Perché fare del male agli animali?
È la domanda che gira da stamane nella nostra testa, dopo aver pubblicato la foto di una povera volpe brutalmente seviziata e lasciata ciondolare sul ramo di un albero nella zona di Nocera Superiore.
La violenza e il sadismo perpetrati ai danni degli animali sono gli elementi di una narrazione sempre più frequente nella società contemporanea che lascia interdetti e amareggiati.
Gandhi era solito affermare che la misura del progresso morale di una nazione la si ritrova nel modo in cui si trattano gli animali, ma pare che l’umanità sia distante da quella che dovrebbe essere una consuetudine.
Alcuni studi psicologici spiegano la formazione della condotta aggressiva nei bambini riconducendola all’esperienza che essi stessi hanno nel nucleo familiare di appartenenza: è lì che il carattere si forgia in risposta agli stimoli ambientali e culturali esperiti.
È probabile che se in famiglia la violenza esercitata sugli animali è un comportamento accettato e concretizzato, il bambino tenderà a sviluppare un atteggiamento volto ad emulare quanto osservato e a considerarlo attuabile, fino ad estenderlo anche verso i suoi simili più deboli e remissivi.
La crudeltà nei confronti degli animali può rappresentare anche l’espressione di differenti forme psicopatologiche, quali il disturbo reattivo all’attaccamento e il disturbo della condotta.
Emerge da alcuni studi del CNR che il 16, 7% dei giovani compresi tra i 9 e i 18 anni ha ammesso di aver compiuto atti violenti su animali almeno una volta nella vita; e una volta su cinque la motivazione che ha spinto i giovani ad adottare azioni aggressive verso animali risiede nella ricerca del divertimento.
È risaputo che i bambini e gli adolescenti crudeli verso animali hanno una probabilità su tre di esercitare atti ripetutamente feroci e pericolosi in età adulta; inoltre, i minori che non rispettano gli animali attraverso la pratica di gesti crudeli, possono da adulti compiere atti criminali.
Tra i minorenni il 31% di essi ha compiuto atti di violenza sugli animali; il 94% di questi soggetti è di sesso maschile e il 4% ha meno di 12 anni. Nei contesti familiari violenti avviene il 21% dei casi di crudeltà su animali.
Gli studi psicologici mostrano che le torture violente mosse contro animali indifesi nascono dal desiderio dei ragazzini di sentirsi più grandi e coraggiosi; le azioni cruente mettono in evidenza l’esigenza di alcuni individui che sentono di avere limiti sociali, intellettivi, culturali, economici, di perseguitare chi considerano più debole per affermare sé stessi.
I soggetti affetti da “alessitimia”, ossia l’incapacità di dare nome alle emozioni e ai sentimenti, sono quelli maggiormente esposti ad assumere atteggiamenti violenti che hanno come bersaglio animali.
L’alfabetizzazione emotiva risulta fondamentale per impedire lo sviluppo di atteggiamenti aggressivi rivolti verso i più deboli, attraverso l’acquisizione e l’esercizio di capacità empatiche in contesti in grado di fornire simili competenze emotive.
Un altro fenomeno aberrante e ricorrente nella società è quello legato agli spettacoli che hanno come protagonisti animali in lotta tra loro (galli, cani) in cui la morte o l’aggressione selvaggia del più fragile diventa lo spettacolo che eccita e diverte gruppi di individui motivati dal sadismo personale o dal profitto.
Nonostante le spiegazioni fornite dalla psicologia per cercare di dare una spiegazione alla violenza gratuita esercitata sugli animali e che spesso si traduce in aggressività anche nei confronti degli altri uomini, risulta difficile comprendere e accettare fino in fondo l’espressione di una violenza gratuita che non ha nessuna ragione di esistere.
Mark Twain scriveva: “Tra tutti gli animali l’uomo è il più crudele. È l’unico a infliggere dolore per il piacere di farlo”.