Come fa la civetta? Kikkabau o UUUU (non si può scrivere questo suono)? E’ una parola articolata o un suono semplice e immediato? E’ il simbolo di Minerva o un uccello porta sfortuna? Parlare di questo animale è centrale per la storia di Libero D’Orsi. La storia in due puntate ‘trasmessa’, ma questa volta in diretta teatrale, nello scenario delle ville romane che il preside D’Orsi aveva voluto assolutamente scavare a partire dagli anni ’50. Quel suono mette a confronto due mondi, uniti ma opposti, quello di Libero D’Orsi, con la sua poesia , con il suo Kikkabau pascoliano, e don Ciccio, il bidello che aiuta con la sua concretezza, la sua fisicità, e per il quale la civetta non può emettere assolutamente quel suono artefatto.
I due orizzonti trovano una nuova dimensione nel secondo momento di Stabiae Liberata – dalle memorie di Liberato D’Orsi l’incredibile storia della riscoperta di Stabia Antica uno spettacolo-dittico, scritto e diretto da Fabio Cocifoglia, che lo interpreta poi insieme a Giampiero Schiano (produzione Casa del Contemporaneo e inserito in una proposta Scabec): prosegue il viaggio, iniziato nel mondo di sopra, nella dimensione del sotto, quello di uno scavo fatto non solo a colpi di piccozze e vanghe. Continua il rapporto molto intenso tra Libero D’Orsi e il suo fido “scudiero”, il bidello della sua scuola, don Ciccio, uniti dalla passione e dalle difficoltà di scavare a Castellammare ( per la puntata precedente vedi la recensione in forma di dittico- Stabiae Liberata prima parte)
IL TRICLINIO DI ARIANNA
La storia cambia spazio. Lo scenario è il triclinio della villa dove imponente e intensa è l’immagine di Arianna, stesa sull’isola di Nasso, nel momento in cui al sonno della disperazione di un abbandono si sta per sostituire il risveglio di un nuovo amore con Dioniso. In un’atmosfera ovattata, anche dalle luci che, con il loro calore, rendono rarefatti i colori, ritroviamo ancora una volta don Ciccio che invita gli spettatori, questa volta presunti restauratori, ad entrare nella stanza e sedersi su un sedile di giornali “ognuno con la sua isola e il suo abbandono“. Mentre davanti all’immagine di Arianna, di spalle, Libero D’Orsi, scalzo è quasi in estasi contemplativa. Il tono serio (più del mondo di sopra) e profondo vive sempre in questo scambio in cui don Ciccio, espressione del mondo del reale, del concreto, del popolo, dell’ironico, racconta quanto non sia a proprio agio in un mondo in cui è dominante la dimensione profonda, filosofica e colta del suo alter ego Libero. Libero rappresenta il mondo della poesia, dell’insegnamento, della ricerca profonda interiore e don Ciccio rappresenta la concretezza, la semplicità popolare che spesso vuol dire intelligenza. Su questo confronto, come quello del doppio modo d’intendere il suono della civetta, si basa tutto il racconto. Momenti culminanti in questa dimensione si hanno nella visione dei fantasmi della Storia, nel momento in cui Libero si sente tutti, da Plinio a Cicerone, e rende vive le ombre di cui si popola il passato. Oppure nella ‘picciola orazione’ che descrive il triclinio stesso, dove si ritrova il fluire integro e interiore della poesia. Come nella poesia pascoliana che viene interpretata da Libero, e spiega il rimando (già presente nel mondo di sopra) alla dimensione e alla storia della civetta.
DAL MONDO DI SOPRA AL MONDO DI SOTTO
Don Ciccio, piano piano, viene trasportato, anche emozionalmente, dal mondo del sopra al mondo del sotto. E con lui, forse, ogni spettatore. Con un fare didattico don Ciccio legge testi antichi, lettere del passato, che Libero D’Orsi gli fa trovare e poi ripetere perché leggere bene permette di capire. La profondità ossessiva di Libero nasconde un’inquietudine di vita, che riesce a prendere forma quel mondo del sotto, del dentro. E se esagera c’è sempre don Ciccio a risvegliarlo, anche se, dopo la declamazione della poesia di Pascoli sulla civetta che fa Kikkabau, Ciccio capisce. Questa volta è lui che si siede davanti all’immagine di Arianna, come davanti a una Divinità, e si arrende, dando ragione, capendo il viaggio nel suo profondo.
L’aria diventa rarefatta. L’interpretazione di don Ciccio- Giampiero Schiano e di Libero – Fabio Cocifoglia in questa seconda occasione del sotto diventa più lenta, rispetto a quella del mondo di sopra. Ma lo spettacolo regge anche senza il continuo confronto con il momento precedente. I dettagli ritornano, i ‘link’ al precedente spettacolo diventano un’ulteriore chiave di lettura, sottili rimandi. Anche da questo spettacolo si esce diversi rispetto a come si è entrati. Meno divertiti, ma più riflessivi. Piano piano ognuno, come don Ciccio, perde un pezzo di certezza concreta per aprirsi alla meditazione profonda. Vivendo frammenti di riscatto di una terra come quella di Stabia che, allora come ora, ha bisogno, attraverso momenti di rilancio, di ritrovare la propria dignità.