Il concetto di inconscio collettivo, appartenente alla psicologia analitica, è da attribuirsi a Carl Gustave Jung. Lo psicologo lo raffigurava come un contenitore volto ad accogliere tutto quanto appartenesse al mondo psichico umano, ossia quella parte dell’inconscio che è condiviso da tutti gli esseri umani in quanto tali.
All’interno dell’inconscio collettivo sono racchiusi gli archetipi, intesi come le forme e i simboli che si palesano in tutti i popoli e le culture. Questi ultimi possono considerarsi innati e istintivi nella misura in cui esisterebbero indipendentemente dall’esperienza di ciascuno.
Nella concezione junghiana, l’inconscio collettivo si è sviluppato nel tempo e consiste nella struttura psichica dell’intera umanità. Il suo sviluppo temporale ha portato alla distinzione in tre livelli: inferiore, medio e superiore.
L’inferiore si lega al passato dell’umanità e alle sue radici; il medio consta dei valori socio-culturali del periodo preso in considerazione; il superiore attiene ai valori, le mete, le potenzialità possibili nel futuro dell’umanità.
Infatti, nel 1939 Carl Gustav Jung scriveva: “… al mondo effimero della nostra coscienza essi comunicano (gli archetipi) una vita psichica sconosciuta, appartenente ad un lontano passato; comunicano lo spirito dei nostri ignoti antenati, il loro modo di pensare e di sentire, il loro modo di sperimentare la vita e il mondo, gli uomini e gli dei. L’esistenza di questi stati arcaici costituisce presumibilmente la fonte della credenza di “vite anteriori”.
In Francia, l’uscita recente del libro di Frédéric Lenoir dal titolo “Jung. Un voyage vers soi – Albin Michel editore – riprende il concetto tanto caro al noto psicologo.
Nel 1944 Jung prefigura una scienza dell’anima, affermando che “Appare in effetti, con una chiarezza sempre più accecante che non sono le carestie, né i terremoti, né i microbi, né il cancro ma che è proprio l’uomo a costituire per l’uomo il più grande pericolo. Il motivo è semplice: non esiste ancora alcuna protezione efficace contro le malattie psichiche: ora, queste epidemie sono infinitamente più devastatrici delle peggiori catastrofi! Il supremo pericolo che minaccia tanto l’essere individuale quanto i popoli nel loro insieme è infatti il pericolo psichico”.
In questa accezione, secondo il semiologo Gian Paolo Caprettini, l’inconscio collettivo spinto per l’esercizio del potere attraverso l’uso delle emozioni e finalizzato ad influenzare i comportamenti, può determinare un ostacolo per l’armonizzazione tra quanto strutturatosi nel passato, il patrimonio di sensazioni materiali e spirituali, l’esperienza del vissuto, determinando conseguenze emotive e uno sconfinamento tra razionale e irrazionale che giova a chi vuole dominare.