
In occasione della celebrazione dei 700 anni di Dante appare assai suggestivo che in una landa assai lontana dai fasti fiorentini e non solo dell’esule letterario, sia possibile coniare un nuovo girone di quell’inferno tanto declamato nel mondo. Eppure è cosi, l’antica e nobile Ancharia riesce ad offrire un contributo rilevante ad una certa letteratura soprattutto se si devono classificare nuovi nomi a certi figuri. Che il sonno eterno sia una costante della polverosa intellinghetia paesana non ci sono dubbi, come della loro gaudente posizione inamovile da salotto da pochi anni internauta. Un balcone discreto che consente ai più di osservare senza esser visti e sentiti. Una tecnica affinata nel tempo che ha consentito di evitare distrazioni, coinvolgimenti di qualsiasi genere, mantenendo aplomb e status e senza “inimicarsi” nessuno, sopratutto se quel nessuno tiene qualche mano in pasta e può accontentarti in qualche piacere. E poi che fa che asfalti una strada oppure no, che giochi al monopoli per la gestione dei servizi pubblici, che aumenti tasse e balzelli o che in sostanza dica di rimanere immobili tanto è il sistema che non consente di fare diversamente. “I gaudenti del sonno eterno” sono in continua quiescenza, e solo in rarissimi casi, appaiono dall’alto del loro verrocchio per pontificare e benedire. Di solito avviene ogni cinque anni e in rari momenti di pausa. Capita sovente di vederli durante la messa della levataccia mattutina per la festa del Santo Protettore, ma in questi ultimi tempi la pandemia ha consentito di evitare la discesa infettiva.