Si entra nell’incoscienza, il miraggio d’ambizioni stupide. E dopo quando vediamo che questo denaro è veramente sudato con il nostro dono migliore, non dà né il risultato e nemmeno la felicità, non siamo più capaci di trovare la vera via. Passano gli anni, le speranze, qualche illusione d’amore, una grande pietà ci prende per noi stesse per essere così perdutamente sole. (Lettere dalle case chiuse, n. 54). Non chiamatele prostitute; sono donne che amano male perché furono male amate (L. Merlin, intervistata da Oriana Fallaci, 1963)
Alla mezzanotte del 20 settembre 1958, entrò in vigore la legge n. 65/1958, approvata in febbraio, e le oltre settecento case di tolleranza sparse in tutto il territorio nazionale dovettero chiudere i battenti. Quattordici ore al giorno, per un minimo obbligatorio di trenta rapporti quotidiani, senza possibilità di rifiutare performance particolari, in ambienti malsani…Tanto per avere un’idea del romanticismo del “mestiere”, stiamo parlando di quattordici ore al giorno (“dalle 10 all’una, dalle 2 alle 8, dalle 9 alle 24, non ti lasciano che il tempo di mangiare e di lavarti la faccia”) per un minimo obbligatorio di trenta rapporti quotidiani (non era previsto un limite massimo), senza possibilità di rifiutare performance particolari (“cliente scontentato, rinnovo perso..”), in ambienti senz’aria (le persiane sempre chiuse) e spesso malsani, in cui i vantati controlli sanitari il più delle volte si risolvevano in un passaggio di mazzette dai tenutari a medici compiacenti; quasi nessuna ragazza godeva, per il riposo, di una stanza singola, a volte nemmeno di un proprio materasso, le uscite erano contingentate (ordine dei questori) e non si potevano fare acquisti fuori dal postribolo, poiché i proprietari vendevano a prezzi maggiorati biancheria, disinfettanti, saponi e profumi.
Delle circa tremila donne in servizio nelle case controllate dallo stato negli anni Quaranta e Cinquanta, molte avevano figli piccoli da mantenere, messi a balia o in istituti pagati a caro prezzo, e i proventi della professione, detratte le percentuali dovute ai tenutari e quelle estorte col ricatto, erano scarsi; quasi nessuna riusciva ad ammucchiare un gruzzolo per rifarsi una vita, e a 35-40 anni, sfiorite e spesso ammalate, venivano espulse dal circuito e abbandonate a se stesse. Se si voleva provare un’esistenza diversa mancava il libretto di lavoro, che non si poteva ottenere senza il permesso di residenza, il quale a sua volta non veniva concesso se non si aveva un lavoro, ma nessuno assumeva un’ex prostituta. E se una di loro era pronta a convolare a nozze con un militare di carriera, il ministero competente negava l’autorizzazione. Se voleva aprire un negozio, non le era concesso. Perché è questa nostra società che costruisce, sulla miseria e sul dolore altrui, le valvole di sfogo di una morale filistea.
Lina Merlin all’anagrafe Angelina Merlin è stata una politica e insegnante italiana, componente dell’Assemblea Costituente e prima donna a essere eletta al Senato della Repubblica. Il suo nome è legato alla legge 20 febbraio 1958, n. 75 – conosciuta come Legge Merlin – con cui venne abolita la prostituzione legalizzata in Italia. A lei si devono, tra l’altro, l’abolizione del “nomen nescio” che veniva apposto sugli atti anagrafici dei trovatelli (legge 31 ottobre 1955 n. 1064), l’equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi in materia fiscale, la legge sulle adozioni che eliminava le disparità di legge tra figli adottivi e figli propri, e la soppressione definitiva della cosiddetta “clausola di nubilato” nei contratti di lavoro, che imponeva il licenziamento alle lavoratrici che si sposavano (legge del 9 gennaio 1963 n. 7).