Dieci anni di episcopato, discorso alla città che ritorna dopo un anno di stop causa covid, città intesa come unione dei 13 comuni che compongono la diocesi (le due Nocera, Sarno, Roccapiemonte, Pagani, Sant’Egidio, San Marzano, San Valentino, Corbara, Angri, Scafati, Poggiomarino, Striano). Il vescovo Giuseppe Giudice si “traveste” da Biffi.
Il riferimento a Collodi e Pinocchio, passa proprio per il cardinale Giacomo Biffi che diceva: «Quella di Pinocchio è la sintesi dell’avventura umana. Comincia con un artigiano che costruisce un burattino di legno chiamandolo subito, sorprendentemente, figlio. E finisce con il burattino che figlio lo diventa per davvero. Tra i due estremi c’è la storia del libro. Che è identica, nella struttura, alla storia sacra: c’è una fuga dal padre, c’è un tormentato e accidentato ritorno al padre, c’è un destino ultimo che è partecipazione alla vita del padre. Il tutto grazie a una salvezza data per superare la distanza incolmabile, con le sole forze del burattino, tra il punto di partenza e l’arrivo. Pinocchio è una fiaba. Ma racconta la vera storia dell’uomo, che è la storia cristiana della salvezza. La struttura oggettiva del racconto è sotto gli occhi di tutti ed è perfettamente conforme alla vicenda salvifica proposta dal cristianesimo. Giudicare di questa conformità spetta ai maestri di fede (ed è l’arte mia); certo non ai critici letterari, o agli storici sociali e politici, o agli storici delle idee. Pinocchio Bibbia mazziniana? Questo era quanto sosteneva Giovanni Spadolini. Quando il mio libro uscì in prima edizione, nel 1977, il mondo laico lo ignorò. Perché avevo attentato al dogma che definiva atei i due classici per l’infanzia usciti dal Risorgimento: Pinocchio e “Cuore” di Edmondo De Amicis. “Cuore” è vero, è un libro irredimibile. Ma Pinocchio è tutto l’opposto. E gli studiosi sono oggi sempre più concordi nell’avvalorare la svolta nella vita di Collodi, la sua perdita di fiducia in Mazzini e nelle ideologie risorgimentali. Fu dopo questa crisi che egli si dedicò a scrivere per i ragazzi. E fu così che riscoprì l’anima profonda dell’Italia, i ragazzi del 1881, l’anno in cui Collodi scrive Pinocchio, non sono né sabaudi né repubblicani, né clericali né anticlericali. Sono i ragazzi del catechismo, delle prediche del parroco, delle preghiere delle mamme, dei dipinti delle chiese. Non conoscono le ideologie, conoscono la verità cattolica. Collodi vuole entrare in comunione di spirito con questi ragazzi. Pinocchio è la verità cattolica che erompe travestita da fiaba. E così riesce a superare le censure della dittatura culturale dell’epoca».
A parte Pinocchio, che cosa le dicono gli altri personaggi, ad esempio la Fata Turchina? «È la salvezza donata dall’alto: e quindi Cristo, la Chiesa, la Madonna». E Lucignolo? «È la perdizione. Il destino umano non è immancabilmente a lieto fine come nei film americani di una volta. È a doppio esito. L’inferno c’è, anche se oggi lo si predica poco». E il diavolo dov’è? «Il Gatto e la Volpe fanno la loro parte. Ma più di tutti l’Omino. Mellifluo, burroso, insonne. Inventarlo così è stato un lampo di genio». Insomma, Pinocchio è un magnifico catechismo per bambini e per adulti?
«Una prima illuminazione l’ebbi in terza liceo dalla lettura di un saggio di Piero Bargellini: Pinocchio ovvero la parabola del figliol prodigo. Poi vennero gli studi di teologia. La mia tesi di dottorato su “Colpa e libertà nella condizione umana” fu tutta debitrice al libro di Collodi. Solo che dovetti scriverla in linguaggio accademico, col risultato che fu apprezzata da tutti e letta da nessuno. Infine vennero i cupi anni Settanta. Quegli anni di violenza mi fecero riflettere sui fili invisibili che tengono l’uomo legato e manovrato, come nel teatrino di Mangiafoco. Le rivolte contro un dittatore aprono la strada a un altro. Se Pinocchio non resta prigioniero del teatrino è perché a differenza dei suoi fratelli di legno riconosce e proclama di avere un padre. È questo il segreto della vera libertà, che nessun tiranno può portar via».
