Sono i giorni della presa talebana di Kabul, degli incendi devastanti, della crisi climatica irreversibile, del Covid che riaccelera, dei migranti che muoiono in mare. Ed in tanti pubblicano post sulla disperazione delle donne afghane, sui boschi bruciati, sull’importanza o meno dei vaccini o sulla tragedia quotidiana che si consuma tra la costa libica e quella siciliana. Ma due minuti dopo, le stesse persone si immolano in scatti mozzafiato su spiagge stupende, tra culi rotondi, mare cristallino, ristoranti di lusso. Come a voler dire: “ho dedicato 60 secondi della mia vita ad un problema serio, quindi mostro tutta la mia sensibilità d’animo”.
In realtà saremmo tutti più onesti se confessassimo – ed io sono il primo a farlo – che non ce ne frega una minchia di nulla e che il mondo può anche andare a rotoli purché non bruci il nostro piccolo orticello. L’individualismo ha raggiunto ormai il livello storico più alto di sempre: nulla ci tange se non i nostri piccoli o grandi problemi. Vale per tutto: dai grandi temi alle più basilari relazioni sociali. Quanti amici veri avete? Ve lo siete mai chiesto? Vi siete mai interrogati nel profondo su quante persone potete realmente contare? Quante hanno davvero premura? Quante son disposte ad ascoltarvi o supportarvi in un momento di difficoltà estrema? Io l’ho fatto e, al di là della mia famiglia e della mia compagna, ne avrò contati 4 o forse 5. Oltre quelli c’è il vuoto, la superficialità estrema, la sensazione di essere dannatamente soli. Se è così nel microcosmo delle relazioni interpersonali, figuriamoci allora quanta attenzione concreta possa svilupparsi su temi quali Kabul, i migranti, il clima etc..
La sensibilità è per pochi temerari. Basta ipocrisia allora. Meglio egoisti (o egocentrici) ma sinceri piuttosto che spudoratamente falsi nelle manifestazioni di interesse collettivo.
Con affetto (per quei 4 o 5 e basta)