Un anno fa, scattò l’allarme vero in Italia per quello che per tutti è diventato il paziente 1, il signore lombardo della partita di calcetto con gli amici. Un anno tremendo per tanti, anzi per tutti, fatto di ferite e di lutti, di ansie e di stenti, di fobie ma anche di voglia d’apprezzare i valori veri, di prendersi la vita a morsi senza cadere in rimorsi. Un anno di Covid non è bastato a superarlo, ad uscire fuori dal tunnel lungo il mondo intero, anzi siamo ancora alle prese con ostacoli difficili da affrontare: le varianti del virus, la vaccinazione che va a rilento pur avendo trovato il vaccino in tempo di record, il balletto sulle scuole, il valzer tra ordinanze nazionali e locali, i prefetti e i tar, i virologi che affermano tutto e il contrario di tutti, i negazionisti e gli scettici, la gioventù bruciacchiata, gli anziani sacrificati in tutti i sensi, gli ospedali in perenne stato d’allarme e con le vite perse da medici e infermieri, l’economia fracassata nel presente e con il rischio di rimanere monca nel futuro, i governi che si alternano e i piani che restano non troppo chiari per ottenere il via libera dall’Europa. Nulla sarà più come prima, anche quando torneremo ad una parvenza di normalità che al momento appare ancora lontana. Un mondo nuovo c’aspetta, diverso, speriamo migliore. Intanto, a tutti i livelli, c’è da restare in trincea, lo dobbiamo a noi stessi e a chi non c’è più. Un anno di pandemia è stato simile ad un anno di guerra subdola, senza un nemico visibile. La guerra non è finita, è sempre tempo di resistenza, anche se si ipotizza già la ricostruzione. (m.m.)
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