Due ex conventi, che servivano per l’addestramento degli allievi ufficiali, diventarono la dimora forzata per oltre 300 ebrei stranieri, provenienti in prevalenza dall’est Europa. Gli internati cominciarono ad arrivare a San Bartolomeo e all’Immacolata Concezione il 16 giugno del 1940: alcuni abitanti ricordano che venivano condotti lì stipati sui camion, legati l’uno all’altro con un’unica enorme catena. Su di loro vigilavano in 26, tra carabinieri e poliziotti.
La storia di Campagna potrebbe essere quella di un qualsiasi altro luogo in cui si consumò la vergogna dei campi di internamento fascisti. Non è così. Qui la logica dell’intolleranza si capovolse, e tra la popolazione locale e i prigionieri, fin dai primi giorni, si creò un rapporto di continua collaborazione e aiuto reciproco. Molti medici ebrei curarono i malati, mentre le autorità fasciste chiudevano un occhio. La popolazione non si dimostrò mai ostile e cominciò a ricambiare quell’aiuto attraverso piccoli gesti di riconoscenza.
E’ a Campagna che lavorò il vescovo Giovanni Maria Palatucci, zio del questore di Fiume Giovanni Palatucci, conosciuto come l'”Oscar Schindler irpino” per aver salvato oltre 5000 ebrei istriani dai lager nazisti. Con il suo impegno monsignor Palatucci riuscì ad alleviare la prigionia degli internati. Nel campo venne allestita una biblioteca e una sinagoga, nella quale si recavano anche il vescovo e il podestà. Gli ebrei familiarizzarono anche con i loro carcerieri, memorabili le sfide di calcio raccontate ancora oggi dai vecchi. Inoltre si consentì di stampare un breve bollettino ciclostilato del campo, in lingua tedesca, e di costituire una piccola orchestra. Uno dei prigionieri fu addirittura invitato da Palatucci a suonare l’organo in chiesa la domenica.Così quando arrivò l’8 settembre sembrò naturale per gli abitanti di Campagna aiutare gli ebrei a fuggire sui monti, per salvarli dalla furia nazista.