Ci sono persone che prediligono lo scambio diretto, vis-à-vis, per riuscire a comunicare fin nel profondo i propri stati d’animo.
E poi c’è chi, in ogni occasione, nei tempi e nei modi che gli isultano possibili, attinge dalla mente e trasforma in parola scritta ogni pensiero, scandagliando miliardi di particelle del proprio sentire.
Scrivere è libertà di espressione, è potersi rivelare nella propria integrità, è spogliarsi di tutto il superfluo, è riuscire a comunicare senza rigore formale, è essere se stessi e mostrarsi senza maschera.
Una condizione ideale, non propria a tutti. Far vibrare la mente, liberando i pensieri e lasciandoli fluire lungo il percorso che conduce alla scrittura, alla penna che scorre sul foglio e lo riempie di parole, lo colora, gli dona forma e sostanza.
Ecco che i pensieri si trasformano, da concetti astratti, in realtà concrete. Acquistano forza, quasi si materializzano. Come se pensare una cosa la lasciasse leggera, fluida, ma mutare il pensiero in un insieme di parole gli conferisse una dignità tale da attribuirgli tratti lineari.
E che dire del rapporto tra scrittura e psicologia? Scrivere può avere un valore terapeutico – lo stream of consciousness, il flusso di coscienza che trae forma dal monologo interiore -, può aiutare a confrontarsi con se stessi e con gli altri, può agevolare i cambiamenti del proprio percorso esistenziale o spingere ad affrontare i conflitti esistenziali che creano ostacoli allo scorrere sereno della propria esistenza.
Non è un caso che lo scrittore tedesco Eckhart Tolle, alle cui opere è riconosciuto un profondo approccio spirituale, osservi:
“La quiete è la sola cosa al mondo priva di forma. Ma allora, essa non è veramente una cosa, e non appartiene a questo mondo”.
MARIA ROSARIA VITIELLO