’, una sorellina, è sempre stato colmato di attenzioni. Il calcetto, gli amici di scuola, un bambino pieno di interessi. Brillante. Mentre gli inquirenti indagano per istigazione al suicidio, alcuni media riportano notizie di una presunta challenge, un gioco online dal quale il bambino sarebbe rimasto soggiogato fino al punto di obbedire al comando di lanciarsi.
A stimolare queste speculazioni l’ultimo messaggio mandato dal piccolo ai genitori. Da giorni non si parla che di inquietanti personaggi di fantasia che, nascosti dietro l’anonimato di internet, attirerebbero i bambini delle chat per sottoporli a prove pericolose ed estreme. Cyberbullismo, violenza virtuale, per spiegare la morte del piccolo si è invocato – prematuramente e senza risultanze investigative – il demone di internet. Non bisogna dimenticare, però, che il suicidio infantile esiste, che il quaranta per cento dei bambini in momenti di vulnerabilità pensa di mettere fine alla propria vita. È raro, ma è un fenomeno che non dobbiamo ignorare soltanto perché ci fa paura, perché mette in crisi le nostre certezze. L’infanzia non è sempre una parentesi felice e spensierata, ma anche una fase di profonda vulnerabilità. La presenza, l’ascolto, l’affetto e le cure non sempre sono antidoto al male.
JENNIFER PAGANO