Questo articolo lo scriviamo al presente, come se nulla fosse cambiato da quel maledetto 23 giugno di 36 anni. In effetti, visto quel che sta accadendo a Torre Annunziata negli ultimi tempi pare proprio il passato che ritorna puntuale. In quanto al giornalismo, confermiamo, nulla è cambiato anzi parecchio è peggiorato.
Giancarlo non è solo un giornalista che fa il suo lavoro scrivendo articoli. No. Lui cerca di seminare una consapevolezza della realtà nelle coscienze dei cittadini e dei più giovani. Siani è un “giornalista-giornalista” che è morto compiendo il suo dovere. La camorra non tollera le sue parole libere, rivoluzionare e di denuncia. In una sua celebre frase, Giancarlo dice: “Potrai cadere anche infinite volte nel percorso della tua vita, ma se sei realmente libero nei pensieri, nel cuore e se possiedi l’animo del saggio, non cadrai mai in ginocchio, ma sempre in piedi!”. Sono proprio queste le parole che noi giovani abbiamo il dovere di ricordare, come la vita e gli articoli di Giancarlo; affinché possiamo seguirne l’esempio e lottare contro la mafia e la corruzione per un’ informazione fatta di verità.
“Non ha paura a scrivere certe cose?” chiede una studentessa a Giancarlo Siani e lui risponde: “Ogni tanto sì”. Subito dopo, uno studente gli domanda: “E allora perché lo fa?”, segue un attimo di riflessione e Siani risponde: “Perché è il mio lavoro, perché l’ho scelto. E non è che mi senta particolarmente coraggioso nel farlo bene. E’ che la criminalità, la corruzione, non si combattono soltanto con i carabinieri. Le persone per scegliere devono sapere, devono conoscere i fatti. Allora quello che un giornalista-giornalista dovrebbe fare è questo: informare”. Sono queste le parole tratte da una scena del film “Fortapàsc”, di Marco Risi, in cui viene raccontata la storia del giovane giornalista Giancarlo Siani, assassinato dalla camorra il 23 settembre 1985.
Siani scrive per il giornale “Il Mattino”, ha una forte passione per la scrittura e le inchieste, specialmente quelle riguardanti la camorra. E’ un ragazzo pronto a rischiare la propria vita per denunciare e lottare contro un sistema sporco e inquinato. Un giovane che, con la sua penna e la sua Mehari verde, è divenuto un esempio per chi volesse diventare un giornalista e fare informazione seria.
Passione, impegno, amore per la verità, voglia di combattere e urlare contro un sistema di ingiustizie: Giancarlo cerca di ispirare tutto questo nei giovani studenti che incontra; non solo, anche attraverso le sue inchieste, come quel fatidico articolo del 10 giugno 1985, in cui racconta cosa c’è realmente dietro l’arresto improvviso del boss Valentino Gionta. Un articolo che lo condanna a morte, perché il clan dei Nuvoletta non può sopportare una tale “offesa”.