
42 anni fa, a metà ottobre, se ne andava Luigi Angrisani, il senatore, il tribuno della gente, il braciglianese diventato nocerino.
L’11 ottobre 1978 è agonizzante nel suo letto quando gli portano una copia del Corriere della sera . Un guizzo degli occhi accompagna il titolo d’apertura del quotidiano milanese: “Scandalo Lockheed, incriminati Tanassi, Gui e Rumor”. Non ha la forza di parlare, ma quella di far volare il giornale per aria sì. Spira devastato da un tumore, tre giorni dopo. Intorno al suo letto il figlio Luigi Celestre e tutti gli Angrisani. Il suo testamento politico, dettato sette anni prima ad un cronista del “Sole nascente”, organo del PSDI, suonava così: <<Trovare un posto ad un disoccupato per far tornare serenità in una famiglia è per me sempre una grande gioia. Difendere un povero perseguitato da un potente è per me una grande soddisfazione; tra sgrumati e sfruttatori, per istinto, sono stato e sarò sempre con i primi>>.
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, si fa destinare al fronte nordafricano. Ufficiale medico: la possibilità finalmente, di sperimentare sul campo le cognizioni acquisite sui banchi dell’ateneo federiciano. Ma la Wermacht e Rommel gli stanno sullo stomaco. Ribelle ad ogni imposizione, fedele solo al giuramento d’Ippocrate, Luigi Angrisani abbandona il fronte molto prima dell’otto settembre. La grande sbornia nazifascista lo ha disgustato, in Italia sfugge ai rastrellamenti tedeschi grazie alle coperture che gli forniscono gli antifascisti braciglianesi. Le rovine del dopoguerra, più che abbatterlo, costituiscono un propellente per il suo carattere. Si stabilisce a Nocera Inferiore e, da un vecchio ospedale da campo americano nella zona della stadio San Francesco, ricava il primo nucleo del futuro nosocomio nocerino Umberto I, di cui diventa Direttore sanitario e “factotum”, si diceva così all’epoca. Angrisani, di estrazione cattolica, ha simpatie per la Dc, ma le perde quasi subito. Il pretesto è la defenestrazione dall’ospedale dell’Agro: i baroni democristiani che popolano le corsie sono utilizzati come killer dal senatore Goffredo Lanzara, notabile scudocrociato dell’epoca, cognato dello storico rivale braciglianese Donnarumma. E’ ’a svolta, professionale e politica. Con il fratello Antonio (futuro direttore sanitario del “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno), dopo aver acquistato la Villa dei Marchesi Granafei, feudatari d’Alfaterna, fonda la clinica specializzata nella cura delle affezioni tubercolari “San Pantaleone”; in politica aderisce (<<per legittima difesa >> dirà lui più tardi: l’estabilishment democristiano nocerino gli ha fatto terra bruciata intorno, spedendolo addirittura davanti ai giudici) al Fronte popolare che, nel ’48 lo candida al Senato nel collegio di Nocera Inferiore, in contrapposizione proprio a Lanzara.
Finisce male, ma quattro anni dopo Angrisani si prende una clamorosa rivincita: eletto al primo colpo sindaco di Nocera Inferiore e consigliere provinciale.
Compare il Gallo, troppo semplicemente bollato come l’espressione folklorica della politica dell’epoca. Sotto l’insegna del volatile che col suo canto deve risvegliare le coscienze intorpidite e angosciate del dopoguerra, il giovane medico braciglianese approda a Palazzo Madama un anno dopo, prevalendo nel collegio unico regionale su big del peso di Epicarmo Corbino e Arturo Labriola. Un plebiscito: Angrisani rastrella 38.000 voti. Sono i tempi, eroici, della Sinistra indipendente: in Parlamento Angrisani, un senza tessera nell’Italia irregimentata in partiti, gruppi organizzati e sindacati, fa irruzione con la sua oratoria torrenziale e i suoi modi da Sgarbi ante litteram: uno “scapigliato” della politica che miete simpatie sia tra i banchi comunisti che tra quelli socialisti.
Nel ’56 la seconda svolta: in Parlamento si vota la legge truffa, Angrisani si oppone alla sua maniera finendo nelle grazie di Giuseppe Saragat, padre storico della socialdemocrazia italiana e protagonista principe, otto anni prima, della storica scissione di Palazzo Barberini, quando l’anima moderata dei socialisti italiani aveva abbandonato gli “stalinisti” Nenni e Pertini al soffocante abbraccio coi comunisti filosovietici.
