Nel giorno del condor, anzi del green pass, cerchiamo di andare e oltre le carte, le cartuscelle, le tessere e i permessi. Lo facciamo ragionando, non senza dissentire in altri spazi delle troppe restrizioni dietro l’angolo per una sorta di patente a punti che non obbliga ma che spinge all’obbligo della vaccinazione
Le armi nella lotta al Covid, sono sempre più affilate: anticorpi monoclonali e antivirali sono oggi la risposta terapeutica all’infezione. Ogni giorno la scienza fa un passo misurato per volta, ma deciso, verso un futuro che si auspica privo di qualsiasi traccia riconducibile alla pandemia.
È trascorso un anno e mezzo e la comunità scientifica ha fatto grandi passi avanti nella lotta al Covid.
Lo dimostrano i “cocktail” di anticorpi monoclonali, attualmente disponibili, ma già si parla di anticorpi di seconda generazione, più potenti, quindi più efficaci che pare siano in grado scavalcare le modificazioni strutturali del virus legate alle cosiddette “varianti”; sono allo studio e ci sono sperimentazioni policentriche internazionali a cui partecipiamo anche noi.
E poi ci sono i farmaci antivirali che essendo compresse e non farmaci somministrati mediante una infusione endovena come i monoclonali, possono permettersi un iter sperimentale un po’ più completo, tanto che le sperimentazioni di fase 3 potrebbero dare dei risultati leggibili già verso ottobre e potremmo disporre di queste nuove terapie prima del prossimo inverno.
Questo significherà, idealisticamente parlando, che in ogni famiglia ci sarà una scatolina di compresse disponibili che il soggetto a rischio, ai primi segni e sintomi, anche magari senza fare un tampone, potrà usare.
Questa potrebbe essere la strategia che cavalca tutte le lentezze che vincolano la somministrazione di queste nuove soluzioni terapeutiche.
Gli anticorpi monoclonali sono stati prodotti in laboratorio. Essi provengono dallo studio della risposta umana al Sars-COV-2. Queste nuove cure hanno un vincolo importante che è rappresentato dalla precocità di infusione. Prima vengono somministrati, almeno entro 5 giorni dai sintomi dell’infezione, e più efficacemente agiscono per ridurre l’accesso del virus nelle cellule dell’albero respiratorio e per ridurre lo sviluppo del virus stesso. Passati 7-8 giorni, purtroppo, questo intervento perde gran parte della sua efficacia perché il Covid-19 diventa una malattia soprattutto infiammatoria.
Si è visto negli studi disponibili alla lettura che il 50% di soggetti ad alto rischio di evolvere, trattati con anticorpi monoclonali e in tempi brevi non evolvono; questo ha valore sia per la vita umana sia per ridurre la pressione sugli ospedali.
Il grosso problema nella fase iniziale della lotta al Covid è perciò riuscire a garantire un accesso precoce ai monoclonali e, quando saranno pronti, anche agli antivirali.
Per fare ciò ci vuole una rete molto snella di comunicazione fra chi vede i malati la prima volta, e a volte sono anche i medici di base, e le strutture che somministrano queste terapie.