L’inchiesta portata avanti dalla Procura di Salerno sul cosiddetto “sistema” delle cooperative, con gravi compromissioni di interi pezzi dell’apparato burocratico e amministrativo del Comune capoluogo, è giunta dunque a un punto nodale.
L’avviso di richiesta di proroga delle indagini recapitato venerdì mattina al governatore della Campania Vincenzo De Luca con l’ipotesi di corruzione, infatti, è un passaggio fondamentale per fare finalmente chiarezza su quanto accaduto in questi anni a Salerno; sul cosiddetto “cerchio magico”; sul peso specifico avuto dai “portatori di voti” nella conservazione di un grumo di potere, di un’oligarchia che ha pervaso e condizionato tutti i settori della vita economica, culturale e sociale della città. Le responsabilità penali sono personali; l’accertamento della verità – quella processuale – dovrà superare un futuro, probabile vaglio dibattimentale, fino all’ultimo grado di giudizio. Prima di tale esito dovrà comunque e sempre prevalere non la logica del sospetto di colpevolezza, ma quella del diritto di ognuno alla presunzione di innocenza.
Per quello che ci consegnano ad oggi le carte dell’inchiesta, possiamo ricavarne un pre-giudizio assolutamente parziale su alcuni comportamenti – amministrativi e politici – che solo per alcuni aspetti sono stati ritenuti dalla procura – al momento – penalmente rilevanti. Abbiamo un indagato, Fiorenzo Zoccola, agli arresti domiciliari, dominus delle coop sociali, a cui era stato affidato il compito di preservare e alimentare gli equilibri tra potere politico, consenso e tornaconto economico soprattutto a ridosso dei vari appuntamenti elettorali. Zoccola ha deciso di collaborare con la Procura, confermando ipotesi di reato e, a quanto si apprende, dando nuovi spunti investigativi. La portata delle sue dichiarazioni la si conoscerà soltanto quando si tramuterà in iniziative giudiziarie.
Più volte Zoccola ha però ribadito il suo rapporto amicale con l’attuale governatore. Rapporto talmente solido che era stato lo stesso De Luca – secondo il racconto dell’imprenditore – a indicargli, prima delle ultime Regionali, la ripartizione dei voti nei confronti di almeno due candidati al Consiglio, Nino Savastano e Franco Picarone. Una “indicazione” politica, dunque. Altra cosa è il presunto patto corruttivo che secondo la Procura si sarebbe concretizzato a valle del “dicunt” tra Zoccola e Savastano, con quest’ultimo impegnato a risolvere al Comune, da assessore alle Politiche sociali (e dunque senza alcuna delega in materia), il problema di una proroga sugli affidamenti da concedere alle coop per la manutenzione e il verde pubblico. Il punto è dunque questo: De Luca era a conoscenza che tra i due – il politico e l’imprenditore – era intervenuto questo accordo illegale? Perché solo così si riuscirà a stabilire un nesso tra l’indicazione di voto (legittima) e il do ut des ritenuto illecito tra Zoccola e Savastano. Al momento – dalla lettura degli atti fin qui resi pubblici – non sono emersi però elementi a sostegno di questa ipotesi. Ed è questo il punto centrale dell’approfondimento chiesto dalla Procura guidata da Giuseppe Borrelli attraverso la richiesta di proroga delle indagini avanzata al gip.
Altra cosa, però, sono gli aspetti politici con ricadute sociali emersi dalle intercettazioni contenute nella prima – e al momento unica – misura cautelare eseguita un mese fa e passata anche al vaglio (positivo) del Tribunale del Riesame. Alcune circostanze narrate non hanno alcun rilievo penale, ma questo non può giustificare comportamenti che nulla hanno a che fare con i ruoli istituzionali ricoperti dai vari e variegati protagonisti, comparse, nani e ballerine di questa umana, triste vicenda. Perché si è permesso al signor Zoccola (e quanti altri “signor Zoccola” salteranno fuori nel prosieguo delle indagini, vedrete…) di piegare al conseguimento del profitto esclusivamente personale uno strumento, quello delle cooperative sociali, destinato al recupero delle persone svantaggiate: un’ignominia; perché in nome del consenso elettorale si sono “aggiustate” delibere, determine, atti amministrativi; si sono pattuite assunzioni di amici degli amici, riservate corsie preferenziali e tappeti rossi in gare pubbliche e incarichi a personaggi molto spesso dal dubbio rigore morale e professionale.
«Il lungo periodo di tempo nel quale le condotte sono state poste in essere – scrive il gip Gerardina Romaniello nella sua ordinanza di custodia cautelare di inizio ottobre – è indice della cronica distorsione del potere amministrativo facente capo a taluni pubblici funzionari, che hanno durevolmente e deliberatamente tradito il pubblico interesse». Comportamenti che il giudice fa risalire – almeno per quanto riguarda le cooperative – al 2002. Vent’anni. Un “sistema” che è ora un peso sulle coscienze di quanti – consapevolmente o meno – hanno reso possibile – e rendono ancora possibile – questo scempio del governo della cosa pubblica asservito alla volontà di pochi.