Quanti sanno che le statue antiche erano colorate? Che il bianco fulgido a cui siamo abituati nell’ammirare i corpi in marmo in cui prendevano forma divinità o personaggi è il risultato del deterioramento del pigmento colorato causato dal tempo, dall’aria, dall’ambiente? Dal 2018 con il progetto Mann in Colours il Museo archeologico Nazionale di Napoli lavora alla riscoperta del colore non sempre evidente sulle statue. Un progetto che mette in evidenza la vocazione del museo campano di non essere solo spazio per preservare ed esporre opere ma anche spazio di ricerca e di indagine.
Mann in Colours, con Cristiana Barandoni, ideatrice e responsabile scientifico, e con Andrea Rossi, responsabile delle indagini diagnostiche del programma, è stato il primo passo e non ha tardato a portare alcuni risultati interessanti nello studio di una ventina di statue per lo più della collezione Farnese. Ma il punto è diventato poi anche un altro: come preservare dal completo deperimento queste tracce di colore non sempre visibili a occhi nudo ? Per questo oggi si aggiunge un nuovo tassello: si tratta di un altro progetto “ECOValors” (Ecosustainaible project for Conservation and Valorization of color traces on Marble sculptures), nato grazie alla collaborazione del MANN con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. L’obiettivo in questo caso è studiare per consentire la protezione e conservazione delle tracce di colore antiche con indagini chimiche dei pigmenti in matrici policrome composite, analisi sul loro stato di conservazione, sulle tecniche di stesura dei colori, sulle materie prime utilizzate di cui si vuole conoscere anche la provenienza geografica. Un progetto pilota che vuole arrivare a definire una sorta di vademecum su come devono comportarsi restauratori, conservatori, archeologici che si trovino difronte a statue antiche colorate. E riuscire a preservare il colore anche semplicemente nello spostarle. Un Vademecum che possa essere usato da tutti i musei che hanno al loro interno statue colorature antiche.
” Con contributi multidisciplinari – sottolinea Cristiana Barandoni – il MANN sarà il primo museo che tenta di creare un protocollo di lavoro di indagine sul colore delle sculture, che poi dovrà essere approvato dal Ministero. Il problema della policromia è che queste tracce di colore spesso sono talmente fragili e impercettibili che nel momento del restauro possono essere cancellate definitivamente. Creare un protocollo significa creare un metodo di azione, una sorta di best practic su come gli archeologi durante lo scavo, i restauratori, conservatori anche durante lo spostamento di opere per le mostre, si debbano comportare“.
Il progetto è ambizioso e le premesse ci sono tutte. Con l’obiettivo, poi, dichiarato dal direttore Paolo Giulierini di creare, per il 2023 anche un’esposizione che restituisca anche al pubblico il racconto di queste opere. Così si immaginano ricostruzioni in virtuale o, nel caso della Venere in bichini, proprio una copia che verrà realizzata con aggiunta di colori riscontrati.
Intanto l’indagine, basata sulla collaborazione di competeze diverse, di ECOValors, prevede la possibilità di creare una sorta di laboratorio proprio nel MANN che monitori l’ambiente, il microclima nell’ambiente museale dove le opere scultoree sono conservate. Con il campionamento di agenti gassosi, polveri sottili ed agenti biodeteriogeni: questi due step di ricerca saranno effettuati in collaborazione con il prof. Ivo Allegrini (Envint srl) ed il Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale dell’Università degli Studi di Perugia. Poi l’analisi e lo studio delle velocità di deposizione di agenti chimici inquinanti (ambienti museali indoor), responsabili dei processi di danneggiamento delle superfici di interesse archeologico. La sperimentazione e validazione delle policromie da conservare a lungo termine, mediante Nanomateriali eco-sostenibili (materiali con dimensioni inferiori a 100 nanometri e che presentano proprietà diverse da oggetti macroscopici), usati grazie ai principi di Green Chemistry, prodotti dunque attraverso una sintesi di chimica verde, di sintesi amica dell’ambiente. Un processo coerente con le scelte green abbracciate dal MANN.
“Lo studio della policromia antica, in particolare sulla statuaria, è un viaggio meraviglioso che abbiamo intrapreso da tre anni con -MANN in Colours- , ancora più coinvolgente perché ci consente di condividere ogni scoperta con i nostri visitatori. Ma se, dal passato, affiorano più colori di quanti potevamo immaginarci, il futuro non potrà prescindere dal ‘verde’. Ed è molto significativo che il progetto satellite ECOValors con l’Università Tor Vergata, utilizzi per la sua ricerca quella che oggi viene definita Green Chemistry. Lavorare su conservazione e sostenibilità, indagare temi come qualità dell’aria e agenti inquinanti in relazione al nostro patrimonio, è una sfida più che mai attuale e necessaria“, commenta il Direttore del Museo, Paolo Giulierini.
MANN in COLOURS, storie di colori antichi.
Lanciando il nuovo progetto ECOValors sono stati condivisi alcuni dati interessanti dell’indagine sui colori. Si è parlato di tre opere significative.
Venere Marina, scultura collocata nei depositi, rinvenuta nell’atrio della casa IX di Pompei e appartenente alla collezione Farnese. Presenta tracce di colore rosso e azzurro sul mantello. A occhio nudo si intravedono colori ma sulla statua, iradiata con luce ultravioletta, è emersa una fluorescenza rosa segno inequivocabile dell’antico utilizzo di lacca di Robbia. Poi con la VIL (luminescenza visibile indotta) si è potuto riscontrare la presenza di numerose tracce di blu egizio. Queste indagini hanno permesso di recuperare il bel disegno della veste.
La nota Venere in bichini, statua proveniente da una casa di Pompei, quella di Maximus che viene rinominata appunto Casa della venere in Bikini, in suo omaggio. La statua, ritrovata custodita all’interno di un armadio posizionato nel tablino rappresenta Venere coperta da un bichini in oro appoggiata ad un amorino, che, con fare sinuoso, si slaccia un sandalo. La cosa straordinaria è che sul tronco della dea sono stati trovati numerosi pigmenti verdi, si è capito che la decorazione era piuttosto imporante con una veste decorata con lacca di garanza e blu egizio, rispondente all’iconografia della dea. Poi al microscopio ottico si sono viste tracce d’oro non solo sul bichini ma anche sul mantello, sottolineando quanto la decorazione doveva essere preziosa. E’ anche emerso, e questa è stata una rivelazione, che la ‘pelle’ della Venere e anche dell’Erote era coperta da biacca, bianco di piombo, che creava sul raffinato marmo pario uno strato omogeneo su cui in secondo momento si sarebbero applicati i colori.
Anche la Figura Dionisiaca della Collezione Farnese ha dato risultati sorprendenti perché un uso molto esteso dell’uso di blu egizio, terra rossa miscelata con ocra gialla. E sulla veste sono state recuperate molte tracce di oro.
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