Dal 1994 il 5 ottobre si festeggia la giornata mondiale degli insegnanti. Esiste un filo sottile che sancisce il patto tra la generazione dei discenti e quella dei docenti, in una relazione che risulta essere sempre meno incentrata sulla complicità.
Gli insegnanti, da un lato, palesano l’insoddisfazione per una scuola sempre più burocratizzata che toglie spazio ed energie alla creatività, dall’altro lato, gli studenti sono risucchiati in un vortice informativo sempre più digitalizzato che predispone ad un’acquisizione delle informazioni basata su modalità che si discostano completamente da quelle adottate nella scuola tradizionale.
In questa sistema scolastico, diventa determinante la motivazione e la capacità di insegnare dei docenti per far leva sulla curiosità di generazioni sempre meno abituate al confronto dialettico.
Lo scrittore, filosofo e docente Pietro Ratto ha ben chiaro quello che dovrebbe essere il ruolo dell’insegnante, ossia quello di tirare fuori dai ragazzi quello che c’è già. Nel suo discorso definisce “criminale” l’atteggiamento del professore che impone la verità da seguire durante la didattica, perché il suo ruolo è quello di concretizzare la formazione di una verità frutto del processo di conoscenza imputabile allo studente.
“L’insegnate ha il compito di invogliare a cercare, non a trovare risposte. La scuola deve essere quella delle domande non quella delle risposte, ma il docente non ha il tempo per suscitare o per rispondere alle domande” e, quindi, assolvere alla sua funzione principale, e tutto ciò si ritorce contro i giovani che vivono lo studio come ripetitivo e mnemonico e privo di senso.
Il filosofo registra quanto sta accadendo e parla di una scuola che si è trasformata in un contenitore di informazioni passive e la paragona a Wikipedia nella sua funzione di fornire definizioni a discapito del ragionamento logico e dotato di senso.
L’istituzione scolastica tende a formare attraverso una serie di indottrinamenti, quando dovrebbe educare.
L’esigenza di fornire un’offerta formativa alternativa a quella corrente, ormai considerata inadempiente rispetto alle nuove necessità educative, ha spinto molti genitori ad orientarsi verso un modello di scuola, definito “parentale” e che porta con sé non pochi problemi, primo fra tutti l’incapacità dei genitori di svolgere la funzione di insegnante, perché non è sufficiente possedere delle competenze per considerarsi capaci di trasmetterle.
In alcune realtà geografiche, sta verificandosi la migrazione di molti insegnanti, insoddisfatti del ruolo ricoperto nella scuola tradizionale, (problematica sorta con maggiore evidenza durante la pandemia e il ricorso alla DAD) in nuove realtà scolastiche miranti a ripristinare modelli educativi che salvaguardino il contatto diretto con gli allievi nel rispetto delle diversità emergenti, con risultati davvero incoraggianti.
Ratto sostiene che tali modelli dovrebbero avere una durata limitata nel tempo, perché la scuola tradizionale deve riappropriarsi delle sue peculiarità, in considerazione del fatto che è pagata con le tasse di tutti i cittadini, e per tale motivo, non può derogare ad altri il proprio ruolo specifico.