La gravità dello stato in cui versa il bacino non può essere valutata senza conoscere almeno per cenni salienti le caratteristiche del suolo, che vanta una straordinaria disponibilità idrica sotterranea. La permeabilità del suolo è di gran lunga superiore a quella dell’acquifero di pianura. Il deflusso sotterraneo avviene secondo una dinamica a più falde sovrapposte e strettamente interagenti; tale equilibrio ha subito una prima alterazione a causa della cementificazione e della impermeabilizzazione del suolo: chilometri di alvei trasformati in vie di comunicazione e chilometri di tratti tombati. Le falde profonde, che lo strato tufaceo proteggeva, sono in pericolo: numerosi pozzi a uso agricolo, spesso abusivi e mal costruiti, interferiscono tra le falde e cagionano danni locali a quella profonda.
Le eccezionali disponibilità idriche della valle del Sarno hanno favorito lo sviluppo di intense attività antropiche e sono state oggetto di un vero e proprio saccheggio. Dagli anni ‘60 ad oggi, il sistema idrico del bacino ha perso progressivamente la sua capacità, riducendosi a un decimo della portata storica. Un ulteriore sfruttamento delle acque adesso è reso impossibile dalla captazione per uso idropotabile delle sorgenti. Nei rii che alimentano il Sarno scorre soltanto l’equivalente del Deflusso Minimo Vitale: se essi si ingrossano, si ingrossano per tributi di tutt’altro genere…
Veniamo così alle fonti di inquinamento. Quelle urbane, conseguenti alla densità demografica, sono generate dal volume di reflui fognari non depurati e da sversamenti abusivi di ogni genere. Le infrastrutture di ricezione e smaltimento sono inadeguate, il sistema di depurazione non è ancora a completo regime. Le reti fognarie stesse sono sottodimensionate e presentano punti di perdite. Le vasche di assorbimento sul versante orientale del Vesuvio raccolgono reflui che non possono essere rimossi se fognature, collettori e depuratori non vengono ultimati. Problematico anche il caso del canale Conte di Sarno, utilizzato da Comuni privi di reti fognarie: il canale non ha sbocco, di conseguenza la parte solida dei depositi stagna sul fondo. Le fonti di inquinamento agricole, invece, incidenti per il 35%, oltre al fenomeno dei pozzi già citato, dipendono dall’uso scriteriato di fertilizzanti, prodotti chimici e concimi. L’inquinamento industriale, infine, deriva dagli scarichi non trattati degli stabilimenti conciari, conservieri, cartari, tipografici, di lavorazione del marmo e della ceramica. Solo nel territorio del Comune di Solofra sono ubicate circa 200 aziende conciarie. I carichi inquinanti sono caratterizzati da solidi sospesi, cloruri, solfati e cromo. Nell’area persistono fenomeni di scarico abusivo e di sversamenti, in concomitanza delle piogge o nottetempo, compiuti da taluni per non pagare oneri. Per quanto difficile sgominare gli illeciti, il solofrano dispone di un depuratore consortile, che ha a sua volta delle carenze. «Bisognerebbe però commisurare, per ciascuna attività, le acque prelevate a quelle reimmesse, consentendo di determinare l’ammanco di acque ripulite. Così, inevitabilmente, si avrebbe contezza di quelle sversate sporche» (Luigi Lombardi).
La bonifica del bacino, iniziata con il progetto di risanamento dell’intero Golfo di Napoli, si trascina da oltre trent’anni. Il senatore Roberto Manzione, nella relazione conclusiva della Commissione parlamentare di inchiesta trasmessa nel 2006, dichiara che lo sperpero di risorse pubbliche ammonta a circa 800 milioni di euro. La domanda è: quali sono i riferimenti istituzionali responsabili non dei controlli e dei provvedimenti contro abusi e illeciti, della bonifica e del completamento delle reti fognarie?
Il bacino del Sarno è oggetto di una organizzazione amministrativa frammentata che ostacola la pianificazione unitaria. Basti pensare che non c’è una conta precisa dei comuni coinvolti: alcuni ne considerano 42, altri 39. Abbiamo poi tre Province, Napoli, Salerno, Avellino, tre ambiti territoriali per la gestione del ciclo integrato delle acque, quattro ATO per la gestione dei rifiuti solidi urbani, sei Comunità Montane. Il Consorzio di bonifica ha competenza per la manutenzione dei canali affluenti, ma non per quella degli argini del fiume. Il parco regionale opera in assolute ristrettezze finanziarie e non può intervenire sui carichi inquinanti che, pur giungendo nel suo perimetro geografico, sono originati fuori dal confine.
