Ma davvero c’è chi pensa che il digitale possa sostituire in pieno gli impegni in presenza?
E dove lo mettiamo il piacere di dialogare guardandosi negli occhi dal vivo, potendo scrutare oltre lo sguardo altrui per cercare di capire se il nostro interlocutore ci sta mentendo e se è interessato a quanto diciamo (e viceversa)?
E cosa dire dell’opportunità di tessere legami e relazioni interessanti, dal vivo, arricchendo l’animo e concentrando l’ attenzione su chi ci ascolta o ci parla?
Sì, l’attenzione. Perché oggi, dopo mesi di lockdown per la pandemia e blocco di impegni in presenza, con la DAD per le scuole superiori, con il digitale che è entrato prepotentemente nelle nostre vite, tra corsi, dibattiti, meeting da remoto, con telecamera sul computer, microfono e cuffiette, l’attenzione è un privilegio che non sempre si ottiene o si concede.
Da quando il digitale si è impossessato del nostro quotidiano – e non c’è altro modo di partecipare a incontri, interviste, convegni di carattere culturale, politico, scolastico, scientifico, medico è così via – capita sempre più spesso che ci sia, nel gruppo della videochiamata, qualcuno che stacca la telecamera e il microfono e lascia solo le cuffiette per ascoltare la discussione, ma nel frattempo fa altro. Legge, consulta l’email, programma atri impegni. È accaduto, per esempio, che un politico spagnolo non abbia spento, per fretta e distrazione, la telecamera e il microfono e sia andato a farsi la doccia con il tablet. La motivazione era fondata: il ritardo all’appuntamento con sua figlia che lo aspettava per andare a lezione. Ma resta il fatto che gli altri partecipanti al dibattito siano entrati nella sua vita e nel suo spazio personale e privato, loro malgrado.
Il punto è proprio questo.
Tra smart working e meeting da remoto, c’è una sovrapposizione tra spazio e tempo lavorativo e privato e si è perso, con l’emergenza Covid 19, il piacere della vicinanza, delle strette di mano, dello scambio di sorrisi e, al contempo, non si riesce più a custodire la sfera personale o, almeno, occorre cercare con forza di non far violare la propria privacy.
Senza considerare che ci sia chi, come chi scrive, viva per il piacere di condividere, in presenza, come si faceva abitualmente prima della pandemia, con gli altri, tutto ciò che lo vede impegnato. Una telecamera non può offrire le emozioni regalate da un contatto diretto, personale, fisico, dal dirsi le cose, belle o brutte, guardandosi in faccia.
Senza contare il fatto che illustri ricerche, come quella realizzata dal Work Trend Index, stanno dimostrando che la collaborazione da remoto sia mentalmente più sfibrante rispetto a quella in presenza e che i video-meeting siano fonte di stress.
Il valore del digitale lo si apprezza in occasione di convegni o interviste di persone che risiedono in luoghi lontani, magari all’estero. Ecco che, come accade spesso in tv, avere la possibilità di ascoltare l’intervento di un esperto che vive a New York diventi un privilegio da godere.
Ma l’intervista a un autorevole specialista in televisione ha una durata programmata.
Perché il punto focale resta proprio il tempo. Nella vita quotidiana, capita di condividere da remoto, per lavoro o per impegno civico, meeting senza alcuna interruzione e con durata a sorpresa, volutamente prolungata.
Perché si è portati a pensare che, stando a casa o in ufficio, magari in serata, si sia giunti (anche se i partecipanti sono dieci o più) al momento dello stop e non si abbiano altri impegni.
La verità è che ci sia ancora tanto da imparare sul valore dell’undivided attention (concentrazione, massima attenzione), da garantire da remoto come già in presenza, tanti step da superare per poter attribuire al digitale il valore che ha e che merita.
MARIA ROSARIA VITIELLO