La fiction-docufilm di Netflix su Muccioli e San Patrignano ha riportato alla ribalta un delitto rimasto con interrogativi tremendi, quello di Roberto Maranzano: fu condannato a 8 anni Alfio Russo mentre Muccioli se la cavò con un 1 anno e 4 mesi per favoreggiamento.
Così l’inviato del Corriere della Sera raccontò il rinvio a giudizio di Muccioli per omicidio colposo, in relazione alla morte di Roberto Maranzano avvenuta nel 1989 all’interno della Comunità.
Rinvio a giudizio di Vincenzo Muccioli per omicidio colposo. Otto anni, due dei quali condonati, ad Alfio Russo l’ esecutore materiale del delitto, riconosciuto colpevole di omicidio preterintenzionale (da ieri sera agli arresti domiciliari a casa del suo difensore); assolti perche’ hanno agito in stato di necessità conseguente a minacce Giuseppe Lupo ed Ezio Persico; pure assolti con la stessa formula Franco Grizzardi, Fabio Mazzetto, Mariano Grulli, Stefano Grillo, che erano accusati di lesioni gravi. Non luogo a procedere infine per Alessandro Fiorini che non aveva chiesto il rito abbreviato. È questa la sentenza emessa ieri sera alle 21.38 dal Gip di Rimini Vincenzo Andreucci sull’ omicidio di Roberto Maranzano, ucciso a calci e pugni nella porcilaia di San Patrignano il 9 maggio del 1989. Vincenzo Muccioli, che sarà processato il 16 maggio, è stato rinviato a giudizio per avere «dato in carico ad Alfio Russo la responsabilità di gestione di un reparto con sistemi di costrizione, violenze fisiche e morali», tanto più che lo stesso Russo era affetto da gravi turbe psichiche: era infatti già stato ricoverato in ospedale psichiatrico. La porcilaia di San Patrignano, ha ancora spiegato il giudice, era un reparto cui venivano assegnate «le persone riottose, che con azioni coercitive e violente dovevano essere riportate alle regole della comunità». Vi «regnava» — ha ancora spiegato il magistrato — un’ ideologia collegabile alla sentenza della Cassazione del ‘ 90 al termine del processo sulle catene usate nella comunità. Il Gip ha deciso il non luogo a procedere nei confronti del patron di San Patrignano (per non aver commesso il fatto) per il concorso in occultamento di cadavere e l’ ha giudicato non punibile per aver aiutato Russo e gli altri due ad eludere le indagini sul delitto «essendovi stato costretto dalla necessita’ di salvare se stesso». Al termine dell’ udienza, quasi a voler spazzare il campo da possibili polemiche, Andreucci ha sentito il bisogno di dire: «Non c’ e’ mai stata alcuna intenzione di criminalizzare, ma la sola e seria intenzione di accertare la verità».
Il giudice ha in pratica accolto quasi totalmente la tesi dell’ accusa che si basava sul racconto del «pentito» Luciano Lorandi la cui versione era stata messa in dubbio negli ultimi giorni da Franco Grizzardi e Giuseppe Lupo che lo indicavano come colui che aveva dato il colpo di grazia a Maranzano. E proprio Lorandi è stato il primo ad entrare ieri mattina nella stanza del giudice per una maratona di testimonianze che è proseguita per gran parte della giornata. Il giudice l’ ha invitato a raccontare tutto daccapo. Lorandi ha ricostruito tutte le fasi dell’ aggressione la mattina del 5 maggio: ha ribadito come a picchiare la vittima fossero stati Alfio Russo, Giuseppe Lupo ed altri, ma ha ritrattato quel che aveva dichiarato nel memoriale presentato il 28 gennaio ‘ 93 sul momento cruciale della morte di Maranzano. Nel documento si leggeva: «Alfio mi chiamo’ per dar loro una mano, visto che Roberto cadeva giu’ . Io lo sollevai per le ascelle, e sentii il corpo afflosciarsi. Roberto era morto». Ieri invece ha raccontato: «Alfio e Grizzardi mi chiamarono per aiutarli: ma non feci in tempo ad arrivare: Maranzano era gia’ morto». Alle domande del giudice, è stato ancora piu’ drastico: «Io Maranzano non l’ ho nemmeno toccato». All’ obiezione fatta l’ altro giorno da Giuseppe Lupo che lo aveva accusato di aver passato il braccio attorno al collo di Maranzano e di averlo strozzato, Lorandi ha risposto sprezzante: «Lupo, con queste parole, ha disegnato se stesso».
