Sul caso indagano carabinieri e polizia su delega della Procura Antimafia di Salerno, ma non è escluso che il fascicolo possa passare alla Dda di Napoli nelle prossime ore. A testimoniare che l’agguato di ieri pomeriggio, ai danni del pentito 36enne di Poggiomarino, Carmine Amoruso, fosse mortale ci sono i fori dei proiettili visibili sulla Ford Puma sulla quale viaggiava con il fratello: almeno cinque tra il parabrezza e il cofano anteriore della vettura. Soltanto la fortuna, e la successiva corsa all’ospedale di Sarno, gli hanno salvato la vita. Amoruso, va ricordato, nel 2009 scampò alla morte perché i suoi killer freddarono l’innocente Nicola Nappo, colpevole solo di assomigliargli. Al posto di Amoruso, morì lo sfortunato fabbro che pagò con la vita la sua somiglianza al camorrista. Nell’agguato resto’ ferita di striscio da un proiettile di rimbalzo anche una ragazza frequentata in passato da Amoruso. I killer volevano uccidere Amoruso per vendicare l’affronto che il giovane ha compiuto nei confronti di uno dei rampolli della famiglia Sorrentino, i cosiddetti “campagnoli” di Scafati. Il 21 giugno del 2009, pochi giorni prima dell’agguato mortale, Amoruso si presentò a Scafati con alcuni suoi amici davanti alla chiesa di Sant’Antonio Vecchio, lo fece per ritorsione contro i “campagnoli” che avevano malmenato un pusher passato tra le sue schiere. Ne nacque una rissa brutale, durante la quale Amoruso colpì alla testa con un cric a fisarmonica il figlio di un ergastolano dei “campagnoli”. L’affronto, secondo l’ottica della camorra, fu gravissimo e il clan di Scafati decise di presentare un conto di sangue. Il 9 luglio due killer piombarono a Poggiomarino, ma sbagliano obiettivo e uccisero Nappo, incuranti della gente che riempiva la strada nel centro della cittadina.
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