LA LETTERA DI GIUDICE
Il saluto, partendo dal cuore della Diocesi che è la Chiesa Cattedrale, vuole raggiungere tutti: le famiglie, le comunità parrocchiali e religiose, i luoghi delle istituzioni, e si fa condivisione del dono della preghiera con i tanti Oranti e le Oranti che offrono la loro vita come sacrificium laudis.
La Chiesa, avendo ricevuto un mandato dal suo Fondatore di cui dovrà rendere conto, non si stanca mai di percorrere le strade della storia per raggiungere il cuore di ogni uomo e di ogni donna. Ella sa di possedere un Messaggio di VIA, VERITÀ, VITA e per questo, nonostante gli impedimenti non si scoraggia e, come un pellegrino, sempre riprende la strada per recapitare la lettera che le è stata affidata:
«Noi siamo come il messaggero che, dopo lungo cammino, arriva a recapitare la lettera che gli è stata affidata; così Noi avvertiamo la fortuna di questo, sia pur breve, momento, in cui si adempie un voto, che Noi portiamo nel cuore da quasi venti secoli. Sì, voi ricordate: è da molto tempo che siamo in cammino, e portiamo con Noi una lunga storia; Noi celebriamo qui l’epilogo d’un faticoso pellegrinaggio in cerca d’un colloquio con il mondo intero, da quando Ci è stato comandato: “Andate e portate la buona novella a tutte le genti”.
Ora siete voi, che rappresentate tutte le genti. Noi abbiamo per voi tutti un messaggio, sì, un messaggio felice, da consegnare a ciascuno di voi» (San Paolo VI, Discorso all’ONU, 4 ottobre 1965).
Pur camminando verso quella Città, non costruita dalle mani dell’uomo, Ella è cosciente di vivere tra le città degli uomini quale luce, lievito e sale. Ella, la Chiesa, Maestra di verità, non ha altro dono da offrire se non il Vangelo della gioia a tutti, e in tutte le stagioni; Parola che si fa Pane ed accoglienza del Povero.
Ella, la Chiesa, sa di avere un altro metro di giudizio rispetto al mondo; sa che i suoi valori non sempre sono condivisi, ammirati ma anche derisi, e con simpatia e rispetto affianca ogni uomo e ogni donna nel loro quotidiano andare. Ella indica ad ognuno la meta, anche quando non è accolta.
Cosciente della preziosità ed insostituibilità del suo messaggio, Ella desidera entrare in dialogo con il mondo, intercettando i tanti sentieri interrotti e calpestati, per indicare mete più alte e sempre più affascinanti.
Ella, nonostante il fango, sa di essere fatta di cielo.
Cominciamo ad uscire, e per certi versi vi siamo ancora immersi, in un tempo in cui abbiamo sperimentato in modo stringente la nostra fragilità, la nostra caducità, leggendola forse solo come un limite e non come una condizione ed una opportunità.
Forse ci può fare bene, nel 140° anno della Pubblicazione (1881-2021), rileggere le Avventure di Pinocchio, masticando dentro questa domanda singolare: Fragili o Burattini?
Possiamo essere aiutati da tante belle e significative traduzioni cinematografiche, e da un riuscito tentativo del Cardinale Giacomo Biffi, già Arcivescovo di Bologna, di venerata memoria, di rilettura in chiave teologica dell’opera del Collodi.
Con un pizzico di fantasia che mai dovrebbe mancare, potremmo utilizzare l’opera di Carlo Lorenzini, per preparare itinerari catechistici per i nostri ragazzi e sussidi per i futuri campi scuola o grest.
Idealmente, vorrei donare il testo non solo ai bambini, ma agli adulti, a tutti: alle famiglie, al mondo della scuola, al mondo sociale e della politica, al mondo dello sport e del tempo libero, alle nostre comunità cristiane, ai circensi, per scoprire nella favola indicazioni e suggerimenti preziosi per governare la nostra vita e quella delle nostre città.
