La storia è questa: ho un cane, Godzilla, un Cavalier king comprato in negozio di un truffatore anni fa e un gatto, Evangelion, preso da una ragazza siciliana di Melilli che aveva due mesi ed era il cucciolo più puccioso dell’universo. Due scelte abbastanza facili, tutto sommato, sebbene oggi Godzilla tra cardiopatia, problemi agli occhi e intestinali ci costi più di un cavallo da corsa allevato in Normandia e il gatto rosso sia il diretto discendente di Belfagor, tanto che siamo noi a fare le fusa a lui per rasserenarlo nei nostri confronti.
Dunque, mi sentivo in debito con tutti gli animali che non si comprano, che non sono cuccioli, che non sono pucciosi., ma solo pulciosi. Che magari sono pure preceduti da qualche pregiudizio. E allora mi sono detta: un gatto nero! Adulto. Magari non proprio bellissimo. Di quei gatti parcheggiati da qualche parte in attesa di qualcuno che non gli preferirà un gatto più instagrammabile. Ho chiesto a una piccola associazione di Luino che seguo sui social se avesse un gatto in stallo, che nessuno si litiga. “C’è Bruno!”, mi ha detto una dolce ragazza che lavora per ZampaOdv. E mo’ chi è Bruno?
Bruno è un gatto di sei mesi circa, nato ad Agra, un piccolissimo comune in provincia di Varese, sotto le montagne. Lì tempo fa un vecchietto ha iniziato a dare da mangiare a dei gatti, i gatti sono diventati tanti, si sono riprodotti in maniera incontrollata. Il vecchietto non sta tanto bene, le persone hanno iniziato comprensibilmente a lamentarsi per la situazione, la sporcizia. Il sindaco ha chiesto aiuto all’associazione per sterilizzare i gatti e alla fine, grazie ad uno sgombro usato come esca, Bruno si è infilato in una gabbia ed è stato “catturato” per poi essere rimesso eventualmente in libertà.
Ha circa sei mesi, viveva sotto una macchina, mangiava quello che capitava. Sulla carta doveva essere un selvatico, invece, imprevedibilmente, amava gli umani. E quindi Giorgia l’ha tenuto, l’ha curato, in attesa che qualcuno lo prendesse.
Bruno è oggettivamente bruttarello. Nella categoria gatti neri, somiglia di più a un pipistrello della frutta che a una pantera. Ha una coda corta e sottile da pantegana, è di taglia molto piccola, leggermente spelacchiato intorno agli occhi e una macchiolina bianca sotto la pancia che gli impedisce pure di fregiarsi del titolo “gatto nero doc”. Tra l’altro ha pure la forfora, roba che manco sulla giacca di un cugino di Campagna se ne è mai vista tanta.
Diciamo che più che il gatto di una strega sembra un gatto menato dalla scopa di una strega, tanto più che ha un’altra caratteristica inconfondibile: i dentini inferiori all’infuori, storti, i quali gli regalano una specie di simpatico grugno perenne che lo umanizza pure un po’, rendendo il suo muso vagamente inquietante. Sembra sempre di accarezzare una gif scema di gatti con la faccia da uomo brutto.
Insomma, Bruno era prefetto per sistemare per sempre tutti i miei sensi di colpa, pure con un credito residuo.
E quindi, dopo aver superato lo scetticismo di Lorenzo (allergico ai gatti fino a sei mesi fa, da sue dichiarazioni mendaci) siamo andati a Luino e in una domenica di sole abbiamo adottato Bruno. Che abbiamo scoperto- come dice Leon- essere anche ulteriormente buggato: fa le fusa, sempre. Gli basta mezza carrezzina distratta per accendere i motori, strusciarsi, cercarti, appiccicarsi a caviglie, mani, piedi. E non smette più. Io non so come faccia, credo abbia un generatore esterno tipo quello per i camper, perché credetemi, non è un gatto, è un vibratore.
Tutto perfetto, direte voi.
No.
Bruno è pur sempre cresciuto per strada, vivendo sotto una macchina. E quindi ha paura. Tanta paura. Non degli umani, stranamente, ma dei rumori più impercettibili, degli spazi aperti, dei gesti improvvisi, delle persone in piedi se lui è sul pavimento e, ovviamente, del cane e del gatto. Fatica a rilassarsi se non è sotto qualcosa, si nasconde, anche se poi si fa prendere senza mai graffiare. Anzi, facendo le fusa.
Ieri in salotto abbiamo impiegato in tre dieci minuti per trovarlo: era dietro una pila di libri. Pensavamo fosse sparito sul serio, o che Evangelion se lo fosse mangiato. Perché se il cane appena l’ha visto è tornato ad avere semplicemente gli occhi da matto, Evangelion si è messo su due zampe e gli ha soffiato con una tale violenza che se avesse avuto il Covid avrebbe infettato Milano e la Lombardia fino alle Prealpi. Non ho mai visto la stessa determinazione nel voler uccidere qualcuno neppure negli occhi di Ted Bundy. Del resto, lui è il gatto nobile siciliano, rosso, bello, fisicato, questo è il dentone sgangherato del varesotto. Ho provato a ricordare a Evangelion quando Godzilla voleva uccidere lui, gli ho detto che lui è come gli italiani con gli immigrati che si scordano di quando a emigrare erano loro, ma niente.
Insomma, per ora Bruno se ne sta in camera da noi o da Leon, mentre i due killer stazionano davanti alle porte insolitamente complici nel proposito omicida, ormai affiatati tipo Rosa e Olindo, attendendo una nostra distrazione per entrare in camera e giustiziarlo.
Noi tre umani intanto navighiamo a vista, mentre litighiamo su come chiamare Bruno perché io sono contraria ai nomi da umani agli animali e quindi per ora abbiamo un gatto che deve solo trovare coraggio e tre umani che devono dargli un nome.
Nel frattempo, sperando di farcela, siamo felici.