Poi sul banco dei testimoni sono saliti Franco Arlenghi e Alessandro Fiorini, entrambi componenti del gruppo che lavorava nella macelleria. Fiorini ha ribadito che fu Alfio Russo a finire Maranzano, poggiando un piede sulla sua gola. Quanto alle responsabilità di Muccioli, ha testimoniato il maresciallo Mario Inverso, che il 19 maggio 1989, due settimane dopo il delitto, sali’ a San Patrignano per fare un sopralluogo nella stanza di Maranzano, al fine di accertare se la coperta trovata sul cadavere di Maranzano, nella discarica di Terzigno, fosse simile a quella della stanza. Ha ribadito che fu accompagnato da Muccioli e da altri a vedere una stanza con 6 o 8 letti, e attraverso un corridoio vide che si aprivano altre stanze. «Ora sembra che emerga un tentativo di depistaggio», ha commentato piu’ tardi fuori dall’ aula. «Quel giorno Muccioli fu con me finché rimasi nella comunità». Ma i testimoni a difesa di Muccioli hanno proposto una versione diversa: Franco Diella e Michele Bortoluzzi hanno raccontato che il maresciallo e il carabiniere che l’ accompagnava andarono a visitare la macelleria, dove c’ era il dormitorio del gruppo, e quindi anche di Maranzano. Franco Grizzardi, il primo accusatore di Lorandi, aveva gia’ descritto addirittura i preparativi di smontaggio e rimontaggio dei letti per far vedere ai carabinieri la stanza di Maranzano. Nella macelleria, i carabinieri, secondo tutte e tre le deposizioni, sono entrati senza Muccioli, che li aveva lasciati prima. Laura Vivarello, l’ ex donna di Alfio Russo, che allora era nel reparto macelleria, ha dichiarato di aver condotto i carabinieri su per la scala a chiocciola nella stanza di Maranzano e compagni. Ognuno dei testi, insomma, ha raccontato una verità diversa da quella degli altri
«Non sono meravigliato. Questo rinvio a giudizio è la conseguenza di un teorema. Aspettavano da anni di poter mettere la ciliegina sulla torta. Per questo ho rifiutato gli interrogatori nell’ udienza preliminare. Andrò al dibattimento. E lì si discuterà serenamente su ogni aspetto della vicenda». Così Vincenzo Muccioli pochi minuti dopo la sentenza. Che cosa fara’ adesso? «Continuerò nell’ attività di recupero delle cellule malate della societa’ restituendole sane. La mia e’ una militanza per le fasce emarginate ed abbandonate da una classe sociale che rifiuta l’ autentico senso di solidarietà». Come hanno reagito i ragazzi? «Li avevo preparati a questa eventualità. È la seconda volta che il giudice Andreucci mi rinvia a giudizio ottenendo però la mia assoluzione. La verità è che il giudice a San Patrignano non e’ mai venuto. Ha ottenuto in aula le informazioni che voleva da persone che si sono contraddette di continuo per coprirsi l’ una con l’ altra. Rinviarmi di nuovo a giudizio e’ la cosa che aspettava da tempo». Si sente vittima d’ una congiura? «Non di una congiura. Ma è evidente che di qualcosa mi si deve pur processare, perché possa continuare la campagna denigratoria, persecutoria, intimidatoria. Il motivo è che noi diamo troppo fastidio alla cultura della resa di fronte alla droga, alla cultura della solidarietà intesa solo come assistenza ai tossicodipendenti irrecuperabili da curare non con il ritorno alla normalità, ma con le droghe sostitutive. Posso assicurare che a questa cultura daremo ancora fastidio».