Mentre affido ad ognuno la lettura o rilettura delle Avventure del burattino, vorrei semplicemente indicare delle piste di riflessioni che traggo dall’originale favola di Pinocchio.
- Pinocchio, creatura legnosa, ha origine dalle mani di chi è diverso da lui; è creatura nelle mani del Creatore. È costruito come una cosa, ma dal suo creatore è chiamato subito figlio. L’amore supera e dà vita ad ogni cosa. Il burattino, appena formato, dopo aver canzonato Geppetto, fugge dal padre; ed è in questa fuga, illusione di libertà, la fonte di tutte le sue sventure; così come il ritorno al padre è l’ideale che sorregge Pinocchio in tutti i suoi guai. Tornare al padre – in una cultura che ha fatto del tutto per distruggere la paternità – è la ragione della raggiunta felicità, e della scoperta della bottega del falegname quale luogo educativo primigenio.
Non poche volte si lascia il filo indistruttibile dell’amore paterno e familiare per essere mossi, manovrati e guidati da altri fili molto fragili e inconsistenti.
- Molto presente nel libro è il senso del male, in primo luogo scoperto dentro il nostro cuore:Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo (Mc 7,21-23).
Pinocchio sa cosa è il suo bene, ma sceglie sempre l’alternativa peggiore: a scuola o al teatro dei burattini? A casa o al campo dei miracoli col Gatto e la Volpe? A scuola o alla spiaggia a vedere il pescecane? Dalla Fata o al paese dei balocchi?
L’uomo, testa di legno, è ferito; e se non segue il bene, si lascia muovere da fili invisibili: io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio (Rm 7,19).
E, con un colpo di martello, lascia il Grillo parlante appiccicato al muro.
Così si zittisce la coscienza, quando sembra di darci fastidio e indicarci altre vie.
- Pinocchio si rende conto, nella sua libertà senza fili d’amore, che il male abita anche fuori di noi, e si presenta attraverso essere astuti e intelligenti. Nella fiaba queste forze malefiche sono rappresentate vivacemente nelle figure del Gatto e della Volpe, e raggiungono il vertice dell’intensità artistica nell’Omino, corruttore mellifluo, tenero in apparenza, perfido nella realtà; spaventosa e stupenda raffigurazione del nostro insonne Nemico: “tutti la notte dormono, e io non dormo mai” (Cap XXXI).
Quanta attenzione, quanto discernimento ci serve, per salvare la nostra vita dai tanti truffatori che incontriamo sulla strada, personaggi di ieri e di oggi.
E che lezione dalla favola per questo tempo quando, come Pinocchio, si teme più la medicina che il male?
- L’uomo, creato da un Altro, non è un assoluto e non si può salvare da solo; non esiste per i fragili autosalvezza. Entra così in gioco il gioco della nostra libertà.
“Non ti può salvare senza di te, chi ti ha creato senza di te” – dirà Sant’Agostino.
Tutta la seconda parte del libro (dal capitolo XVI) cerca di smontare la tesi illuministica dell’autosalvezza.
Pinocchio, interiormente debole e ferito, esteriormente insediato, non può assolutamente raggiungere la salvezza, cioè non può tornare tra le braccia del padre.
Deve intervenire un aiuto superiore, che alla fine riesce a compiere il prodigio di riconciliarlo con il padre, di riportarlo a casa, di farlo convertire in bambino di carne.
Lo straordinario personaggio della Fata dai capelli turchini è icona di quella salvezza che è donata dall’alto e, se accolta, può guidare a lieto fine la tragedia della creatura ribelle.
- Singolare è la scelta del protagonista dell’opera: un burattino legnoso, condizionato da tutte le parti e mosso da fili invisibili che imprigionano la sua libertà. Il burattinaio di turno può essere soppresso dall’una o dall’altra rivoluzione, ma se la creatura rimane un burattino, la storia non cambia e i burattinai fanno progresso.
Solo la nostalgia del padre, rispetto agli altri burattini, permette a Pinocchio di liberarsi dalla prigione di Mangiafuoco.
- Pinocchio, attraverso diverse vicissitudini, da legno deve diventare carne, da cosa deve diventare persona.
Ci vuole un di più nell’uomo per andare oltre l’uomo. Ci vuole un Oltre ed un Altro per dare senso alla favola di ogni uomo.
