Domani è un altro giorno: il 18 ottobre di ieri, di quel 1909 in cui venne al mondo Norberto Bobbio: filosofo, giurista, professore universitario, politologo, editorialista, senatore a vita, varie volte indicato come papabile esterno ai partiti per la presidenza della Repubblica. Un socialista senza tessera vera, se non quella del Partito d’Azione troppo presto svanito (la collocazione politica ideale magari è data dalla foto che vedete, Bobbio in compagnia di Ginzburg e Foa)
Tra mutamento e rivoluzione – domandano gli studenti a Bobbio -, lei che ne pensa? “Weber diceva che la cattedra non è per i profeti e per i demagoghi, e io ho sempre detto che anche se ognuno di noi ha le sue idee politiche, quando insegna è meglio che le tenga fuori. Per questo rispondo non con le mie parole, ma con quelle di Popper: “La violenza genera sempre maggiore violenza. E le rivoluzioni violente uccidono i rivoluzionari e corrompono i loro ideali. I sopravvissuti sono soltanto i più abili nell’arte di sopravvivere. Io sostengo che solo in una democrazia, in una società aperta, abbiamo la possibilità di eliminare ogni inconveniente. Se distruggiamo questo ordinamento sociale con una rivoluzione violenta, non solo siamo responsabili dei pesanti sacrifici della rivoluzione stessa, ma creeremo una situazione che rende impossibile eliminare i mali sociali, l’ingiustizia e l’oppressione. Se cerchiamo il vero senso del cambiamento storico, dalla rivoluzione industriale alla rivoluzione femminile, vediamo che nessuno di questi mutamenti avviene di colpo e in forma violenta, ma tutti si realizzano nel corso del tempo, gradualmente, giorno dopo giorno, quasi senza che ce ne accorgiamo”.
Prima si pensava alla società più giusta come a un ideale trascendente, un obiettivo indefinito: dopo, si capisce che la rivoluzione è un accadimento concreto, è immanente, un ideale che si può realizzare, ed entra nella storia. Ma proprio mentre l’utopia diviene realtà, diventa anche oggetto di verifica, suscita la critica, fino all’accusa capitale al rivoluzionario di avere una meta troppo alta per poter essere realizzata, con la condanna per la rivoluzione di essere sempre qualcosa di incompiuto, che spesso tradisce se stessa corrompendosi nel suo contrario. La cronaca terribile di quei giorni fa il controcanto alle lezioni, piega i concetti alla realtà. Quando Moro viene assassinato dai suoi rapitori Bobbio si alza dalla cattedra per leggere semplicemente una pagina di Max Weber: “Non abbiamo davanti a noi la fioritura dell’estate bensì una notte polare di fredde tenebre e di stenti. La politica consiste in un lento e tenace superamento di dure difficoltà. Colui che si accinge a questa impresa deve foggiarsi quella tempra d’animo tale da poter reggere anche al crollo di tutte le speranze. Solo chi è sicuro di non venir meno e di poter ancora dire di fronte a tutto ciò “non importa, continuiamo”, solo un uomo siffatto ha la vocazione per la politica”. Poi dopo una pausa Bobbio aggiunge: “Anche noi, continuiamo”.
Quando il professore iniziò a parlare, i registratori dei ragazzi erano già accesi sul tavolo. A quarant’anni di distanza quelle parole ritornano, perché dopo la laurea quattro studenti riuniti con Michelangelo Bovero, l’allievo prediletto e poi successore di Bobbio, hanno trascritto i testi di quell’ultimo anno di insegnamento. Il professore entrò nell’aula al primo piano con la cartella gonfia, come sempre, e la posò sulla cattedra. Per un momento gli tornò in mente un’altra aula piccola ma piena di gente, coi docenti che avevano voluto assistere alla sua prima lezione di Filosofia del diritto, nel vecchio palazzo dei marchesi all’università di Camerino dove tutto era incominciato, nel dicembre 1935. Come allora, gli venne la tentazione di scendere dalla cattedra, per parlare a tu per tu con chi erano venuto ad ascoltarlo. Erano passati 44 anni, quasi mezzo secolo di insegnamento. Perché quel 16 maggio 1979, un anonimo mercoledì torinese, era per Norberto Bobbio l’ultimo giorno da professore: la lezione numero 54.
Oggi Donzelli pubblica quelle lezioni di filosofia politica in un volume con la prefazione affettuosa e fedele di Bovero, e con lo stesso titolo scelto dal professore per il suo corso finale: Mutamento politico e rivoluzione. È come se nel suo passaggio conclusivo la passione civile di Bobbio si ricongiungesse infine pubblicamente con il suo impegno da docente, dopo una vita spesa cercando la sinistra nelle sue contraddizioni e nelle potenzialità dentro la vita del Paese. Il titolo raccoglie e sottolinea il conflitto storico infinito tra lo spazio riformatore e lo strappo rivoluzionario, la tensione inconciliabile tra il riformismo e il massimalismo che si sono contrapposti per un secolo senza trovare una composizione unitaria per due diverse interpretazioni della stessa spinta all’emancipazione popolare, e alla trasformazione della società nella direzione della giustizia e dell’uguaglianza.