La difficoltà di coordinare le azioni si può evincere, a mo’ di esempio, dalla vicenda del canale Bottaro. Costruito nel ‘600 per portare acqua ai mulini, ormai non accoglieva altro che detriti, sterpaglie e gli scarichi dei fabbricati civili adiacenti. Recentemente, la Regione ha disposto e attuato il dragaggio dei fanghi accumulati: «Abbiamo chiesto: “Che fine avrebbero fatto gli scarichi continuano a insistere sul canale?” Ci hanno risposto: “Gli scarichi sono di competenza comunale”. Dov’è il raccordo istituzionale? Qual è, allora, il principio ispiratore degli interventi? Spendere soldi? O rimuovere le condizioni che generano il problema? L’emergenza igienico-sanitaria è stata risolta dietro sollecitazione dei cittadini e di qualche associazione, che hanno ottenuto una variante in corso d’opera. I reflui non sono scaricati direttamente nel fiume, bensì convogliati nella fognatura che, tuttavia, in assenza di collegamento al depuratore, sfocia nel fiume poco più avanti». La Gori di ciò non è perseguibile perché non è sua responsabilità se i collettori sono in via di completamento, guadagna sugli oneri di fognatura e un domani guadagnerà sugli oneri di depurazione: è il braccio operativo, privato, attraverso cui lavora l’Ente Idrico Campano, EIC, che ha sostituito gli enti d’ambito e gestisce l’intero ciclo delle acque: «Il nostro acquedotto è dato in gestione alla Gori che disperde almeno il 50% delle acque che prende. Ciò significa che per ogni litro d’acqua portato ai nostri rubinetti, devo prelevarne due» (Rete a difesa del Sarno).
Abbiamo illustrato quanto le diffuse e reiterate alterazioni del sistema naturale del fiume abbiano contribuito a trascinare il bacino nel degrado: «Al netto di opere infrastrutturali da completare e bonifiche da realizzare, allora, è doveroso chiedersi quale visione politica e strategica ispiri il progetto di realizzare artificialmente altre tre foci in meno di 1000 metri. Una di queste tra l’altro verrebbe a trovarsi nella proprietà della Novartis, una multinazionale chimico-farmaceutica di Torre Annunziata. Ci chiediamo anche come sia possibile che un’industria conserviera, La Regina di San Marzano, di dimensioni già considerevoli, abbia chiesto e ottenuto un vastissimo ampliamento senza che il Comune, responsabile dei controlli, si sia accorto che essa è responsabile di sversamenti illegali. La notizia è venuta alla ribalta della cronaca grazie alle indagini svolte dalla guardia di finanza» (Savio Cataldo).
Il “Grande Progetto Sarno” fu avviato dalla legislatura regionale governata da Stefano Caldoro, con fondi europei e uno stanziamento iniziale di 217 milioni di euro. Nel 2013 la giunta approvò il Progetto preliminare, senza coinvolgere enti e cittadini. Da allora, il Grande Progetto Sarno è stato ora rilanciato ora rimesso in stallo: «Sono state ipotizzate delle revisioni. Di fatto il Progetto prevede solo opere di ingegneria e la triplicazione della foce: senza un piano di bonifica e di disinquinamento ciò equivale solo a triplicare la cloaca. Senza la bonifica, la ri-vegetazione degli argini e una sistematica opera di contrasto agli abusi ambientali, qualunque intervento è destinato ad avere effetti temporanei» (Olimpia De Simone). Effetti che non avrebbero la forza di restituire alla costa campana la bellezza del mare. È da più di cinquant’anni che non si può fare il bagno a Castellammare di Stabia: il bellissimo scoglio di Rovigliano, per leggenda gettato in mare da Ercole, continua, giorno dopo giorno, a contemplare dal largo uno scenario malinconico.
«I comitati svolgono un’attività puntale da un punto di vista dell’accesso alle informazioni sullo stato dei fatti e provocano le amministrazioni a rispondere circa fattori critici di loro competenza e lasciate irrisolte. L’EIC è suddiviso in distretti, ogni distretto ha un consiglio nel quale siedono una parte dei sindaci eletti, i sindaci hanno dunque la possibilità di far sentire la loro voce nelle scelte dell’Ente, pertanto la partecipazione dei cittadini si esprime spesso proprio nella relazione e nella pressione sui sindaci. I comuni diventano un interlocutore imprescindibile anche perché con una legge regionale di Caldoro mentre la competenza degli scarichi in fognatura rimane degli Enti d’Ambito, per gli scarichi nei corpi idrici superficiali, passa ai comuni» (Luigi Lombardi).
Affidandosi a diversi studi di settore, tra cui quello condotto da Francesco Domenico Moccia e Rocco La Fratta della Facoltà di Architettura di Napoli, le associazioni e i movimenti, oltre al completamento degli scarichi fognari, chiedono depuratori e collettori, l’istituzione di un numero verde per le segnalazioni anonime, un tavolo tecnico permanente sull’inquinamento del fiume Sarno.
«Il Grande Progetto Sarno si preoccupa del rischio di esondazioni, ad esempio ricorrendo a vasche di laminazione. Si tratta di provvedimenti insufficienti, poco lungimiranti. Servono invece tecniche di ingegneria naturalistica, utili a raccogliere e non sprecare le acque piovane, fasce tampone boscate, aree umide con fitodepurazione, altrimenti il carico inquinante non sarà mitigato in maniera significativa e non si incrementerà la biodiversità, così tragicamente impoverita nel corso degli ultimi decenni. I provvedimenti, cioè, non possono rispondere a singoli problemi scollati dall’insieme: devono riferirsi e strutturarsi in maniera coerente all’intero ciclo delle acque. Grazie all’azione simultanea e spesso coordinata di svariati soggetti impegnati per la tutela del bacino del Sarno, le osservazioni sulla Valutazione di Impatto Ambientale sono state rilanciate nella discussione, tuttavia il Grande Progetto Sarno continua a prevedere opere che impattano sull’ambiente: solo la Regione ha la competenza per intervenire con le opportune modifiche, ma il ciclo delle acque come bene pubblico è il tema di cui dobbiamo riappropriarci» (Claudio Pagano).
da MICROMEGA