Angrisani non tradisce le sue origini e aderisce al Sole nascente. E’ l’inizio di un’era che si conclude solo pochi anni prima della morte, passando attraverso una dolorosa diaspora. Un incidente stradale in cui rimane coinvolto nel 1956 (muoiono, sulla Caserta-Salerno, tre calciatori della Casertana e un suo attendente, lui riporta fratture multiple) non ne inficia l’impegno a trecentosessanta gradi.
Dal 1958 al 1974 non fallisce un colpo: sempre eletto in Parlamento nel PSDI.
Leader incontrastato della socialdemocrazia salernitana, in vent’anni ricopre la carica di viceministro ai Trasporti, all’Agricoltura, alla Difesa, ai Lavori pubblici, alle Poste.
Il suo rivale storico è Fiorentino Sullo, potentissimo ministro dell’Industria democristiano, fondatore della Sinistra di base.
Angrisani porta la sfida in campo aperto. I suoi comizi sono autentici show; precursore dei tempi, inaugura la politica – spettacolo portandosi dietro, sulle piazze del collegio Salerno – Avellino – Benevento, folle adoranti. Dal piccolo paese aggrappato alle pendici del monte Piesco partono torpedoni di fan: lui ricambia con espressioni colorite che infiammano lo scontro. La sua evoluzione politica segue, disciplinatamente, quella dei socialisti italiani: nel 1968 è capolista del PSU, nato dalla fusione tra PSDI e PSI, nel secondo collegio campano. Cinque anni prima, nel ’63, si era portato a Montecitorio Enrico Quaranta e Lucio Brandi: il primo sindaco di San Pietro al Tanagro, il secondo di Sapri. Quando la brevissima stagione dell’unificazione tramonta, Quaranta e Brandi non sono più al suo fianco. Angrisani ne fa una ragione d’onore. All’incontro chiarificatore, nel ristorante Corialano di Roma, quando capisce che i due si sono già accordati con il segretario PSI Giacomo Mancini, fa volare un tavolo in mezzo alla sala. E’ la sua maniera di reagire ai tradimenti: da quel momento dichiara una personalissima guerra a Quaranta, che sfocia in un famoso comizio nel corso del quale, brandendo dal palco uno slip da donna, Angrisani ne attribuisce la proprietà alla consorte del senatore socialista del Vallo di Diano.
Vulcanico, focoso, irrompe anche sulla scena amministrativa salernitana, facendosi eleggere per due legislature consigliere comunale. Sono gli anni a cavallo tra il regno di Menna e quello di Russo: lui, Angrisani, fa “gruppo” praticamente da solo nel salone dei marmi, ma dà filo da torcere sia al sindaco – patriarca che al truce Gasparone.
Nel 1973 cominciano i suoi contrasti con Mario Tanassi, boss socialdemocratico di quegli anni. Dal potentissimo ministro della Difesa coccolato da Andreotti lo divide quasi tutto: dalla concezione della politica a quella della gestione ordinaria del PSDI. Angrisani tuona contro il “partito degli assessori“ e delle tessere, anticipando di cinque anni gli esiti dell’inchiesta sul cosiddetto scandalo Lockheed. Nelle segrete stanze del ministro lui sottosegretario tenuto opportunamente all’oscuro di tutto, aveva subodorato la puzza di bruciato che si sprigionava dall’affare degli aerei militari comprati e rivenduti a prezzi maggiorati con l’intermediazione dell’ancora oggi misterioso Antelope Cobbler. Angrisani non ha perso il gusto della denuncia; e a costo di spaccare il partito, si scaglia contro Tanassi. Ancora una volta, riemergono i segni dell’antico onore tradito: il senatore sfida a duello (proprio così) il segretario del suo partito, al quale indirizza telegrammi di questo tenore: “Passerai alla storia per la tua viltà”, o ancora : “Tutto hai distrutto stop. Nemmeno onore salverai stop”. Ne ricava un’espulsione dal PSDI che lo costringe a riesumare il vecchio Gallo. Con la Sinistra indipendente torna in consiglio comunale a Nocera Inferiore, ma è bocciato alle politiche del 1976.
Gli ultimi due anni li trascorre nella sua clinica, sulla collina di San Pantaleone. Malato e deluso partecipa solo alle sedute dell’assemblea nocerina, diradando anche le visite a Bracigliano.