Al tempo della pandemia, recitare una preghiera fuori “tempo massimo”, quello delle celebrazioni religiose, pare assai difficile.
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
Sono forse, le 17.00, non sono sicura, non ho indossato l’orologio. È sabato, la Chiesa della Santissima Annunziata a Vico Equense è aperta. È da molto tempo che non entro in questo luogo dove fino a qualche anno fa ero di casa.
Mi avvicino all’ingresso e dalla vetrata osservo l’interno deserto. C’è una mostra presepiale, allestita nella navata posta alla sinistra dell’ingresso principale. Da qualche anno, nella cattedrale della cittadina vicana, i presepi della tradizione classica trovano dimora in quella che è la casa deputata a rinnovarne la storia nel tempo.
So già che la mostra non potrò visitarla quest’anno, ma non importa, il mio desiderio è un altro: recitare una preghiera. Controllo attentamente che non ci sia nessuno nel luogo di culto intento a mirare le scene presepiali e varco la soglia.
Che bella! È come la ricordavo. Osservo l’altare e in quell’atmosfera sacra sento la sensazione di sempre. Con un pizzico di egoismo bonario, gioisco nell’essere sola a godere di quel momento.
Non ho intenzione di sedermi, né di gironzolare nell’ampio spazio a mia disposizione. Il segno della croce e poi le prime parole dell’Ave Maria.
Pochi secondi e l’attimo si dissolve nelle parole di un giovane addetto al controllo che chiede di mostrare il green pass.
Sono distratta e non rispondo subito.
Torno al presente e specifico che non sono interessata alla mostra, vorrei solo recitare una preghiera e poi andare via velocemente, infatti sono sulla soglia pronta a defilarmi quanto prima. Non voglio creare problemi.
Il giovane scuote la testa e aspetta che mostri il lasciapassare, altrimenti devo uscire subito.
Cala il gelo. Sono in piedi, sull’uscio di una chiesa con una mascherina sul volto, incredula per quanto sta accadendo.
Alzo gli occhi in alto, superando la barriera di divieto che sto sperimentando. Il segno della croce per salutare chi mi ha invitato ad entrare.
L’Ave Maria la reciterò altrove.
Un amico che vive qui, con cui condivido la mia delusione, mi ascolta e con una finta rassegnazione commenta che la confusione regna sovrana da diverso tempo e lascia indifferenti la maggioranza delle persone.
Mi fa notare che si assiste all’esercizio di un arbitrio che spesso traccia limiti invalicabili per poi sconfessarli nell’immediato, infatti, le chiese sono accessibili senza l’imposizione del green pass per le funzioni religiose e, al contempo, dopo poche ore diventano luogo di discriminazione senza possibilità di appello.
Che dire?
Electa una via, non datur recursus ad alteram.