17 gennaio 1925: Benito Mussolini firma le prime “leggi fascistissime” rendendo così fuori legge tutti i partiti al di fuori del Partito Nazionale Fascista
La locuzione leggi fascistissime, o leggi eccezionali del fascismo, identifica una serie di norme giuridiche, emanate tra il 1925 e il 1926, che iniziarono la trasformazione dell’ordinamento giuridico del Regno d’Italia nel regime fascista.
Il compimento, ancorché parziale, di tale processo sarebbe avvenuto, però, soltanto nel 1939 quando, pur senza mutare direttamente gli articoli interessati dello Statuto del Regno, la Camera dei deputati sarà sostituita dalla Camera dei fasci e delle corporazioni, la cui composizione e la portata reale dei poteri ne escluderanno i caratteri di effettiva titolarità della rappresentanza nazionale e di co-titolarità, condivisa con il re e con il Senato, del potere legislativo.
L’adozione delle leggi seguì, paradossalmente, il periodo di maggiore crisi nella fase iniziale del governo Mussolini, ossia il rapimento e l’uccisione del deputato socialista riformista Giacomo Matteotti, seguiti dalla cosiddetta secessione dell’Aventino dell’opposizione parlamentare.
Si cominciò con la legge n. 2263 del 24 dicembre 1925 che definiva le attribuzioni e le prerogative del presidente del consiglio dei ministri il cui nome mutava in capo del governo primo ministro segretario di Stato e la cui posizione gerarchica, da formalmente equiordinata a quella degli altri ministri pur nel riconoscimento del primato nella definizione dell’indirizzo politico-amministrativo e nei rapporti col re e col parlamento, diveniva formalmente e sostanzialmente sovraordinata, stabilendo una responsabilità dello stesso nei confronti del solo capo dello Stato ed una responsabilità di ciascun ministro o sottosegretario di Stato, oltre che nei confronti del re, anche in quelli del capo del governo, rimanendo, in ogni caso, esclusa una qualsiasi responsabilità di ciascun membro o ausiliario del governo nei confronti di ognuna delle assemblee parlamentari.
La successiva legge n. 100 del 31 gennaio 1926, dette facoltà al potere esecutivo di emanare norme giuridiche, tramite decreti legge immediatamente esecutivi, senza efficaci garanzie d’intervento da parte delle assemblee legislative.
La legge sulla stampa e l’abolizione del diritto di sciopero
Il 20 gennaio 1926 entrò in vigore la legge sulla stampa (legge 31 dicembre 1925, n. 2307), la quale disponeva che i giornali potevano essere diretti, scritti e stampati solo se avevano un direttore responsabile riconosciuto dal procuratore generale presso la corte di appello della giurisdizione dove era stampato il periodico. Il regolamento attuativo dell’11 marzo 1926 precisò che il procuratore era tenuto a sentire il prefetto, quindi il direttore di qualunque giornale doveva essere persona non sgradita al governo, pena l’impossibilità a pubblicare.
Infine, la legge n. 563 del 3 aprile 1926 proibì lo sciopero e stabilì che soltanto i sindacati “legalmente riconosciuti”, quelli fascisti (che già detenevano praticamente il monopolio della rappresentanza sindacale dopo la conclusione del Patto di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925 tra la Confindustria e le corporazioni fasciste), potevano stipulare contratti collettivi.
La “costituzionalizzazione” del Gran consiglio
Con la legge n. 2693/1928 il Gran consiglio del fascismo divenne la suprema autorità costituzionale del Regno d’Italia.
Queste leggi furono completate nel 1928 con una modifica della legge elettorale per la Camera dei deputati (legge 17 maggio 1928, n. 1019) che prevedeva una lista unica nazionale di 409 candidati scelti dal Gran consiglio del fascismo da sottoporre agli elettori per l’approvazione in blocco.
Da allora in avanti le elezioni assunsero di fatto un carattere plebiscitario. Infine, la legge 129/1939 modificò lo Statuto Albertino sopprimendo la Camera dei deputati e istituendo al suo posto la Camera dei fasci e delle corporazioni, nominata in blocco dal Gran consiglio del fascismo e dalle corporazioni fasciste.
In sintesi, queste leggi stabilivano che:
il Partito Nazionale Fascista era l’unico partito ammesso, con Regio Decreto n. 1848 del 6 novembre 1926 che prevedeva lo scioglimento di tutti i partiti, associazioni e organizzazioni che esplicano azione contraria al regime;
il primo ministro doveva rispondere del proprio operato solo al re d’Italia e non più al parlamento, la cui funzione era così ridotta a semplice luogo di riflessione e ratifica degli atti adottati dal potere esecutivo;
il Gran consiglio del fascismo, presieduto da Mussolini e composto da vari notabili del regime, era l’organo supremo del PNF e quindi dello Stato, con Legge n. 2693/1928;
con la legge sulle associazioni tutte le associazioni di cittadini dovevano essere sottoposte al controllo della polizia: Legge n. 2029/1925 (chiamata anche legge sulla Massoneria, principale associazione in linea di mira);
gli unici sindacati riconosciuti erano quelli fascisti; erano proibiti, inoltre, scioperi e serrate;
le autorità di nomina governativa sostituivano le amministrazioni comunali e provinciali elettive, che venivano quindi abolite, Legge n. 237/1926;
tutta la stampa doveva essere sottoposta a controllo, ed eventualmente censurata se aveva contenuti anti-nazionalistici e/o di critica verso il governo.
Istituivano, inoltre:
il confino di polizia per gli antifascisti, con Regio Decreto n. 1848/1926 Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza;
il Tribunale speciale per la difesa dello Stato (1926-1943) con competenza sui reati contro la sicurezza dello Stato (per i quali era prevista anche la pena di morte) e un collegio giudicante (formato da membri della Milizia e da militari), con Legge n. 2008/1926;
l’OVRA, la polizia segreta, il cui primo nucleo è istituito con Regio Decreto n. 1904;
l’obbligo di tutti gli insegnanti di iscriversi al Partito Nazionale Fascista;
il MinCulPop (Ministero della cultura popolare);
un unico libro di scuola fascista.