Nel maggio 2020 il primo ministro Benjamin Netanyahu, al fine di consentire quanto prima un ritorno alla normalità nel periodo pandemico, propose una soluzione controversa riguardante il distanziamento sociale dei bambini attraverso l’uso di microchip dichiarando pubblicamente: “voglio applicarlo innanzitutto ai bambini, avranno un sensore con un allarme che suonerà quando ti avvicini troppo”.
Tra i detrattori di questa possibilità ricordiamo gli esperti in sicurezza informatica che si chiesero se fosse accettabile e legale mettere un chip su una persona.
Il capo degli studi informatici all’università accademica di Tel Aviv, Tau Pavu, affermò pubblicamente: “questa iniziativa potrebbe essere una mappa verso il disastro. Può danneggiare i bambini in tanti modi diversi dato che l’informazione riguardo la presenza fisica e la localizzazione dei bambini sarà sulla rete”. Aggiunse: “Non sarà difficile hackerare ed accedere a queste localizzazioni. Potrebbe trattarsi di un criminale che vuole rapinare i bambini, potrebbe essere un pedofilo, potrebbero anche essere i terroristi, perché se ho un obiettivo e riesco a rintracciare e fare del male ai suoi figli, le conseguenze potrebbero essere, dal mio punto di vista, molto pericolose”.
Il timore era quello di consentire ai criminali, inclusi rapitori e pedofili, di rintracciare i bambini. La risposta del governo alla critica ricevuta mirò a chiarire che nessuna delle informazioni registrate sarebbe stata conservata su database, e che la tecnologia avrebbe dovuto esercitare una funzione unica, ossia quella di mantenere i bambini ad una distanza sicura gli uni dagli altri, in modo da evitare ogni violazione inerente la legge sulla privacy. Inoltre, i chip sarebbero stati facoltativi.
Lo scetticismo dei contrari a tale pratica rimase e ad essa si aggiunse la preoccupazione legata alla possibilità di assistere alla trasformazione dell’iniziativa da facoltativa ad obbligatoria.
Il 12 settembre di quest’anno in Israele, dove le politiche di contenimento per arginare il contagio del virus sono state e sono imponenti, il governo ha deciso di effettuare una scansione genetica per i viaggiatori in entrata nel Paese.
Lo screening è stato annunciato direttamente dal nuovo primo ministro Naftali Bennett durante la riunione del suo gabinetto; la notizia è trapelata nei media nazionali nonostante la volontà di conservarne il riserbo. Inoltre, sembrerebbe che l’esperimento ad alta tecnologia dovrebbe partire, sempre in via sperimentale, dall’aeroporto di Ben-Gurion di Tel Aviv.
I viaggiatori stranieri dovranno accettare di condividere i propri dati genetici con il governo israeliano che ha come obiettivo quello di rintracciare il virus e le sue varianti per contenere l’infezione.
Anche in Italia, il Presidente della Regione Liguria in passato ha parlato della possibilità di dotare i bambini di un braccialetto che avrebbe dovuto segnalare l’avvicinamento agli altri, definendo la distanza di sicurezza per scongiurare contagi.
L’epidemia ha sicuramente accelerato un processo di trasformazione della società che apre a scenari completamente nuovi che suscitano anche dubbi e perplessità da non sottovalutare. La capacità di mettere in relazione scelte e fatti economici e politici è sempre più una necessità per riuscire a comprendere la direzione di un mondo sempre più esposto ai dettami della digitalizzazione.