Toglierle avrebbe avuto e deve avere un significato fortemente emblematico, la plastica raffigurazione della ripartenza, pur se con tante postille e raccomandazioni. Ma il permesso di non indossare la mascherina all’aperto, ferme restando le cautele, alla fine era arrivato tra il trionfalista tripudio delle forze politiche che volevano mettere il cappello sull’ottimismo e sulla riacquisizione delle libertà personali, contro quelle che invece spingono per la prudenza e tremano di fronte alle incombenti varianti esotiche del virus.
Capire che la paura non aiuta e non serve a nulla: facile, basta seguire e applicare queste poche parole, al di là dei bombardamenti in senso contrario che arrivano da ogni parte ma che noi stessi facciamo diventare paure, a volte per la semplice comodità di far parte di un gregge (senza nemmeno l’immunità del caso…).
Invece, è successo che tantissime persone, diremmo quasi la maggioranza, ha inalberato ugualmente il dispositivo di protezione individuale esecrabile ed esecrato, oggetto di perenne lamentela e tacciato di insopportabilità a tutte le latitudini. Per di più in un momento climatico che imporrebbe, per l’ondata anomala di caldo che ha investito il Paese, di liberarsi di ogni copertura per la ricerca del fresco.
Per i sociologi la materia è interessante: ma come, tutta questa guerra per liberarsi e la gente sceglie di mantenere il supplizio?
Forse abbiamo avuto troppa paura e per troppo tempo, per cui dopo un martellamento circa l’imminente sterminio della razza umana durato un anno e mezzo è difficile uscire per strada e sorridersi respirando a poca distanza. Forse la voce di chi annuncia lugubri presagi circa i pochi secondi di cui ha bisogno la variante indiana per accedere ai polmoni indifesi risuona ancora troppo alta, e le tribune tra Galli e Bassetti appassionano ancora più di Wimbledon e della maggioranza al Senato.
Forse la mancanza dei dati sull’effetto di questo o quel vaccino, in termini di durata e di protezione, con l’ondivaga informazione che ne deriva, lascia ben lontani dalla sensazione di sicurezza per la larga schiera dei monodose in attesa di richiamo, senza contare l’incertezza sull’incrocio tra le tipologie di siero somministrate e somministrande.
Stiamo esagerando coi forse. Si deve tornare alla vita, al lavoro, ai sorrisi, ai baci e agli abbracci. Riappropriarsi del proprio corpo e del proprio spazio, delle proprie relazioni sociali. Altrimenti diventeremo maschere, altro che mascherine, grottesche, costrette a recitare fintantoché il sipario lo permette. Non è meglio tornare a vivere ?