- L’uomo – e lo dice con maestria il Collodi – può raggiungere la bassezza della bestia o l’altezza delle cose di Dio. Pinocchio rischia più di una volta di diventare bestia, di imbestialirsi, di essere un asino o un cane, ma viene salvato dal filo indistruttibile dell’amore paterno.
Sono tanti gli insegnamenti, attualissimi, che possiamo dedurre dalla favola di Pinocchio; ed ognuno, approfondendo in silenzio, può trovare solidi spunti per la sua vita e per la sua vocazione.
È bello poter giungere alla conclusione che, anche se di natura legnosa, popolo di dura cervice, teste di legno, siamo figli, amati e cercati sempre, soprattutto nella notte e nelle tempeste.
Nel buio della notte – e Pinocchio vive diverse notti – nelle difficoltà e peripezie della vita, c’è una coscienza (il Grillo parlante) che, se ben formata ed ascoltata, può aiutarci a camminare verso l’aurora.
E c’è un Padre, un Amore, che sempre ci attende sull’uscio di casa, pur rispettando le nostre cadute e i nostri ritardi.
Siamo fragili, sì, ma non burattini, mossi sempre da fili di altri, che giocano e si divertano con la nostra vita.
Dobbiamo crescere nella libertà, nella formazione vera coniugata con la responsabilità, per non essere cittadini solo della Città dei Balocchi, o del paese dei Barbagianni, o Acchiappacitrulli.
Segnati dal male, possiamo affidarci alla grazia, al bene, a persone affidabili, a scuole e associazioni serie, per diventare di carne, veri uomini, persone e non individui, e non burattini bugiardi, pronti sempre a marinare la scuola della vita. Non ci servono burattinai di turno, che si servono di noi per riempire il loro tempo e guadagnare, ma abbiamo bisogno di ritrovare la strada di casa e il padre.
Ci può aiutare la straordinaria figura di San Giuseppe, in questo Anno a lui dedicato, così come con maestria la delinea papa Francesco nella lettera Patris Corde:
Un padre amato, un padre nella tenerezza, un padre nell’obbedienza, un padre nell’accoglienza, un padre lavoratore, un padre nell’ombra… per vivere la nostra favola – favola di uomini e donne – non in balìa di forze oscure, ma nella libertà e responsabilità di figli.
L’umanità, confusa e disorientata, contagiata da tanti virus, ha bisogno di ritrovare il padre che ripete: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo (Lc 15,31).
Si avvera, con una sana pedagogia, la parola profetica del Maestro: In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli (Mt 18,3).
È un cammino: diventare e non ritornare; progredire e non regredire; è un andare avanti e non un tornare indietro, perché: chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli (Mt 18,4).
Allora, fatti piccoli, frugoli, umili, fanciulli ma non infantili, possiamo con nuovo stupore rileggere la Lettera a Pinocchio:
Ho tanto desiderio questa sera
Di scrivere una lettera a qualcuno
E tra gli amici della primavera
Al mio più caro amico scriverò
Carissimo Pinocchio
Amico dei giorni più lieti
Di tutti i miei segreti
Che confidavo a te
Carissimo Pinocchio,
Ricordi quand’ero bambino?
Nel bianco mio lettino
Ti sfogliai, ti parlai, ti sognai
Dove sei? Ti vorrei veder
Del tuo mondo vorrei saper
Forse Babbo Geppetto è con te
Dov’è il Gatto che t’ingannò
Il buon Grillo che ti parlò
E la Fata Turchina dov’è?
Carissimo Pinocchio
Amico dei sogni più lieti
Con tutti i miei segreti
Resti ancor nel mio cuor come allor
Resti ancor nel mio cuor come allor
Dove sei? Ti vorrei veder
Del tuo mondo vorrei saper
Forse Babbo Geppetto è con te
Dov’è il Gatto che t’ingannò
Il buon Grillo che ti parlò
E la Fata Turchina dov’è?
Carissimo Pinocchio,
Amico dei giorni più lieti
Con tutti i miei segreti
Resti ancor nel mio cuor come allor
(Mario Panzeri, Lettera a Pinocchio, 1959).
Vi Benedico
Nocera Inferiore, 30 aprile 2021
+ Giuseppe Giudice, Vescovo